All’età di diciotto anni, mio padre Cesare, che aveva una sorta di venerazione per sua madre Dora e per il sottoscritto, guardandomi attentamente, mentre un sabato sera mi vestivo di tutto punto con tanto di cravatta, panciotto e cappotto oversize anni ‘50, accingendomi ad uscire di casa per far baldoria con gli amici, mi disse testuali parole: “Come stai bene vestito così, tam pé Marlon Brando!

Erano i primi anni ottanta e il vero Marlon Brando, uno degli attori hollywoodiani di maggior talento e carismatici di sempre, minacciò nuovamente di abbandonare le scene. Naturalmente, a quell’età, io ricordavo solo d’averlo visto, ad un cineforum scolastico, interpretare magistralmente il ruolo di Marco Antonio nell’adattamento cinematografico della tragedia shakespeariana, “Giulio Cesare”, diretto da Joseph L. Mankiewicz.

Ma quell’accostamento, peraltro distante anni luce che solo l’amore di un genitore può generare, mi spinse a saperne di più su quell’uomo che sembrava possedere una forza attrattiva mista ad una capacità recitativa che non mi era mai capitato di vedere, prima, in un altro attore. Allora cominciai a cercarlo nei suoi ruoli più celebri, lo Stanley Kowalski di Un tram che si chiama Desiderio”, Johnny Strabler de “Il Selvaggio”, il Terry Malloy di “Fronte del porto”, Christian Diestl de “I giovani leoni” fino ad arrivare a tre interpretazioni da brividi: il Don Vito Corleone de “Il Padrino”, Paul di “Ultimo tango a Parigi” e lo straordinario colonnello Walter Kurtz nel capolavoro di Francis Ford Coppola “Apocalisse Now”.

Anni dopo, quando frequentavo il DAMS a Bologna, vidi altre due pellicole forse meno note ma altrettanto straordinarie, il suo film d’esordio, “Il mio corpo ti appartiene” dove Brando interpretava un giovane reduce della Seconda Guerra Mondiale tornato paraplegico, ruolo che lo portò a trascorrere un mese a letto in un ospedale, così come prevedevano le tecniche del Metodo Stanislavskij e “La caccia” nel ruolo dello sceriffo Calder senza macchia e senza peccatoattorniato da giovani attori come Robert Redford, Jane Fonda e James Fox e da nomi già affermati quali, E.G. Marshall, Robert Duvall e Angie Dickinson, ebbene la sola presenza scenica e la sua recitazione, elevavano Brando ad un livello inarrivabile.

Fu dopo una scorpacciata di pellicole, da lui interpretate, che mi resi conto di quanto rivoluzionario fosse il suo modo di recitare, toccarsi il lobo di un orecchio, grattarsi il naso, passare le dita sulla guancia o mordersi il labbro inferiore con estrema naturalezza, prima di Brando nessuno lo avrebbe fatto perché Brando era Brando, un artista capace di rifiutare un premio Oscar per protesta contro i maltrattamenti verso i nativi americani.

Anche visibilmente appesantito nel corpo e nello spirito, lo ricordo sorridente sfiorare una farfalla dolcemente con la mano, senza quel velo di tristezza e malinconia che ha sempre contraddistinto il suo sguardo, è stata una delle ultime immagini che ricordo dell’uomo venuto dal Nebraska. Chiudo questo mia testimonianza, con un particolare che mi colpì particolarmente durante una delle tante visioni di “Apocalypse Now”, il Rolex GMT Master con referenza 1675 e quadrante Mark IV, completamente personalizzato. Ebbene quell’orologio, non più tardi di qualche mese fa, è stato venduto all’asta per la modica somma di 4,77 milioni di euro. L’ora di Marlon Brando, non è mai finita perché, come canta il Liga, Marlon Brando è sempre lui.


A cura di Marco Benazzi editorialista – Foto Repertorio My Movies

Editorialista Benazzi Marco

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