Cento anni fa, il 3 aprile 1924 a Omaha, nel Nebraska, nasceva il terzogenito del produttore di Marlon Brando Senior.

Cresciuto tra la California, l’Illinois, il Minnesota (dove si fece cacciare dall’accademia militare) Brando approdò nel 1943 nella città di New York e inizio’ i corsi di recitazione di Stella Adler nella Dramatic Workshop di Erwin Piscator, dove rimase folgorato dal Metodo Stanislavskij, affinato poi all’Actors Studio di Lee Strasberg.

Dopo questo percorso, Marlon debutta a Broadway nella commedia «I Remember Mama» e, a guerra appena conclusa, si confermò in «A Flag is Born» di Ben Hecht.

A teatro si confermò con un successo personale in “Un tram che si chiama desiderio”. Dal palcoscenico teatrale arriva l’approccio al cinema e nel 1951 Elia Kazan lo volle per la versione hollywoodiana della commedia.

Con una forte personalità e uno sguardo dirompente, Brando divenne una star. Grazie allo suo modo di porsi, al suo stile, Marlon ebbe il successo al pari di un’intera generazione di attori, da Paul Newman a Gene Hackman. Tra le sue interpretazioni che lo hanno coronato come un’icona mondiale ricordiamo: Viva Zapata, Giulio Cesare in cui giganteggia nella parte di Marco Antonio, il Selvaggio. Dopo tre anni già con altrettante candidature come miglior attore per l’Oscar, ottiene il traguardo della Statuetta d’oro nel 1956 con Fronte del Porto a fianco di Steiger Rod. Di nuovo diretto da Kazan, interpreta lo scaricatore di porto ed ex pugile Terry Malloy, costretto dal fratello a truccare un incontro

Tornato per l’ultima volta in teatro con «Arms and the Man» da G.B. Shaw, abbracciò definitivamente Hollywood diventandone indiscusso protagonista, potente dominatore del cinema americano degli anni ’50 e ’60.

Arrivano film successivi che però non sono tra i più belli della storia del cinema: in «Desirée» Brando costruì un improbabile Napoleone a sua immagine e somiglianza, in «Bulli e pupe» provò senza grande convinzione a cantare e ballare.

In «Sayonara» (10 nomination) e ne «I giovani leoni» fu soltanto professionale, in «Pelle di serpente» lavorò soprattutto su nevrosi e depressione.

Eppure era ormai un modello indiscusso e una garanzia di successo, confermato nel 1962 dal trionfo di «Gli ammutinati del Bounty» nonostante le critiche che poi si dissolvono. Sul set incontrò la tahitiana Tarita Teriipia con la quale si sposò mesi dopo. L’impegno civile a fianco dei lavoratori nella marcia su Washington del 1963, il carattere irrefrenabile, le voci sulla sua bisessualità (come nel caso del tormentato rapporto con James Dean che lo idolatrava) lo videro sempre meno amato dagli Studios.

Dopo il fallimento de «La contessa di Hong Kong» diretto da Charlie Chaplin nel 1967 il suo declino apparve inarrestabile.
Quasi nascosto e depresso nel suo buen retiro a Tahiti, Marlon Brando sembrava chiuso, finito. Non fu così. Vennero in suo aiuto i produttori italiano con «Queimada» di Gillo Pontecorvo (oggi riscoperto come opera di culto) e «Ultimo tango a Parigi» di Bernardo Bertolucci che pure Brando accusò di manipolazione fino a una faticosa riconciliazione negli anni ’90.

Proprio il carisma costruitogli dal cinema europeo convinse poi  Francis Ford Coppola a battersi contro la Paramount per averlo nella parte di Don Vito Corleone ne «Il Padrino». Il risultato fu l’Oscar come miglior attore nel 1973. La sua apparizione davanti alla cinepresa, in controluce, voce roca e guance cadenti (ottenute con l’ovatta in bocca), un semplice gesto della mano e controllata mobilità dello sguardo rimangono un’insuperata lezione interpretativa.

Eppure Il Padrino sembrò il suo canto del cigno: tutto ciò che segue furono apparizioni di puro interesse alimentare, dolori privati (il suicidio della figlia Cheyenne) e pubbliche rabbie (la mancata presenza alla cerimonia dell’Oscar in solidarietà coi Nativi americani), fino alla spettacolare resurrezione come Colonnello Kurtz in Apocalypse Now, nuovamente con la regia di Coppola.

Poi, in un vortice autodistruttivo, Marlon Brando si trascinò fino alla morte per enfisema polmonare il 1 luglio 2004.

Nonostante i molti amori (quattro compagne ufficiali, 11 figli, innumerevoli amanti femminili e maschili), vertiginose salite alla gloria e clamorosi tonfi, nulla annulla oggi la sua icona di potenza fisica, bravura, prorompente personalità artistica.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Barlam 

Il Direttore Editoriale Carlo Costantini

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