Oggi parliamo degli effetti della legge n. 3 del 27/01/2012, ovvero della cosiddetta legge “salva – suicidi”. Ma vediamo nel concreto di cosa si tratta, chi può ottenere la procedura di “esdebitazione” e quali sono i requisiti per ottenerla. In pratica, l’imprenditore fallito, il debitore sottoposto alla liquidazione del patrimonio o il consumatore più in senso generale, possono chiedere che i creditori insoddisfatti, Equitalia compresa, smettano di agire giudizialmente per il recupero dei loro crediti. Si tratta in sostanza, dell’opportunità di rinegoziare i propri debiti attraverso un piano di ristrutturazione. In questo articolo parlerò esclusivamente della procedura, dedicata ai cosiddetti “consumatori”. Per accedere al piano del consumatore, dal contenuto completamente libero e aperto, in ogni caso, non basta la qualifica di consumatore, ma sono necessari ulteriori presupposti.

L’articolo 8 della legge numero 3/2012, infatti, prevede che la soddisfazione dei crediti possa avvenire attraverso qualsiasi modalità, anche mediante cessione dei crediti futuri. Essa, inoltre, nei casi in cui i beni e i redditi del debitore non risultino idonei a garantire la fattibilità del piano, deve essere sottoscritta da uno o più soggetti terzi che ne assicurino l’attuabilità. Se la proposta di piano del consumatore soddisfa i requisiti previsti dalla legge numero 3/2012, il giudice che l’ha ricevuta, dopo aver verificato l’assenza di atti in frode ai creditori, fissa immediatamente l’udienza, con decreto, e dispone la comunicazione, almeno trenta giorni prima, della proposta ai creditori, ad opera dell’organismo di composizione della crisi e, se ritiene che la loro prosecuzione potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, sospende anche gli eventuali procedimenti di esecuzione forzata. Dopo aver inquadrato la normativa vigente in materia e dopo ben 4 anni dalla pubblicazione della legge, ecco che finalmente la Corte di Cassazione è chiamata ad esprimersi in merito alla procedura in questione. Infatti, con la sentenza n. 1869 del 01/02/2016, sono più chiari i requisiti dei soggetti che hanno la facoltà di proporre il “Piano del Consumatore”, che è l’istituto che consente ad un debitore di stipulare un accordo anche senza il consenso dei creditori. Con la succitata sentenza, i giudici della Suprema Corte, forniscono un’interpretazione della legge n. 3 del 27/01/2012, definita anche “ristrutturazione da sovraindebitamento”, e stabiliscono il principio con cui individuare i requisiti che il debitore deve avere per avanzare una proposta di accordo per ristrutturare i suoi debiti. Per i giudici non è importante quale attività svolga il soggetto che propone il piano, purché i debiti siano stati contratti “per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi in un’attività d’impresa o professionale propria”.

Questo in altre parole significa che anche un lavoratore autonomo o un imprenditore, possono utilizzare l’istituto del “Piano del Consumatore”, ma solo ed esclusivamente per saldare debiti contratti in ambito personale o familiare e non debiti legati all’attività professionale, debiti legati concretamente all’attività svolta. Fino ad oggi il  Piano del Consumatore, era riservato alle persone senza Partita Iva che avevano contratto debiti legati alla loro vita privata. I lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori non fallibili invece, i cui debiti sono un mix di debiti personali e debiti derivanti da attività di impresa, per affrontare il sovraindebitamento, potevano solo usufruire della procedura che prevede un accordo con il 60% dei creditori e non anche del Piano del Consumatore. Con questa sentenza la Cassazione prova a fare chiarezza su quali siano i requisiti che deve avere un debitore per richiedere un piano di ristrutturazione per sovraindebitamento e distingue il debito in due tipologie:

1. Debito privato
2. Debito imprenditoriale

I giudici mostrano così di non condividere la restrizione della suddetta legge che definisce consumatore (cioè colui il quale può aderire al Piano), solo la persona fisica i cui debiti non sono stati contratti in attività di impresa. Per la Suprema Corte, per essere consumatore non conta l’attività svolta dal soggetto debitore che propone il Piano, ma la qualità del debito stesso. Il “consumatore” può dunque essere anche un imprenditore o lavoratore autonomo. Nelle sue conclusioni la Cassazione specifica anche quanto segue: “la nozione di consumatore (e, dunque, di soggetto abilitato al piano) non deve avere riguardo in sé e per sé ad una persona priva dal lato attivo di relazioni d’impresa o professionali, attuali o pregresse, purché le stesse non abbiano dato vita ad obbligazioni residue non ancora soddisfatte al momento della presentazione del piano”.

Questo in altri termini significa che l’imprenditore o il lavoratore autonomo che vuole proporre un piano di ristrutturazione, se nel suo sovraindebitamento, ha anche pendenze legate all’attività non è più “consumatore” e come non tale non può usufruire del Piano, ma per ristrutturare il debito dovrà ottenere l’accordo con il 60% dei creditori. La succitata sentenza si riferisce solo all’imprenditore sovraindebitato che intende proporre il Piano del Consumatore, con l’applicazione delle relative restrizioni. Resta inteso che, per chi avesse contratto debiti nell’ambito di un’attività commerciale, artigianale, professionale od agricola (tipico esempio la fidejussione personale rilasciata alla banca per garantire un fido, un mutuo,un finanziamento), esistono altri percorsi di esdebitazione, uno su tutti la procedura liquidatoria, che mediante il conferimento del patrimonio proprio o di terzi, soddisferà la massa debitoria sempre in modo proporzionale (ricavato netto diviso proporzionalmente tra gli aventi diritto) e soprattutto definitivo (estinzione perpetua di ogni debito). Infine, è bene ricordare che è possibile usufruire del piano, anche se il creditore è solo uno e corrisponde all’Agente di Riscossione (leggasi Equitalia).

Chiunque quindi abbia delle cartelle esattoriali che non è in grado di pagare a causa dei debiti accumulati, può proporre un pagamento commisurato alle proprie risorse finanziarie. Una volta approvato dal giudice, il programma sarà vincolante anche per Equitalia che dovrà cancellare le ipoteche, rinunciare al pignoramento ecc.

A cura del Prof. Pierluigi Vigo

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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