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Come in un romanzo di Thomas Mann, viviamo in spazi e tempi ristretti dalla consapevolezza della fragilita’.

Eppure in questa libertà sospesa, che a tratti, per i divieti imposti mal sopportiamo, poichè ci toglie pure la gioia di assaporare un fumante cappuccino con brioche, seduti sugli scalini di una piazza semideserta, scopriamo le nostre sensibilità verso le persone, i luoghi, gli oggetti.
Chissà, forse dovremmo guardare a queste settimane, e mesi, ormai, come fossero la nostra “Montagna Incantata”.
Come nel romanzo di Thomas Mann, uno spazio e un tempo stretti nel perimetro della fragilità.

Una sensibilità, forse nuova o forse no, antica, che attraversa la frenesia, la ripetitività, la noia di quando tutto era scontato.

Per arrivare dall’altra parte, per scoprire cosa c’è dall’altra parte della non consapevolezza.
Di tutto ci può essere: potrebbero essere 15 minuti trascorsi nella casa dei genitori, con la mascherina, con le finestre spalancate, con tua madre che, nel frattempo è diventata tua madre e tuo padre insieme, perchè lei custodisce la presenza di lui, che se ne è andato.
Girare lo sguardo, e scorgere sugli scaffali della camera che ci sono ancora i libri di scuola, su quelli più alti, le antologie delle medie, scendendo, ritrovi il liceo, e poi l’università.

Se guardi bene, ritrovi anche il “Mestiere di vivere” di Cesare Pavese che era diventato una specie di Lonely Planet dell’adolescenza.
Rileggi frasi sottolineate a grappoli: “Bello quando un giovane si ferma a contemplare il suo tumulto, e cerca di cogliere la realtà e stringe i pugni”.

Meno bello è farlo a 50, 60 anni!
Quando tornano i ricordi, quando osservi le foto che, implacabili, ti rimandano i visi cari, o quelli amati e perduti.
A novembre 2019 chi poteva immaginare cosa sarebbe successo?
Le nostre vite si consumavano per lo più “fuori dalle mura di casa”, al lavoro, a scuola, in macchina, in treno, si viaggiava, tra treni, bus, metrò, aereoporti, e la colazione si faceva al bar, e il quotidiano si leggeva al bar.
Ora siamo dentro, la casa torna ad essere un luogo di vita, e allora sensibilità significa anche osservare, e vedere che essa è stracolma di oggetti minuscoli, suoni di orologi che non si sono fermati, fotografie di eventi familiari, che sembravano inutilmente sospesi.
Come sarà il prossimo Natale?

Forse faremo un tampone collettivo per poterci sedere a tavola, lasciando entrare il vento da qualche via di fuga.
Dov’è finita la nostra libertà?

Provo a pormi questa domanda in maniera non retorica, ascoltando prima di tutto la voce della filosofia, e penso che qualche brandello di verità, da questa faccenda che si chiama covid, si possa trarre.
Una pandemia, come quella che stiamo vivendo, ci trova inermi, fa cadere il mito della Tecnica, che tutto può, che controlla, previene, cura, salva.
Certo, i vecchi virus sono stati sconfitti coi vaccini, benemeriti, ma altri e diversi.

Ora, con i mezzi forti della Cina, o con quelli più soft dell’Italia, ci è vietato giustamente l’assembramento.
E non solo non protestiamo, ma chiediamo alle autorità, e al governo di essere ancora più duri.
Ci auto isoliamo, immemori di tante teorie liberali sulla “ servitù volontaria”, che è il preludio all’avvento dei regimi totalitari.
Saremo in grado di riprenderci tutta la libertà che ci è stata tolta, o saremmo stati per qualcuno solo “topi di laboratorio” per un esperimento più vasto di ingegneria sociale o biopolitica?

A cura di Sandra Vezzani – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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