Vi confesso che sentire ogni giorno su di me le labbra di persone sconosciute, ma anche quelle degli habitué, magari i più sensibili, che ti sfiorano delicatamente come si fa con le cose alle quali si è più legati, ebbene mi produce un senso di beatitudine, come quelli che provano, veramente, cosa significa sentirsi desiderati.

Sembrerebbe tutto abbastanza normale, se non fosse che io non sono una liceale alla sua prima vera cotta o un avvocato che ha perso il lume della ragione per la sua segretaria, ma bensì una normale tazzina da caffè. Forse non troppo normale visto che il mio proprietario gestisce un bar nel centro di Torino, ed essendo un tifoso sfegatato del Torino calcio, ha adottato un set completo di tazzine, piattini e bicchieri con i colori e il logo del Toro, costringendo chiunque volesse consumare una qualsiasi bevanda, a baciare i colori della sua squadra del cuore.

I bidoncini dell’indifferenziata sono tutti bianconeri con la zebra stilizzata al centro. Certo, vivere e lavorare nella città dove è nato il caffè espresso, mi ha sempre esaltato, pensare che circa 140 anni fa, grazie ad Angelo Moriondo che brevettò la prima macchina da caffè espresso all’italiana, il modo di bere il caffè sarebbe cambiato in maniera rivoluzionaria, mi spingeva a sognare su come sarebbe stata la mia vita se anziché essere servita a clienti dal cuore granata, venissi portata ad un tavolo del “Caffè Platti”, che ebbe come affezionati clienti personaggi come Luigi Einaudi e Cesare Pavese.

Al mio interno, durante l’arco della mia giornata lavorativa, vedo entrare tanti modi di gustare caffè: ristretti, lunghi, macchiati, americani, cappuccini per poi diventare, in particolar modo dopo il pranzo e la cena, “corretti” che l’amico barista quando, in occasione della mia prima volta, gli chiesi “In che senso?” mi rispose, testuali parole: “nel senso che viene addizionato con svariati tipi di liquori, a seconda di gusti personali e delle abitudini regionali.” Così mi trovo a volte inondata di grappa, probabilmente perché quando il “Generale Inverno” invade la città, il rinforzo da adottare è una giusta dose di grappa, possibilemente non monovitigno perché, sempre a detta del barista, con il suo sapore troppo intenso, tende a coprire il gusto della miscela e in altre occasioni, e sono quelle che prediligo, la correzione viene fatta con sambuca, il cui gusto a metà strada tra il dolce e l’amaro, estremamente speziato, mi è difficile descrivere, ma, a detta dei palati fini che frequentano il “Bar Grande Torino”, riesce a creare un connubio perfetto con l’aroma del caffè.

C’è un cliente che spesso mi capita di servire, è una donna sulla cinquantina, che indossa sempre abiti che sembrano acquistati in una bancherella del mercato rionale, capello estremamente corto e occhiali da sole indossati tutto l’anno, ordina sempre un caffè alto e bollente rischiando un’ustione ogni volta che lo sorseggia, solitamente, seduta ad un tavolo all’esterno dell’esercizio per poi riportarmi sul bancone. Rispetto a tante altre avventrici, questa signora sconosciuta, a mio avviso come segno di rispetto, ha l’accortezza di togliere il lucidalabbra prima di consumare, e questo, ve lo garantisco, non è da tutte. Qualcuno ha scritto che la vita è una bellissimo e interminabile viaggio alla ricerca della perfetta tazza di caffè. Se vi va di provarmi, vi aspetto.

A cura di Marco Benazzi – Foto Imagoeconomica

Editorialista Benazzi Marco

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