I grandi amori non finiscono, mai. Possono prendersi delle pause, riflettere un po’, ma non si allontanano mai per sempre. Un grande amore (sportivo s’ intende), è quello di Adrian Ricchiuti con il Rimini. Una città, una squadra, una seconda casa per il centrocampista argentino. Ricchiuti (classe 1978), ha contribuito a portare i biancorossi in Serie B, all’epoca del compianto patròn Vincenzo Bellavista. Sono stati anni d’ oro quelli, culminati con il pareggio alla prima giornata del campionato cadetto 2006/07 con la Juventus, che resterà nella storia. Poi, sono arrivati gli anni bui, quelli delle retrocessioni e dei problemi societari, fino all’ estinzione del Rimini come lo conosceva e la nascita di uno nuovo che è partito dall’Eccellenza. Adrian ha vestito diverse maglie tra cui Ternana, Genoa, Carpi, Pistoiese, Livorno, Arezzo, Catania, Virtus Entella, La Fiorita e Delta Rovigo, ma solo una gli è rimasta cucita addosso: quella del Rimini.

Adrian, perché hai deciso di ritornare a Rimini?

“Ho sempre detto che sarei ritornato qua e così ho fatto. Questa è la mia casa, qui c’è la mia vita. Rimini per me è troppo importante e sono contento di aver sposato questo nuovo progetto che è serio e a lungo termine. Il Rimini ha vissuto dei momenti difficili, speriamo di riportare questa squadra, almeno, a disputare la Serie D e soprattutto il sorriso ai suoi tifosi”.

Dove può arrivare questa squadra?

“Il gruppo è formato da ottimi giocatori, ma è ancora presto per tirare le somme. Abbiamo iniziato abbastanza bene, ma ancora c’è tanta strada da fare. Io, per quello che posso, cercherò di dare una mano e anche se il fisico non è più quello di una volta, continuerò a correre e impegnarmi per questa maglia, per i riminesi e per il Rimini”.

Adrian, un commento sui fatti che hanno visto coinvolti i tifosi biancorossi a San Piero in Bagno?

“Non è sempre colpa dei tifosi. A volte sono i giocatori a provocare i tifosi. Noi calciatori dovremmo dare sempre l’ esempio e non andare a insultare o rivolgersi in maniera provocatoria nei confronti di chi sta guardando la partita. Bisognerebbe essere più educati e rispettosi”.

E‘ più difficile giocare a calcio o allenare, visto che sei anche tecnico dell’Accademia Vincenzo Bellavista?

“Allenare è molto difficile, perché devi prendere delle decisioni che non sono sempre facili. Però è una bella esperienza ed è quello che, un giorno, mi piacerebbe fare”.

A cura di Nicola Luccarelli

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui