Il sassofonista romano Massimo Urbani
Prima di parlarvi del sassofonista romano Massimo Urbani, vorrei analizzare la storia del sassofono e del suo inventore, il belga Adolphe Sax, nato il 6 novembre del 1814, a Dinant in Belgio e morto a Parigi il 4 febbraio del 1894
Fu membro di una famiglia franco-belga di costruttori di strumenti musicali in metallo, e così brevettò il suo strumento con il sistema ad ancia due lamelle di legno come risultato del suo tentativo di migliorare il timbro del clarinetto basso. L’accoglienza iniziale fu piuttosto tiepida sebbene il sassofono si possa considerare – insieme alla fisarmonica  – uno dei primi strumenti dell’era moderna, perché si basa su soluzioni acustiche del tutto nuove. Lo strumento fu in seguito impiegato da grandi compositori dell’epoca, come Hector Berlioz, e nel 1857 si istituì la prima cattedra di sassofono al Conservatorio di Parigi.
Sax partì dall’oficleide, uno strumento di ottone oggi caduto in disuso e rimpiazzato dalla tuba, sostituendo il bocchino a tazza in ottone con un bocchino ad ancia, prodotto con due lamelle di legno sottili. Nel quale non sono le vibrazioni delle labbra dello strumentista a trasmettersi alla colonna d’aria nel corpo dello strumento, ma quelle di una sottile lamella di legno. Nacque così il nuovo “oficleide” o “oficleide a bocchino”, prototipo dell’attuale sassofono. Nel 1956, tuttavia, anche Pierre – Luis Goutrot depositò il brevetto di uno strumento musicale derivato dall’oficleide, il sarrusofono che Sax alla sua veduta fece una critica, che lo portò ad intraprendere una battaglia legale per violazione del suo brevetto, perdendola. Il sarrusofono ha goduto in passato di una certa popolarità, ma è stato oggi soppiantato dal contro fagotto. A Sax però si devono anche l’invenzione di molti altri strumenti come il saxtromba e la saxtuba: senza il suo genio forse non avremmo la musica contemporanea.
Tuttavia Sax non riuscì mai a ottenere un vero e proprio profitto dalla sua invenzione, e gli ultimi anni della sua vita li trascorse in povertà. Mentre Sax era ancora in vita il suo strumento venne utilizzato soprattutto nella musica da camera, dalle orchestre e dalle bande militari. Dopo la sua morte, quando raggiunse gli Stati Uniti, divenne un punto fermo per i musicisti jazz. Tra i jazzisti e il sassofono è sempre stato amore a prima vista: “I musicisti jazz suonano come se fossero delle cantastorie – spiega Joe Santy del Museo degli Strumenti Musicali di Bruxelles – e il sassofono e un’ottimo strumento per farlo. Si può piangere e parlare e gridare nel sassofono, come si fa con la voce“. Se state spulciando tra i sassofoni venduti su online, forse è perché siete rimasti folgorati da un grande sassofonista del passato, lontano o recente oppure da qualcuno ancora in piena attività. Magari, invece, se vi state avvicinando a questo strumento e vorreste alcune dritte su qualche musicista da scoprire, qualunque siano le vostre motivazioni, allora, iniziamo così a scrivere di questi noti sassofonisti americani considerati tra i primi dieci migliori, secondo un sondaggio di professionisti del settore.
Coleman Hawkins è  unanimemente riconosciuto come il padre dei sassofonisti jazz.
Molti ritengono che si debba a lui l’identificazione del sassofono con il jazz. Nato il 21 novembre del 1904 a St. Joseph, trascorse la gioventù tra Chicago e Topeka. Di diplomò in musica e iniziò la sua carriera di musicista in Kansans per poi stabilirsi a New York  dove ebbe l’occasione di frequentare il trombettista Louis Armstrong. La sua versione del brano Body and Soul è ritenuta un classico assoluto della Musica Jazz.
Lester Youngu, può essere considerato come l’antagonista di Coleman Hawkins. Di Young ha esaltato il suo stile molto personale ed è stato fonte d’ispirazione per quei jazzisti che successivamente hanno dato vita a due rami del jazz: il Cool Jazz e il Bebop. Classe 1909, passò l’infanzia a New Orleans,  patria della Musica nera ; già a dieci anni entrò a far parte dell’orchestra di suo padre che di professione faceva l’operaio, ma il suo primo strumento non fu il sassofono bensì la batteria.
Stan Getz invece è stato uno degli esponenti di spicco della scena Cool Jazz. La sua carriera di professionista iniziò presto, quando aveva sedici anni con il trombettista Jack Teagarden. Seguirono altre importanti collaborazioni con l’orchestra di Stan Kenton e di Benny Goodman. Il periodo più prolifico della sua carriera è  senza dubbio quello tra il 1955 e il 1961 durante il quale Stan Getz pubblica nove opere discografiche adorate dalla critica e dal pubblico. Seguì un periodo non fortunatissimo al quale il musicista provò a reagire cimentandosi con la Bossa Nova, collaborando con il fior fiore dei musicisti brasiliani di quel periodo, da Antonio Carlos Jobim, dalla cantante Astrud Gilberto e dal chitarrista Joao Gilberto, Da Flora Purim e tanti altri.
Charlie Parker altro grande Sax tenore, oltre ad essere stato un grande sassofonista dalla tecnica sopraffina, ha il merito di essere stato uno dei padri del Bebop. Dopo essersi stabilito nella “Grande Mela” nel 1947, lui che già aveva alle spalle una buona carriera, cominciò a collaborare con gli artisti più influenti  della scena newyorkese. Parker, come molti altri jazzisti della sua epoca, ebbe problemi di droga, faceva uso di eroina e sebbene la causa ufficiale del decesso fu la polmonite, in tanti ritengono che a ucciderlo fu una overdose. La droga è gli altri eccessi segnarono totalmente la sua vita che il medico aveva stimato la sua età in circa 53 anni. Quando Charlie Parker morì, invece, ne aveva soltanto 34 degli anni.
Un’altro grande musicista fu il sax tenore John Coltrane. John merita di stare nell’Olimpo dei sasofonisti visto che fu anche un innovatore. A lui, infatti, si deve la tecnica Sheet of Sound. Gli assoli che eseguiva caratterizzavano per lunghezze e velocità; era come se le note che uscivano dal suo sax tenore si fondessero tra di loro. Pur essendo un virtuoso, sapeva bene (a differenza di altri) che la tecnica doveva stare al servizio della musica e non viceversa.
Invece Sonny Rollins, in campo Harbop è il vecchio musicista che ha pochi rivali. Il duo approccio è aggressivo e innovativo. L’educazione musicale è sempre stato un caposaldo per tutta la sua famiglia, tanto è vero che non solo lui ha studiato musica, ma anche i fratelli e le sorelle. Un simile contesto ha favorito non poco questo straordinario sassofonista e compositore. Nato nel 1930, sul finire degli anni Quaranta era già considerato una celebrità.
Michael Breacker è tra i sassofonisti venuti fuori negli anni Ottanta. E’ stato tra I migliori, se non il primo di quel periodo. Originario di Philadelphia, pur avendo solide basi jazz e una passione innegabile per Coltrane, Breacker non disprezzava la Musica Leggera, il Rock è le sperimentazioni; un esempio: negli anni novanta si dedicò all’uso dell’elettronica Wind Instrument che può essere considerato come un sax soprano elettronico con il quale si possono usare ed emettere suoni campionati. Insomma, non si può dire che fosse un integralista del jazz. Purtroppo una leucemia se lo portò via all’età di 57 anni.
Un’altro grande sassofonista è Wayne Shorter, figlio di un grande appassionato di Musica Jazz, seppur come semplice ascoltatore, presto Wayne familiarizza con questo genere musicale. È cresciuto anche lui come altri suoi colleghi ascoltando musicisti del calibro di Lester Young,  Coleman Hawkins è Charlie Parker, ma di lui, almeno durante la prima parte della sua carriera, è di Coltrane l’influenza maggiore e più evidente. Dall’ingombrante ambra si libera successivamente sviluppando uno stile più personale pur sempre facendo tesoro dei maestri della sua giovinezza.
Invece il baritonista Gerry Mulligan newyorkese DOC, classe 1927, è stato tra i fondatori della corrente Cool Jazz. Sebbene il suo strumento principale sia il sax baritono, fin da giovane si è cimentato con diversi strumenti. La sua abilità si rispecchia anche nelle tantissime collaborazioni con la maggior parte dei grandi musicisti del suo tempo. Aveva un legame particolare con l’Italia e in particolare con la città di Milano dove visse e dove trovò moglie. Le sue apparizioni al Capoline, storico locale jazz del capoluogo lombardo, erano tutt’altro che sporadiche e spesso suonava il jam sessions con i musicisti presenti al club.
Si arriva all’ultimo artista Phil Wood, formatosi con il pianista Lennie Tristano e presso la Juilliard School dove il sassofonista ha conseguito il diploma in clarinetto (non c’era una classe di sassofono), diventò celebre grazie alla sua partecipazione con l’orchestra del trombettista Dizzy Gillespie. Da lì in poi seguono svariate collaborazioni e progetti vari, anche in Europa.

Dopo questa analisi dei dieci famosi sassofonisti più influenti della storia della Musica Jazz,  vi presento un noto artista anch’esso sassofonista, Massimo Urbani. “La storia del jazz è costellata di grandi solisti, grandi arrangiatori, grandi compositori e band leader. Ma geni veri e propri c’è n’è sono stati solo alcune decine, in circa 100 anni: uno di questi era italiano. Assolutamente “imbranato”, con le dita sapeva solo suonare il sassofono. Assolutamente fragile, al punto da autodistruggersi a soli trentasei anni; difficile convivere col suo carattere ribelle a volte nichilista.
Io gli sono amico”: ricorda il musicista Roberto Del Piano in un’articolo del 2 maggio del 2020, su Musica, numero 60.
“Abbiamo condiviso molto insieme non solo musica: lui sapeva che quando ne avesse avuto bisogno, a Milano avrebbe avuto sempre a disposizione un luogo accogliente. Mia madre lo rifocillava, lo vestiva (una volta arrivò in pieno inverno in sandali e maglietta), gli donava qualche briciola di saggezza contadina. Ma nessuno, neanche io, sono stato capace di aiutarlo e, a un certo punto, era il 1979, le nostre strade si sono definitivamente separate e non ci siamo più incontrati di persona. Solo una volta ci siamo salutati a distanza […]”.
“[…] La Rai (Radio3, ricorda Roberto del Piano trasmetteva concerti in diretta con due formazioni che suonavano in città diverse, ma che potevano sentirsi reciprocamente; così Massimo, saputo che ero presente, mi salutò calorosamente, attraverso l’etere, infischiandosene come sempre di regole e convenzioni […]¹”.
Massimo Urbani nasce a Roma, nel quartiere Monte Mario, ispirato dal padre, appassionato di jazz, vero enfant prodige, inizia a studiare il clarinetto all’età di 11anni, per passare al sassofono, strumento con cui viene notato dai musicisti Mario Schiano e Marcello Melis grazie al talento del musicista romano e al suo stile che si rifà agli insegnamenti del grande Charlie Parker e dell’altro sassofonista Albert Ayler. Massimo Urbani appare per la prima volta nell’opera discografica “Sud” progetto di Mario Shiano suo collega. Segue poi dei corsi come uditore del Maestro, il pianista, Giorgio Gaslini presso il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma.
Nell’anno 1974 sono innumerevoli gli impegni. Il primo nel progetto di Luy e Altomare, nell’opera discografica “Chiaro” e nello stesso anno partecipa alla prestigiosa edizione della rassegna Umbria Jazz e conosce il celebre sassofonista Sonny Stitt; entra poi a far parte di un’importante progetto, quello della Collective Orchestra del musicista, compositore e direttore di big band Gaetano Liguori. Nel 1976 fu invitato dal trombettista triestino Enrico Rava in America, ma quando lui arrivò inaspettatamente negli Stati Uniti, fece perdere le sue tracce per un paio di giorni, nei quali dormì al Central Park, mentre frequentò le jam session nei locali notturni della Grande Mela, coi migliori jazzisti americani presenti sulla scena newyorkese.
Nel 1977 di ritorno dagli Stati Uniti, al Capolinea il club milanese, il sassofonista incontra Albero Alberti celebre produttore bolognese, col quale approda a varie iniziative e incontri fondamentali per la sua carriera. In quel periodo risalta nel panorama jazz attraverso incontri con i più quotati musicisti americani e non, fra quali Chet Baker,  Art Taylor, Sal Nistico, Jack DeJohnnette, Steve Lacy, Steve Grossman, nonché Walter Davis, Kenny Drew, Jack McLean, Louis Hayes, Donald Byrd, Bever Harris e Tony Scott.
Il sassofonista romano incide numerosi dischi fra i quali “360°Aeutopia” progetto del 1979, che lo consacra definitivamente alla critica internazionale vincendo il 18° Premio della Critica Discografica per il Jazz” nel 1980.
Nel corso degli anni la sua inquietudine però, lo trascina verso una grave tossicodipendenza. Nel 1991 partecipa alla prestigiosa Kermesse Internazionale JazzBo, regalando una delle performances più cristalline a testimonianza indelebile del duo straordinario talento.
Massimo Urbani, muore a soli 36 anni la sera del 23 giugno del 1993, per collasso cardiocircolatorio seguito di un’overdose di eroina. In sua memoria, e stato istituito il Premio Massimo Urbani e la sua interpretazione di “Everything Happens To Me“, dall’opera discografica “The Blessing“, è tuttora ritenuta da molti drl settore musicale tra le migliori mai realizzate.
Massimo Urbani è considerato a livello internazionale uno dei maggiori interpreti  della storia del jazz.
A cura di Alessandro Poletti – Foto Repertorio
Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui