Sono donna, ed anche anagraficamente datata, per ricordarmi che, negli anni ’90, i calciatori cominciarono ad affiancarsi in modo deciso alla comunicazione e al prodotto dei propri sponsor tecnici.

Si veniva da un decennio in cui gli sponsor si erano affacciati sulle divise ufficiali, Paolo Rossi faceva gli spot televisivi per il latte, e poco altro.
Poco dopo e’ apparsa la NIKE, con la nazionale brasiliana, Rolando in testa!
Dinamiche che cambiarono il calcio per sempre, e che in qualche modo andarono a braccetto con la diffusione del calcio, penso alle paytv con le partite live, e con una prima attivita’ di “branding” riguardante le leghe e i tornei principali (la Premier League nasce nel 1992, stesso anno in cui la Coppa dei Campioni diventa Champions League).
Nasce il calcio moderno, e lo sport diventa un vero e proprio settore industriale, i suoi protagonisti da quel momento entrano a pieno titolo nelle dinamiche che regolano marketing e comunicazione.

Fino a più di un lustro fa, parlare di calcio a una sfilata di moda, era pressoche’ un attivita’ carbonara e clandestina, appannaggio di pochi, roba da infilare la Gazzetta dentro Vogue per non farsi scoprire.
Alle feste di moda non si entrava con le “sneaker”, chi correva o andava in palestra in quell’ambiente, lo faceva quasi di nascosto.
Eppure, da quel periodo ad oggi, sembrano essere passate un paio di ere geologiche.
In mezzo ci sono stati lo sdognamento definitivo dello “streetwear” da passerella, la consacrazione della cultura afro-americana nel pop e nell’estetica contemporanea, di cui lo sport è parte integrante e fondamentale.
Lo sportswear elevato a stile di vita e’definitivamente protagonista al pari dell’abbigliamento formale.

Nel 2018 si e’ consacrato definitivamente il connubio tra moda e pallone, e ciò lo si deve a un paio di generazioni di campioni pienamente consapevoli che il loro ruolo non si esaurisce sul campo da gioco, che far parte dello “star-system” e’ un lavoro complicato oggi, e grazie ai social, essere un modello per milioni di ragazzi vuol dire essere un brand, dunque uno sportivo diventa fondamentalmente un persona di spettacolo al pari di un artista.

Non sappiamo francamente dove tutto cio’ ci portera’, ma comunque e’ interessante accendere un faro su una generazione e su due mondi che stanno unendo i puntini e, nel farlo, stanno ridisegnando estetica e costumi contemporanei.
Mica roba da poco, perché comunque, come dice bene il noto psichiatra Vittorino Andreoli nel suo ultimo libro “L’uomo con il cervello in tasca”, riferendosi alla rivoluzione digitale e all’uso che ormai tutti ne facciamo, anche se padroneggieremo l’uso della tecnologia aggiungendo una dose di umanita’, essa cambiera’ comunque il nostro costume di vita.

E il calcio c’e’, e francamente sono contenta che ci sia senza tanti complessi, e concludo rimandandovi questa immagine.
In occasione di Pitti Uomo 2018 a Firenze, la Mostra ”Fanatic Feelings” indagava con grande arguzia lo stretto rapporto tra stilisti e calciatori, brand e squadre.
Interessante è sapere che una parte del ricavato della vendita di capi e di accessori del Fanatic Feelings Market e’ andata a sostenere progetti sociali come l’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze.
Che dire? Anche il fashion football, se usato in modo “sostenibile”, forse puo’ fare la differenza!

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Gettyimages

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui