Il 68,9% delle imprese è in piena attività nonostante l’emergenza sanitaria da Covid, il 23,9% è parzialmente aperta, svolgendo la propria attività in condizioni limitate in termini di spazi, orari e accesso della clientela, mentre il 7,2% è chiusa.
E’ quanto emerge dal report Istat sulle imprese di fronte al Covid nel quale sono state intervistate oltre un milione di imprese tra ottobre e novembre con riferimento al periodo giugno-ottobre.

Circa 73 mila imprese,che pesano per il 4% dell’occupazione, hanno dichiarato di essere chiuse: 55 mila prevedono di riaprire e 17 mila no (l’1,7% delle imprese pari allo 0,9% degli occupati). I quattro quinti delle imprese oggetto di indagine (804 mila, pari al 78,9% del totale) sono microimprese (con 3-9 addetti in organico), 189 mila (pari al 18,6%) appartengono al segmento delle piccole (10-49 addetti) mentre sono circa 22 mila quelle medie (50-249 addetti) e 3 mila le grandi (250 addetti e oltre) che insieme rappresentano il 2,6% del totale. Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 29,3% nel Nord-ovest e il 23,4% nel Nord-est), il 21,5% al Centro e il 25,9% nel Mezzogiorno. L’85% delle unità produttive “chiuse” sono microimprese e si concentrano nel settore dei servizi non commerciali (58 mila unità, pari al 12,5% del totale), in cui è elevata anche la quota di aziende parzialmente aperte (35,2%).

Le attività sportive e di intrattenimento presentano la più alta incidenza di chiusura, seguite dai servizi alberghieri e ricettivi e dalle case da gioco. Una quota significativa di imprese attualmente non operative si riscontra anche nel settore della ristorazione (circa 30 mila imprese di cui 5 mila non prevedono di riprendere) e in quello del commercio al dettaglio (7 mila imprese). Il 28,3% degli esercizi al dettaglio chiusi non prevede di riaprire rispetto all’11,3 % delle strutture ricettive, al 14,6% delle attività sportive e di intrattenimento e al 17,3% delle imprese di servizi di ristorazione non operative.

Tra le imprese attualmente non operative, quelle presenti nel Mezzogiorno sono a maggior rischio di chiusura definitiva: il 31,9% delle imprese chiuse (pari a 6 mila unità) prevede di non riaprire, rispetto al 27,6% del Centro, al 23% del Nord-ovest e al 13,8% del Nord-est (24% in Italia). Il 61% delle imprese prevede un calo di fatturato nei prossimi mesi Oltre sei imprese su 10 (il 61,5%) prevedono per il periodo dicembre febbraio perdite di fatturato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Lo si legge nel Report Istat sulle imprese di fronte all’emergenza sanitaria da Covid 19, in cui viene sottolineato che nel 40% dei casi il calo è previsto tra il 10 e il 50%, nel 15,1% di oltre il 50% e nel 6,4% di meno del 10%. Il 52,5% delle imprese intervistate conferma l’andamento sperimentato nel periodo giugno-ottobre 2020. Nei rimanenti casi invece, prevale un giudizio più negativo. Quasi una impresa su quattro (226 mila unità, pari al 22,6% delle imprese e al 18%dell’occupazione) prevede un peggioramento e il 18,0% (18 mila)non è in grado di fare previsioni.

Le valutazioni negative sono diffuse nei settori più colpiti dalla crisi, ossia servizi di alloggio (42,1%),ristorazione (31,9%), agenzie di viaggio e tour operator (35,8%), attività sportive, di intrattenimento e divertimento (32,2%) e attività creative e artistiche (31,6%). Considerando le imprese che hanno dichiarato un incremento del fatturato nel periodo giugno-ottobre (circa 100 mila), solo il 17,5% conferma una dinamica positiva per dicembre 2020-febbraio 2021, segnalando un andamento meno positivo nel 52,7% dei casi e una maggior incertezza, rappresentata dalla difficoltà di fare una previsione, nel 29,9% dei casi.

Raddoppiate le imprese che vendono sul web
Quasi raddoppiate le imprese che vendono beni o servizi sul proprio sito web. E’ quanto emerge dal report Istat su “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”. L’utilizzo di canali di vendita online da parte delle imprese, sebbene in forte sviluppo, resta piuttosto limitato a causa di alcuni fattori strutturali. In primo luogo, la maggioranza delle imprese non vende i suoi prodotti o servizi ai consumatori finali ma piuttosto ad altre imprese e quindi non trova utile esporre il catalogo prodotti su un sito web, proprio o di intermediari.

In secondo luogo, la rete del commercio al dettaglio tradizionale presenta un radicamento nel sistema economico che deriva anche dalla propensione della clientela all’interazione diretta con il venditore. Nonostante ciò, la vendita di beni o servizi mediante proprio sito web (e-commerce), adottata prima della crisi Covid dal 9,2% delle imprese italiane con 3 addetti e oltre (circa 90 mila imprese), è quasi raddoppiata e riguarda attualmente il 17,4% delle stesse. Si stima quindi che circa 170 mila imprese dispongano attualmente di siti web per l’e-commerce. Inoltre, una parte dell’offerta online di prodotti e servizi è mediata da piattaforme digitali che operano come intermediari commerciali tra una molteplicità di imprese e i consumatori. Queste piattaforme consentono alle imprese di entrare in contatto con un elevato numero di potenziali clienti, sia in Italia sia all’estero, ma sono spesso legate a specifici settori e più costose della vendita diretta.

Prima della crisi le utilizzava il 2,7% delle imprese ma con l’emergenza la quota è salita al 6,5% (circa 64 mila imprese). Se il cliente è un’impresa, i canali commerciali sono più diretti e con un’interazione costante tra fornitore e acquirente che non resta però impermeabile ai processi di digitalizzazione.

L’interazione diretta con i clienti, ad esempio via e-mail, è addirittura il canale digitale di commercializzazione più utilizzato dalle imprese (15,7% pre-Covid, ha raggiunto il 27,8% durante la crisi, circa 275mila imprese).

Anche il sistema dei pagamenti è influenzato dalla digitalizzazione.
Dal 5,3% prima della crisi Covid, la quota di imprese che utilizzano sistemi di pagamento sicuro via Internet è passata al 10,5%. Riguardo la diffusione dei pagamenti elettronici (cashless), l’incidenza di imprese che li hanno adottati durante la crisi, essenzialmente nel settore del commercio, ha raggiunto il 15% dal 9,8% del periodo antecedente.

A cura di Renato Lolli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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