Parte terza

LA STORIA DELLA CANZONE E DELLA MUSICA BLUES DEGLI SCHIAVI AFROAMERICANI.

(Dal libro dal titolo Blues, La musica del diavolo, autore Giles OaKley, traduzione di Umberto Fiori.
2009 ShaKe Edizioni, Milano).
L’autore Giles OaKley, descrive in questa prima parte, la vita di W.C. Handy musicista e cornettista dei primi anni del Novecento. Racconta:
“W.C. Handy fu uno dei primi a intravedere le possibilità commerciali del Blues. Nel 1903 accettò l’offerta fattagli di dirigere la banda dei Knights of Pythias (Cavalieri di Pythia) di Clarksdale (Mississippi), e con loro girò per le cittadine e i paesi della zona, suonando ai balli e facendo le serate nei locali notturni e nelle sontuose case padronali delle piantagioni. La sua musica era quella delle bande “rispettabili e convenzionali” e come musicista colto aveva una buona conoscenza della musica europea. Nella sua infanzia e nella giovinezza aveva ascoltato la musica dei neri poveri e analfabeti, assimilando molte melodie e frammenti di canzoni, ma senza dar loro molto peso.
La svolta è legata alla sua esperienza nel Mississippi nel 1903. A parte l’episodio della stazione ferroviaria di Tutwiller, quando resto colpito dal musicista straccione che, passando un coltello sulle corde della chitarra, cantava:

Goin’ where the southern cross the Dog.

Vado dove la Croce del Sud incontra il cane.

“La vera illuminazione di Handy arrivò durante un ballo nella città di Cleveland. Stava dirigendo la sua orchestra che eseguiva un repertorio ballabile, quando gli passarono un bigliettino con la richiesta di suonare un po’ della “nostra musica di casa”.
La vecchia melodia del Sud che l’orchestra eseguì ebbe come unico risultato l’invio di un un’altro bigliettino: avevano qualcosa in contrario a far suonare il complesso di colore del posto? Il gruppo di Handy si ritirò cortesemente dal palco e l’orchestra locale salì.
“Erano diretti da uno spilungone color cioccolato e l’organico consisteva in tre soli elementi: una chitarra scassata, un mandolino e un basso in pessime condizioni. La musica che facevano era perfettamente intonata al loro aspetto: attaccarono uno di quei motivi che si ripetono continuamente, e che sembra non abbiano un inizio molto chiaro e di sicuro nessuna fine. L’accompagnamento era fastidiosamente monotono non si fermava; era quel genere di musica da sempre associata ai vincoli e agli argini dei fiumi. Tump tump tump facevano i loro piedi sul pavimento, e loro strabuzzavano gli occhi, dondolando le spalle, mentre quel motivetto agonizzante continuava. Non che fosse così noioso e brutto; forse ossessionante è il termine più adatto, ma io mi chiedevo se sarebbe piaciuto a qualcuno, oltre ai paesani e alle loro compagne”.
“La risposta all’interrogativo di Handy non doveva tardare. Una pioggia di dollari, di quarti di dollaro, di mezzi dollari di riversò sul pavimento ai piedi della piccola string band, e ben presto quei tre avevano raccolto in dollari d’argento più della paga dei nove elementi dell’orchestra di Handy per quella sera. “Allora vidi la bellezza della musica primitiva. Loro avevano quel che piaceva alla gente: c’ero arrivato”.

Da allora Handy cominciò ad arrangiare motivetti locali, e si fece un nome lui stesso come compositore ed editore di melodie blues basate su autentiche arie folk. Il suo ruolo nella storia del blues è più quello di un diffusore e di un un’editore che di un un’esecutore: lo stile della sua orchestra era sempre troppo formale per essere considerato un prodotto genuino, ma nel dare forma alla musica che nasceva, in modo casuale e slegato, in tutto il Sud, contribuì a farle assumere un’identità. Nel 1912 fu il terzo nel giro di pochi mesi a pubblicare un brano musicale sotto il nome di blues: era il famoso Memphis Blues. Fino ad allora il termine Blues era stato applicato indifferentemente a un vasto spettro di canzoni: work songs, love songs, devil songs, ditties, ballits, over and overs, slow drag, pats, stomps e ogni genere di musica da bordello; ma più o meno attorno al 1910 questa forma aveva raggiunto una sua coerenza distinta che le permetteva di essere riconosciuta come blues; si trattava ancora di versi indipendenti, senza alcun titolo particolare, al di là del primo verso, per poterli distinguere uno dall’altro.
Il reverendo Ledell Johnson, nato nel Mississippi nel 1892, ricorda la musica che facevano i suoi zii con la loro orchestrina, “un vecchio gruppo di dilettanti”. Suo zio George “non ne sapeva niente, di questo blues. Suonava delle vecchie canzonette così… i blues che avevano, secondo me non valevano dieci centesimi. Una cosa che ricordo è una vecchia canzonetta che facevano:

Buck up to me, buck up to you,
That’s the Way my honey do.

Salta addosso a me, salta addosso a te, / ecco come fa il mio tesoro.

Sam Chatmon aveva quattro anni nel 1903, e dice che allora cantava:

Run down to the River thought I’d jump in an’ drown
I thought about the woman I lovin’ and I turn around.

Son corso giù al fiume per annegarmi, / poi ho pensato alla donna che amo e son tornato indietro.

https://youtu.be/EkOcO5HXbk8

A quei tempi Sam non aveva mai sentito il termine Blues usato in riferimento alla musica.
“No, a quei tempi non conoscevo altro che la Squere-dance, il Fox-trot e il Valzer, il Two-step, e poi inventarono un’altro ballo, dopo un po’, che chiamavano “the Dip”. Si suonava della musica scelta, un po’ ragtime, e i bianchi facevano il ballo del dip! Ecco come ho imparato a suonare tutto quel genere di musica svelta.

Un’altro cantante, Henry Townsend, nato nel Mississippi nel 1909, ricorda i nomi del Blues della sua giovinezza: “C’erano un sacco di nomi per quelle canzoni; si chiamavano, vediamo, “corn song”, e le chiamavano anche ‘reels’, e io penso che, be’, si, sono reali, perché dicono la verità! [l’equivoco e tra ‘reel’, una forma di musica da ballo, e ‘real’ aggettivo che significa vero, reale, N.d.T.].

” In una certa misura, la pubblicazione di Memphis Blues da parte di Handy e le altre pubblicazioni nel 1912 cristalizzavano la musica in uno schema coerente, usando la struttura di dodici battute con cui il blues è ancora conosciuto, per lo più. La composizione piu nota di Handy, St. Louis Blues, ha la forma classica del primo verso ripetuto e poi seguito da un terzo che rima:

I hate to see de ev’nin’ sun go down,
I gate ti see de ev’nin’ sin go down,
Cause ma baby, she donne lef dis Town.

Odio la sera, quando il sole se né va; / odio la sera, quando il sole se né va, / perché la mia ragazza ha lasciato la città.

Moltissimi blues sono costruiti secondo questa struttura: tre versi, dodici battute musicali. Chiedete a qualsiasi musicista Jazz o pop di suonare un blues, e verrà fuori un twelve-bar-blues, un blues di dodici battute.
Ma mentre molti autentici esecutori di Blues si attengono a questo schema, molti altri usano un numero irregolare e variabile di battute: otto, undici, dodici e mezza, secondo la necessità espressive del pezzo. È la combinazione di elementi vocali, ritmici e formali, personalizzata, che dà a questa musica la sua espressività particolare.

Poche composizioni di W.C. Handy sono entrate nel repertorio dei musicisti di blues, T-Bone Walker osservava: “Senti, prendiamo un pezzo come St. Louis Blues. È un bel motivo, e sa un po’ di blues, ma non è il blues. Non puoi agghindarlo, il blues… non dico che St. Louis Blues non sia buona musica, capisci? Ma non è proprio blues”.

Per molti storici del blues non è per niente sorprendente che la “illuminazione di W.C. Handy sia avvenuta nel Mississippi”. Molti sono convinti che il blues abbia avuto origine là, in un anno imprecisato tra il 1890 e il 1900. Uno di questi storici è Samuel Charters, il quale conclude che, nonostante tutto, “i primi blues sono stati cantati proprio nelle province del Delta del Mississippi”. Che sia vero o no, è una questione controversa; l’importante è comunque l’enorme ricchezza della musica del Mississippi, che ha prodotto una varietà di stili influenzando e modellando continuamente la cultura popolare americana. Numerosissimi blues singer di gran classe provenivano dal Mississippi, e molti di loro si spostarono in altre zone del paese e nelle città del Nord, portando con sé la sonorità affascinanti del Mississippi blues”.
“Nell’ultimo decennio dell’Ottocento la concentrazione di neri nel Mississippi era più alta che in qualsiasi altra regione. In certe zone i neri superavano per numero i bianchi in proporzione di due o tre contro uno.
Questo valeva specialmente per la zona chiamata Delta del Mississippi.

Il termine non si riferisce alla zona in cui il fiume sfocia nel Golfo del Messico, come il Nilo sfocia nel Mediterraneo; è un termine locale che designa arbitrariamente la parte dello stato che è costeggiata a ovest dal Mississippi, più o meno da Memphis a Vicksburg, e a est dal fiume Yazoo. È una pianura spazzata per secoli dalle piene incontrollate del fiume, che hanno accumulato un terreno tra i più ricchi del Sud. La terra era stata spianata e coltivata dagli schiavi, che costituivano la maggioranza della popolazione tra il 1840 e il 1850. Si erano costruiti degli argini per controllare il corso del fiume e quell’area era diventata sempre più popolosa dopo la Guerra civile. Dopo la costruzione di strade e ferrovie, i neri poveri e analfabeti erano attratti in numero sempre maggiore in quella zona dalle promesse, fatte dagli agenti di collocamento al servizio dei piantatori, di paghe più alte. La vita del Delta del Mississippi, praticamente limitata alla mezzadria e al bracciantato nelle nuove piantagioni di proprietà dei bianchi, che coltivavano cotone escludendo ogni altra cultura, era la quintessenza dell’isolamento sociale dei neri e della segregazione.

Il dominio dei bianchi era assoluto dal punto di vista economico, culturale, politico, e sociale […]”.
“[…] I neri erano emarginati socialmente e dal punto di vista razziale, economicamente sfruttati e politicamente castrati, nel Mississippi come nelle altre regioni del Sud. La segregazione e l’umiliazione, più o meno pesanti, erano destino di ogni nero povero o meno povero; ma all’interno della loro comunità, entro i confini della loro miseria, i neri cominciavano a creare un nuovo modo di vita”.

“Gran parte di questa vita era imperniata sulla chiesa, cittadella della forza collettiva sotto la schiavitù. Nel suo libro The Negro Revolt Louis E. Climax dice che:
“Ascoltando la pura poesia del predicatore nero e rispondendogli con fervore, le masse nere elaboravono un loro senso della storia e una filosofia morale. E incredibilmente istruttivo stare là seduti una domenica dopo l’altra, anno dopo anno, ad ascoltare un prete che traccia la storia degli ebrei dal giorno in cui Dio sputò fuori i sette mari al tempo in cui Giovanni nell’Apocalisse chiuse la Bibbia e disse che tutta la verità era stata rivelata.

Anche chi tra noi non sapeva leggere, arrivò a concepire la storia come qualcosa che si muoveva che cambiava; non dubitiamo mai che l’uomo come creatura avesse uno scopo e noi, senza dubbio, eravamo una parte di questo scopo.

“La chiesa la religione come istituzioni sociali e come sistemi di credenze forse fornirono alla comunità nera un contesto globale e universale in cui inserirsi, una struttura che per alcuni era una difesa dagli aspetti più crudeli della realtà, per altri un rifugio e una sorgente di forza: questo contesto dava autorità e dignità agli anziani e ai capi, e il contenuto emotivo e l’esuberanza delle sue funzioni sacre e della sua musica davano uno sbocco ai sentimenti repressi, alle gioie comuni. C’era comunque un universo parallelo di divertimento laico che lo corteggiava, non senza difficoltà e con frequenti tensioni, ed era il mondo del blues. Poiché questa musica era considerata ‘peccaminosa’, ‘diabolica’, il Blues singer era continuamente chiamato a redimersi, e i genitori tenevano lontano i loro figli dal Blues. Il Blues singer poteva difendersi accusando il predicatore di essere un ipocrita, di blandire e di sfruttare vergognosamente la superstizione degli altri.

Ma nonostante i conflitti, i due mondi spesso si sovrapponevano, molti Blues singer ‘si convertivano’ e qualche predicatore si dava al Blues. Il Blues singer era in grado di dar forma a sentimenti e atteggiamenti che la chiesa raramente toccava: la visione globale fornita dalla religione era completata dal mondo interiore dei sentimenti personali, delle emozioni vissute a livello individuale, ma condivise con il gruppo. Quando si chiede ai Blues singer di definire il blues, molti rispondono che ‘the blues is a feeling’ (il blues è un sentimento) […]”.

“[…] Molti neri si affinerebbero ancora oggi se gli dicesse che il Blues singer è un loro “portavoce”, così come altro avrebbero rifiutato, e rifiuterebbero ancora, il predicatore come loro portavoce. ciononostante, esisteva di fatto una comunità Blues in qualche modo definita e resa significante dal processo di creazione e di partecipazione a una cultura comune, e all’interno di quel mondo molti cantanti si consideravano degli entertainers; ma l’idea che il blues fosse l’espressione di emozioni sentite profondamente faceva di questa musica qualcosa di più di un semplice divertimento.

“La Musica del diavolo, non penso al diavolo importi della verità, cosa ne dici?” chiede Henry Townsend. “Perché quello è il suo marchio, il diavolo è qualcosa di terribile, e non gli piace niente di quello che è vero e bello. Ci sono un sacco di cose che ci hanno detto, che dobbiamo rifiutare perché non sono vere. Mi hanno parlato anche della Bibbia, ma no, no, quello che dicevano suonava male. E poi, avanti negli anni, ho scoperto che non era vero neanche quello. E allora, per dirtela tutta, io mi tengo il mio Blues, e non ho paura di suonarlo perché temo che all’inferno ci andrò comunque, sia quel che sia. E no mi fa paura! […]”.

Ecco come vedete e leggete il Blues, se vogliamo chiamarlo potremo dire che è una filosofia di pensiero, certamente quello che i Blues singer cantavano era tutto negativo, ma bisogna anche capire questo canto accompagnato da un musica, che in certi momenti poteva essere lamentosa o noiosa è nata dagli africani, si proprio dagli africani, noi li consideriamo afroamericani, ma bisogna capire che la loro terra e la cultura era ed è l’Africa non l’America.
I canti, le intonazioni corali, provengono dall’Africa.

La cultura jurubica, proveniente dall’Africa Occidentale, furono i primi africani ad arrivare come schiavi nell’America Latina, e precisamente a Cuba e nelle isole domenicane, portando la loro cultura della musica jurubica, che poi diede il via a vari stili di musica, negli anni e poi varie altre forme, come la Rumba.
Gli Youruba, un vasto gruppo etno-linguistico di circa 40 milioni di persone, popolazione diffusa nell’Africa Occidentale.
Presenti soprattutto in Nigeria con il 30% della popolazione, ma anche in Benin, Togo e Sierra Leone.
Nel periodo della tratta degli schiavi molti di questi abitanti furono deportati nelle Americhe, quella Latina e quella del Nord, ma una maggiore popolazione si trova nell’America Latina, Brasile, Cuba, Porto Rico, Repubblica Domenicana, Haiti, Trinidad e nei Caraibi.

La Cultura Yourubica include tipi di manifestazioni di tipo teatrale e narrativo, alcune delle quali sono riconosciute dall’UNESCO come parte del patrimonio morale e intangibile dell’umanità, in particolare sono rinomate le recite in maschera Youruba l’ifa’, un corpus di poemi usati nelle cerimonie di divinazione.

Innumerevoli studiosi hanno analizzato comportamenti rituali degli Egungun, la religione tradizionale Yourubica detta nello Stato di Cuba, Regla de Ocho o Santeria è complessa, è dotata di un ricco Olimpo di divinità (Arisha).
Alorum (o Alodumare) è venerato come Dio-Creatore, mentre altre figure divine sono considerate come emissari o intermediari fra Alorum e gli uomini, importante è anche durante questi riti la musica e i canti […].

[…] Nel Canto e nella Musicalità scenica della comunità Yourubica, vi è anche la gestualità simbolica e le danze della tradizione Candomble’, che è prevalentemente diffusa in Brasile.
Il Coro Scenico intende realizzare una rappresentazione, senza la necessità di specificazioni particolari per chi vi partecipa fatta di musica, teatro, poesia, danza e di tutti i contenuti che si riterranno opportuni all’interno del gruppo, partendo dalla trasmissione di canti in lingua Youruba, della gestualità simbolica delle danze legate alla tradizione del Condomble’, oltre a designare il nome di uno strumento, è una religione afro-brasiliana, tuttora molto praticata prevalentemente nello Stato del Brasile, dove è stata portata dai Sacerdoti e fedeli africani deportati come schiavi nelle americhe, che ha conosciuto un parziale sincretismo con il cattolicesimo.

Questa religione consiste nel culto degli Arixas, rappresentano archetipi antropologici, ad essi sono associati determinate inclinazioni ed attività umane, elementi naturali, colori, ecc.
Essi trasmettono agli umani Axe’ l’energia universale che è in tutte le cose dei viventi […].
[…] L’atabaque’ “o Tabaque'” è uno strumento musicale a percussione. Il nome deriva dall’Arabo A-Tabaq (prato).
Consiste in un tamburo di legno cilindrico e leggermente conico con la bocca coperta da cuoio di bue, di cerbiatto o di capra.
Bisogna suonarlo con le mani, con due bacchette oppure con una bacchetta e una mano, dipende sia dal ritmo che dal tamburo che si sta suonando.

L’Atabaque’ è utilizzato nel corso delle cerimonie religiose afrobrasiliane di Candomblé e Umanda, nel quale è considerato uno strumento sacro, da qui il suo uso si è esteso dell’accompagnamento ritmico della Capoeira, del Maculele’ e di danze popolari brasiliane come il Samba de Roda, che hanno dato poi origine al Samba e all’Axe’ Music.
Nei rituali religiosi vengono generalmente utilizzati tre diversi tamburi, Run: Caratterizzato da dimensioni maggiori e suoni più gravi, utilizzato per i fraseggi ritmici del solista; Rum-Pi: dalle sonorità più acute. Gli Youruba hanno portanto nel nuovo mondo una cultura musicale che è cresciuta nell’andar del tempo, e che ha arricchito la cultura musicale afroamericana e afrocaraibica, portando a fondare tutti i generi, dalla musica latino americana che conosciamo oggi, incluso la Rumba cubana.

(Il testo virgolettato è tratto dal libro dal titolo Blues. La musica del diavolo, autore Giles OaKley, traduzione di Umberto Fiori. 2009 ShaKe Edizioni Milano).

CONTINUA…

A cura di Alessandro Poletti – Foto Redazione

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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