Il trombettista piemontese Fabrizio Bosso
La tromba: la storia di uno strumento versatile, areofano della famiglia degli ottoni. Venne introdotto in Europa nel XV secolo, probabilmente dall’Oriente. Già nel 1500 assomigliava alla versione attuale, tranne che per la campana più stretta, un metallo più spesso e un bocchino più pesante. Per queste caratteristiche la tromba risultava avere un timbro più morbido rispetto a quelle che siamo abituati ad ascoltare oggi, motivo per cui era ben accetta nei contesti di musica da  camera.
I primi suonatori tromba –  Distinguiamo i Feldtrompeter e i Kammertrompeter. I primi erano i trombettieri da campo essendo militari, non ci si aspettava che sapessero leggere la musica e suonavano la tromba eseguendo soprattutto squilli e note lunghe nei registri medi e gravi. I secondi invece erano dei musicisti professionisti che suonavano principalmente nel registro acuto, anche perché gli era proibito scendere nel registro dedicato ai clarinetti (addirittura le parti  venivano scritte su misura per un  determinato suonatore e in base alle sue abilità).
Il segreto di questi musicisti, che riuscivano ad eseguire parti incredibilmente acute nonostante il taglio grave dei loro strumenti, era il bocchino: con una forma a tazza e i bordi larghi e ben marcati per sostenere le labbra,  questo strumento poteva eseguire senza problemi suoni nel registro alto. I pistoni comparvero sulla tromba solo negli anni Venti dell’Ottocento. Quindi questo strumento iniziò a diffondersi moltissimo prima nelle bande e poi nelle orchestre: le trombe da orchestra erano tagliate in Fa, ma nonostante la sua anima nobile era troppo difficile da usare nel registro acuto che tanto andava di moda. I trombettisti, di loro iniziativa, iniziarono a passare alla tromba soprano in Sib anche se non aveva un così bel timbro rispettarla precedente. La tromba in Fa scomparve dalle orchestre a fine Ottocento.
Ed ecco che nel panorama jazzistico italiano vi sono purtroppo pochi trombettisti, quello che io considero il capo stipite della tromba moderna è  Enrico Rava, poi vi è Paolo Fresu, Flavio Boltro e naturalmente Fabrizio Bosso.
Bosso imbraccia la sua prima esperienza musicale con la tromba all’età di cinque anni dopo dieci si diploma presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino.
Grazie al padre Gianni, trombettista autodidatta,  si avvicina alla Musica Jazz ma è sui dischi dei cantautori italiani, tanto amati dalla madre Marina, che sperimenta le sue prime improvvisazioni.
Proprio questo approccio trasversale e senza preconcetti caratterizzerà tutto il suo percorso, nel quale avvicenda il profondo amore e il rispetto nei confronti della storia e della tradizione jazzistica al desiderio di confrontare il proprio linguaggio con altri mondi musicali. Torino è una città dove sin dagli anni Cinquanta e Sessanta dove la scena jazzistica è particolarmente attiva e aveva acclamato già dei nomi di carattere internazionale come Oscar Valdambrini, Enrico Rava e Flavio Boltro, che già a quell’epoca cominciavano a godere di una certa notorietà.
Fabrizio comincia a frequentare l’ambiente ancora studente ed è proprio accanto a Boltro che partecipa alla sua prima jam session, lo stesso anno in cui si diploma al Conservatorio.
Instancabile rigoroso sin da giovanissimo affianca l’esperienza di faticose tournée con orchestre da ballo e studi avanzati di specializzazione sullo strumento, la tromba, come i corsi di Alto Perfezionamento nella città di Saluzzo in provincia di Cuneo, in Piemonte con il Maestro PierreThibaut, le Clinics al St. Mary’s College di Baltimora, negli Stati Uniti,  i seminari di formazione “Il Paese degli Specchi” a San Lazzato di Savena in Provincia di Bologna, con l’americano kenny Wheeler e il pianista e compositore George Russel.

Fabrizio Bosso a diciassette anni, grazie, al sassofonista tenore Gianni Basso anch’egli piemontese ma astigiano, entra a far parte stabilmente di un big band è muove i primi passi in studio di registrazione, esperienza che ricorda come particolarmente formative: Lui stesso, afferma: “Suonare nella sezione di una big band è uno dei passaggi fondamentali, si impara la disciplina, la pronuncia, l’intonazione, indispensabili ance per chi percorre la strada del solista“. E su quelle prime registrazioni, risponde: “...All’inizio ero sempre tesissimo, non mi divertivo, poi mi resi conto che l’approccio di Gianni era diverso, non cercava la perfezione, ma l’atmosfera, l’intensità, era quello per lui il jazz“.
Con Gianni Basso registrai numerosi dischi, anche anche in quintetto: “Gianni era davvero un pezzo  di storia del jazz, per il suo Swing e il suono assolutamente unico e irraggiungibile”.
Tra i primi credere nel giovane talento di Fabrizio c’è anche il musicista Giovanni Mazzarino, pianista, compositore e arrangiatore siciliano il quale, dopo averlo ascoltato consensualmente nel corso di una jam session nel 1985, lo chiama come solista nelle sue formazioni. Dopo “Cyvlone” pubblicato dalla label italiana Splasc(h) nel 2003, molte sono le incisioni di Mazzarino a cui Bosso prende parte, tra le quali “Piani Paralleli” registrato alla Fazioli Concert Hall nell’anno 2016.
Poco più che ventenne si trasferisce a Bari dove incontra il produttore Nicola Conte, con il quale collabora in diverse occasioni e frequenta alcuni musicisti pugliesi della stessa sua generazione, che poi si affermeranno a livello internazionale: da Gianluca Petrella, Gaetano Partipilo, Stefano Bollani, Giuseppe Bassi, Fabio Accardi.
Con loro forma il gruppo, “The Jazz Convention” e pubblica l’opera discografica “Up Up with The Jazz Convention” per la label Schema Records. Nel contempo Fabrizio Bosso insegna al Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari e suona nella Italian Big Band, diretta dal Maestro Marco Renzi, con il quale per diversi anni alterna l’attività concertistica a produzioni radiofoniche e televisive.
A 24 anni viene chiamato dal sassofonista Maurizio Giammarco per il progetto dedicato al trombettista Chet Baker, con il “Tribute to Chet Baker” e sale per la prima volta sul palcoscenico di Umbria Jazz Festival. Dopo l’esperienza positiva di questa rassegna Fabrizio Bosso è ingaggiato per quattro concerti della Carnegie Hall Orchestra diretta da John Faddis. In quel periodo inizia un sodalizio con il pianista Paolo di Sabatino, con il quale suona sia in duo che in quartetto incidendo anche alcune produzioni  di opere discografiche.
Alla fine degli anni Novanta il trombettista si aggiudica un premio importante,  il Top Jazz come “Miglior Nuovo Talento“, risultato che viene indetto ogni fine anno dal magazine Musica Jazz, mensile top della cultura jazzistica italiana e Internazionale. Viene quindi notato dal pianista Enrico Pieranunzi, uno tra i più apprezzati al mondo, che lo chiama nella sua formazione. Segue la pubblicazione e il progetto dell’opera discografica “Enrico Pieranunzi & Horns: Evans Remembered“, pubblicato dalla label italiana Phlilology all’inizio del nuovo Millennio e dal quel primo episodio le loro strade si incontreranno ripetutamente nel corso degli anni. Sempre nel nuovo Millenio Fabrizio Bosso pubblica con la label Red Records il primo album a suo nome dal titolo: “Fast Flight” in una formazione formata da un quintetto, con Rosario Giuliani, Salvatore Bonafede al pianoforte, Giuseppe Bassi al contrabbasso e Marcello di Leonardo alla batteria.
Prende poi l’avvio con il quintetto che dopo diversi anni viene considerato una delle formazioni di punta della nuova generazione del jazz italiano, gli Hight Five. Con il sassofonista Daniele Scannapieco, Julian Oliver Mazzariello prima e Luca Mannutza poi al pianoforte, il contrabbassista Pietro Ciancaglini e il batterista Lorenzo Tucci, progettano e pubblicano quattro opere discografiche: “Jazz for More, “Jazz Desire” su label Via Veneto Jazz, “Five for Fun” della Blue Note Records e registrano “Handful of Soul“, su label Schema Records,  opera discografica che segna la consacrazione al successo del cantante Mario Biondi.
Il trombettista Bosso ritrova poi il suo collega, Gianluca Petrella, quando entrambi rispondono alla chiamata del pianista Franco D’Andrea, uno dei massimi esponenti del jazz italiano, per costituire la formazione in trio, il Riff Trio, con cui pubblicano l’album dal titolo “Round Riff And More“, pubblicato dalla label italiana Philology. E nello stesso anno il piemontese riceve il prestigioso riconoscimento della Critica francese, il Django d’Or. Sempre nello periodo ha l’opportunità di suonare con un’altro grande musicista italiano, Renato Sellani, altra icona del jazz italiano, del quale il trombettista ricorda la vitalita: “Renato mi ha insegnato ad avvicinarmi alla musica con consapevolezza serietà ma anche con leggerezza“. Testimonianza un’altro incontro felice è quello con il progetto e la produzione dell’opera discografica “Once I Loved“, il disco pubblicato in duo con il musicista brasiliano Irio De Paula. Il chitarrista, profondo conoscitore della tradizione jazzistica e fine compositore, trasferitosi in Italia a metà degli anni Settanta, consente al giovane trombonista di avvicinarsi e appassionarsi alla musica brasiliana, e di capire che quel mondo non era poi così lontano dalla Musica Jazz italiana.
Esiste anche un documentario video del loro sodalizio, durato diversi anni, girato nella suggestiva cornice del Teatro Olimpico di Vicenza, edito da Azzurra Productions.
Fabrizio Bosso partecipa al tour di alcune date europee della Liberations Orchestra, del leader, il contrabbassista Charlie Haden, con gli arrangiamenti e la partecipazione dalla musicista, compositrice e direttore d’orchestra Cala Blay. Inoltre al Brianza Open Festival Fabrizio Bosso si esibisce in quintetto con ottimi musicisti da, Javier Girotto sassofonista argentino, con il pianista e vocalist Natalio Louis Mangalavite, anch’egli di Cordova, accompagnati dal bassista elettrico Luca Bulgarelli e dal batterista Lorenzo Tucci. Nasce la formazione del Latin Mood, che si trasforma in Sestetto, con l’ingresso del percussionista Bruno Marcozzi e producono due album dai titoli: “Sol“, per la label Blue Note e “Vamos”, pubblicato dalla Schema Records. Inoltre all’inizio della decade del nuovo Millennio arrivala svolta della carriera di Fabrizio Bosso. È la pubblicazione e il progetto dell’opera discografica  “You’ve Chenged“, sempre della label Blue, registrato in quartetto con Poetro Lussu al pianoforte, Luca Bulgarelli al contrabbasso e Lorenzo Tucci alla batteria e con un ensamble formato da archi, arrangiati e diretti da Paolo Silvestri.
La line up è arricchita da alcuni ospiti d’eccezione come Sergio Cammariere, Bebo Ferra, Stefano di Battista e la cantante statunitense Dianne Reeves, che interpreta la titolo track. Dopo questa esperienza il trombettista piemontese costituisce la prima formazione, un quartetto suo nome  con i musicisti, Luca Mannutza al pianoforte, Luca Bulgarelli al contrabbasso e Lorenzo Tucci alla batteria, con il quale molte altre volte ancora sono state le occasioni di collaborazione, incluso l’inedito in duo, documentato nell’album “Drumpet“, su label Via Beneto Jazz. Una delle dimensioni più congeniali a Fabrizio Bosso è indubbiamente il dialogo a due e, dall’incontro con il vulcanico Antonello Salis, il trombettista comincia a sperimentare anche l’uso dell’elettronica. Il duo pubblica il disco “Stunt” edito dalla label Parco della Musica, che si aggiudica il premio il Top Jazz come migliore opera discografica dell’anno 2009. Qualche anno dopo sarà un’altro fisarmonicista a dialogare con la sua tromba, Luciano Biondini, con il quale pubblica l’album “Face To Face“, pubblicato dalla label Abeat Records e condivide inoltre diversi progetti, anche teatrali.
Dopo questa avventura per Fabrizio Bosso sarà un altro anno nuovo, con la partecipazione a progetti per altri musicisti che diviene un’ingrediente fondamentale, anche quando possono apparire lontani dal percorso scelto, come nel caso di Complete Communion, il quartetto guidato dal batterista Aldo Romano con Henri Texier al contrabbasso e Geraldine Lourent al sax alto, dedicato alla musica del trombettista Don Cherry,  stampato e pubblicato dalla label francese Dreyfuss Records. Si evince così che nella prima decade del nuovo Millennio è un’altro momento di svolta: presso gli Air Studios di Londra, regitra l’opera discografica “EnchantmentL’incantesimo di Nino Rota“, pubblicato dalla label Schema Records,  con la London Symphony Orchestra e la ritmica di Claudio Filippini, Rosario Bonaccorso e Lorenzo Tucci. Gli arrangiamenti e la direzione sono di Stefano Fanzi. La registrazione di Enchantment gli consente di mettere a frutto la sua solida formazione classica e di interagire con il possente suono dell’orchestra, gestendo con estrema naturalezza il passaggio tra le parti sinfoniche e l’improvvisazione. Inoltre in questo periodo è nominato miglior trombettista dell’anno dal Jazzit Awards, riconoscimento che gli verrà in seguito tributato diverse altre volte. Il rinnovato incontro che Fabrizio Bosso a con il pianista Julian Oliver Mazzariello, già primo pianista degli Hight Five,  porta alla nascita di Tandem, in cui l’intesa è immediata, naturale, e da origine ad un’esperienza in costante evoluzione, sempre allineata al percorso individuale di entrambi “Tandem”, su label Universal Music Group – Verve Records e “Tandem live at Umbria Jazz Winter “, su label Warner Music. Dal duo con Mazzariello nasce l’idea di un nuovo quartetto. Bosso chiama il giovane bassista salentino Luca Alemanno e il batterista Nicola Angelucci per due concerti milanesi agli inizi di febbraio del 2014 che risultano esplosivi e che confermano immediatamente la nuova Line up. È la volta di un progetto, una produzione di un’opera discografica, dedicata al grande pianista, compositore e direttore d’orchestra Duke Ellington,  dal titolo “Duke“, pubblicato dalla Universal Music Group nel 2015, lavoro questo nel quale il quartetto dimostra di potersi misurarsi in ogni situazione: la formazione, allargata con una sezione di sei fiati di prim’ordine arrangiati da Paolo Silvestri, colpisce nel segno del progetto realizza numerosi live, incontrando il favore incondizionato degli addetti ai lavori e del pubblico. Il quartetto macina concerti in Italia e il giro per il mondo, accrescendo l’intesa musicale e umana, anche quando Luca Alemanno  risultato vincitore alle audizioni del Thelonious Monk Istitute of Jazz Performance, si trasferiscea Los Angeles, in California lasciando il posto al giovane e talentuoso Jacopo Ferrazza.
L’istantanea fedele di questa fase, tra le più felici della carriera del trombettista Fabrizio Bosso è quella produzione è progetto di un’opera discografica dal titolo “State of the Art”, pubblicato nell’anno 2017, su label Warner Music,  opera dal vivo che fissa alcuni momenti memorabili di questo ensamble,  espressione di un dialogo autentico e dinamico completa condivisione. L’amicizia profonda e di lunga data con il sassofonista Rosario Giuliani torna a manifestarsi anche sul palco, nasce così Connnections, un quartetto nel quale, accanto al leader, troviamo l’hammondista Alberto Gurrisie il batterista Marco Valeri. Un’altro sodalizio era in attesa da diverso tempo di dare i propri frutti, e cioè quello con Mauro Ottolini, trombonista, arrangiatore e profondo conoscitore del jazz delle origini. Prende il via Stortville Story, un vivace sestetto che vede, insieme a tromba e trombone, la voce di Vanessa Tagliabue Yorke, il saudophone di Glauco Benedetti, il piano di Paolo Birro e il batterista Paolo Mappa.
All’inizio del 2020 il quartetto si mette al lavoro per un’opera discografica in studio, ma la pandemia di Covid-19 sbaraglia tutti i piani, il progetto chiamato “WE4“, viene così registrato agli inizi di giugno in modo estemporaneo, quasi a tradimento, raccogliendo tutta l’intensità del momento in cui finalmente si può nuovamente fare musica insieme, e viene pubblicato a fine anno sempre con la label Warner Music. Le collaborazioni importanti nel panorama jazz sono state innumerevoli oltre ai nomi già citati è importante ricordare Dino Piana, Marco Tamburini, Dee Dee Bridgerwater,  Dianne Reeves, Rita Marcotulli  Stefano Di Bsttista, Enrico Rava, Furio di Castri, Rosario Bonaccorso. Non mancano le partecipazioni, come solista, a progetti orchestrali guidati da direttori eccellenti come Wayne Marshall, Maria Schneider,  Ryan Truesdell.
Nella Musica Leggera dono molti i nomi illustri che hanno voluto il suono della sua tromba ad impreziosire la loro musica, come Sergio Cammariere, al quale Fabrizio deve la sua prima apparizione al Festival della Canzone Italiana a Sanremo.  È il 2003, infatti, quando il cantautore calabrese lo vuole accanto a sé sul palco dell’Ariston nel brano “Tutto quello che un Uomo‘. Duetto che di riproporrà nel 2008, quando Cammariere porterà in gara il brano “L’amore non di Piega“. A Sanremo il trombettista piemontese torna diverse volte anche con altri artisti: nel 2009 con Simona Molinari, von il brano “Egocentrica” , nel 2011 con Raphael Gualazzi, che si aggiudica la vittoria della categoria giovani, con il brano “Follia d’Amore“, nel 2012 con la cantante Nina Zilli, con il brano “Per Sempre“, con la quale realizza l’anno seguente il tour “We Love You – Jazz’n Soul“, e poi nuovamente con Raphael Gualazzi nel 2013.
Inoltre troviamo l’inconfondibile suono della sua tromba, nel lavori discografici di Renato Zero, Zucchero, Tiziano Ferro, Joe Barbieri, Claudio Baglioni e Franco Califano, con il quale si ricorda anche una performance dal vivo “E la Chiamano Estate“, nel popolare programma televisivo “Domenica In“, del 2009.
Nel primo lavoro discografico Fabrizio Bosso nell’opera discografica “Tandem“, il trombettista piemontese invita due ospiti d’eccezione: Fabio Concato con il brano “Gigi” e Fiorella Mannoia per interpretare “Roma Nun Fa la Stupida Stasera“. L’intesa con il cantautore milanese porta a numerosi concerti il Trio che culminano, nel 2016, nell’incisione dell’opera discografica “Non Smetto di Ascoltarti“, prodotto dalla, Warner Music.
Accanto alle formazioni stabili Fabrizio Bosso prosegue la sua attività di ricerca attraverso tante partecipazioni, delle quali raccoglie stimoli diversi e preziosi per il suo cammino artistico. Così come sono preziose le suggestioni dei lavori in cui la musica incontra la parola o le immagini, tra i quali “Sorpasso in Jazz“, che prendeva la sonorizzazione live in quartetto di un montaggio di immagini tratte dal film di Dino Risi, “Il Sorpasso“, con Vittorio Gasman e Louis Tritignan.
E inoltre “Concerto per Jack London” spettacolo costruito sull’adattamento del romanzo “The Game”  dello scrittore statunitense elaborato da Silvio Castiglioni, che ne è anche voce narrante, accanto alla tromba di Fabrizio Bosso e al fisarmonicista Luciano Biondini.
O ancora “Shadows Omaggio a Chet Baker “, dove la voce inconfondibile dell’attore Massimo Popolizio s’intreccia con la tromba è con il pianoforte di Julian Oliver Mazzariello. Senza mai rinunciare ad affrontare nuove esperienze, tenendo fede alla libertà che ha scelto sin dai primi passi da musicista e alla consapevolezza che ogni incontro ha qualcosa da insegnare, Fabrizio Bosso ha scelto la Musica come mezzo per raccontare la propria storia umana ed artistica, oltre che per condividere sé stesso, tanto coi i suoi compagni di palco quanto con il proprio pubblico, sempre più vasto e fedele.
A cura di Alessandro Poletti – Foto Repertorio
Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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