Nel film “Il Terzo Uomo” di Carol Reed, Harry Lime, il personaggio interpretato da uno strepitoso Orson Welles, rivolgendosi a Holly Martins interpretato da Joseph Cotten, pronuncia una frase che, negli anni, è diventata celeberrima : “Sai che cosa diceva quel racconto? In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento.

In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù.” Quando, circa un anno fa, leggendo le pagine del quotidiano rosa, sono venuto al corrente dell’assurda storia di Rolf Bantle, il primo nome che mi è venuto in mente è stato Guglielmo Tell. Si perché, la leggenda narra che un contadino di Bürglen, nel cantone di Uri, colpevole di non aver salutato un’insegna degli austriaci invasori, fu costretto a scagliare una freccia con l’obbiettivo di colpire una mela posta sul capo del figlio: Guglielmo Tell, questo era il suo nome, veniva considerato il miglior arciere della valle, e infatti non fallì il bersaglio, ma quando rivelò che, nel caso avesse fallito il primo colpo, la seconda freccia l’avrebbe destinata al governatore, venne arrestato. Martedì, 24 agosto 2004, a San Siro si affrontavano Inter e Basilea per i preliminari di Champions League.

Verso il termine dell’incontro, con il risultato fermo sul 4 – 1 per i padroni di casa, Rolf Bantle, un cittadino basilese che era andato in trasferta con amici al seguito della sua squadra del cuore, andò alla toilette per espletare un bisogno fisiologico primario e da quel momento, ebbe inizio la sua Odissea. Infatti, al ritorno sugli spalti, non riuscì più a rintracciare i suoi amici i quali, senza preoccuparsi più di tanto della sua scomparsa, partirono in automobile con il timone puntato sulla capitale culturale della Svizzera. Bantle non aveva con sé un cellulare e non conosceva a memoria il numero di amici e parenti, in tasca aveva solo 20 franchi svizzeri e 15 euro. In poche parole, da quel giorno, Rolf, cominciò la vita di strada vagabondando per Milano, nel quartiere Baggio che decise di adottarlo. Conosceva perfettamente l’italiano per esperienze lavorative svolte in passato.

Grazie alla generosità degli amici con il quale si relazionava ogni giorno, molti dei quali erano studenti universitari, i quali non mancavano di donargli prodotti che apprezzava particolarmente: vino, sigarette, panettoni, sacchi a pelo, e alcune amiche studentesse che avevano preso a cuore il suo caso, gli lavavano gli abiti e lo accompagnavano in un bagno pubblico per una doccia calda. Nel frattempo, i giorni passarono diventando prima mesi e poi anni e Rolf Bantle era oramai diventato un milanese a tutti gli effetti, conosciuto con il soprannome di Rudi. La nuova vita di Rudi è durata circa undici anni, quando nell’aprile del 2015 inciampando su di un marciapiede si procurò la frattura del femore, non avendo una copertura sanitaria italiana, le spese mediche le sostenne il Consolato svizzero trasferendolo poi in un ospedale di Basilea.

Aveva più di settant’anni e molti acciacchi e non avendo famigliari dove trovare appoggio fisico e morale, la destinazione ultima fu una casa per anziani. Il suo passato travagliato, un’infanzia difficile, un livello d’istruzione molto basso e frequenti problemi dovuti all’abuso di alcool, lo avevano spesso portato a essere ricoverato in comunità. “Se il mondo fosse perfetto, non lo sarebbe”, diceva Yogi Berra, mitico ricevitore e allenatore dei New York Yankees, ma la città di Milano deve molto a quest’uomo che, a causa di un bisogno impellente durante una partita, ha vissuto per undici anni allietando le vite dei tanti che vedevano in lui un simbolo di libertà. Io gli avrei dato l’incarico di custode di sorrisi.

A cura di Marco Benazzi – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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