C’erano solo alcuni dettagli da decidere, nelle pieghe dell’ultima giornata della Serie A del calcio nostrano; dettagli non da poco come il nome della terza retrocessa o di chi avrebbe occupato le posizioni dal secondo al quarto posto, ma comunque neppure così pregnanti da stravolgere un palinsesto ormai deciso e con i titoli di chiusura avviati.

La Juve chiude prima ma ben distante da quella spettacolare e spettacolosa che ci si attendeva con l’arrivo di Sarri sulla tolda; il bel gioco è stato un optional che quasi mai ha fatto parte delle prestazioni bianconere, con l’impressione inoltre che tra l’allenatore toscano ed i propri calciatori (ma anche con la Società) il feeling non sia mai scoccato e si sia arrivati ad un compromesso per non buttare via la stagione.

Ora arriva la Champions che sarà probabilmente lo spartiacque per la prosecuzione o meno di un sodalizio che non ha convinto, oltre a non funzionare, al di là del nono Scudetto vinto consecutivamente, con un solo punto di vantaggio ed in mezzo a non poche polemiche, interne ed esterne.

L’Inter arrivata seconda può festeggiare una ritrovata competitività, ma al contempo recriminare per le troppe occasioni gettate malamente al vento; con il Conte polemico di cui si dice in un altro articolo, che se vogliamo è il leit motive che accompagna da sempre la storia nerazzurra, mai tranquilla qualunque siano i risultati.

Certo arrivare ad un punto dalla prima, dopo anni di risultati deludenti, dovrebbe fare quantomeno piacere, ma il punto in meno alla fine è solo un valore numerico e rispecchia del tutto una differenza di valori che sotto molti aspetti pare essere ben più ampia e non così facilmente colmabile?

Poi l’Atalanta, che non è più una sorpresa, ma inizia anche ad essere nel mirino di qualche voce non proprio tenera e, chissà quanto fallace, circa valori atletici e di preparazione più o meno leciti; certo è tutto da dimostrare e probabilmente a Bergamo fanno bene ad essere ad essere arrabbiati in merito, ma è già capitato in passato che certe voci non fossero solo malignità di frustrati rosiconi.

La Lazio, ripartita da bellicose intenzioni colorate di tricolore, non è invece riuscita a mantenere il passo, magari perché troppo “corta” era la coperta, oppure perché non è riuscita a ritrovare l’incredibile condizione mostrata sino a marzo; forse era meglio non “pretendere” ci fosse la ripresa, ma diversamente sarebbe rimasto il rammarico di non averci provato, oltre alla scusante di avere avuto contro non solo le avversarie ma anche il Palazzo, giustificazione che evidentemente non tiene conto dei rigori avuti a favore e di tante decisioni non troppo limpide di cui gli aquilotti lotitiani hanno fruito.

Così come non poche polemiche hanno accompagnato le ultime prestazioni dell’altra formazione della Capitale, la Roma, il cui quinto posto finale è risultato figlio di rigori a favore, molti dei quali letteralmente inventati e dalla mancata assegnazione di rigori contro apparsi impossibili da vedere salvo che per arbitro e VAR, spesso distratti quando l’azione si svolgeva in area giallorossa.

Esulta invece il Milan, che dopo l’arrivo di Pioli (e di Ibra) ha ingranato le marce alte, pur senza riuscire a raggiungere il traguardo prefissato, ma a volte devi considerare che gli avversari non hanno solo magliette a strisce o “da capitale”, ma anche gialle, fucsia, o magari azzurrognole …. nonostante ci si chiami Milan.

Il resto fino al Genoa compreso? Qualcuno più contento, altri invece delusi e deludenti, ma tutti in altalena tra una prestazione degna di elogi sperticati ed altre da dimenticare, senza nessuna esclusione, perché si deve anche giustamente elogiare o criticare, ma davvero si può pensare che con pochi innesti si vada chissà dove per chiunque? E parlare di posizioni che competono per storia e blasone, ha un senso vedendo come si possano decidere partite e stagioni anche solo con un fischio?

Il resto è …. Serie B; per il Lecce che ad un certo punto sembrava dover essere la sorpresa lieta del Campionato e nonostante il buon Liverani, un tecnico che anche da allenatore mostra la stessa intelligenza fatta vedere in campo.
I salentini non meritavano la retrocessione, per quanto fatto vedere in campo, ma non potevano certo sperare di salvarsi all’ultima giornata ed a spese di un Genoa che si trovava di fronte il proprio ex allenatore, uno che sotto la Lanterna ci è rimasto parecchio, in campo ed in panchina; semmai sarebbe ora di smetterla con dichiarazioni roboanti (“pensare al poco impegno mi fa schifo”) e poi prendere tre pappine in neppure un tempo, dato che tutti sappiamo come funziona il calcio, ben al di là di parole insignificanti.

Brescia e Spal invece erano ormai retrocesse da tempo; le Rondinelle preda delle smanie del patron Cellino, che aveva puntato tutto sul bresciano di casa “Minor” Mario Balotelli, uno buono per andare alle feste, non in campo, e meno che mai per fare il calciatore, invece che dare a Corini un gruppo solido costruito intorno a Tonali.

Cospargersi il capo di cenere quando ormai si è fatto naufragio a cosa serve? Anche perché non è la prima volta che Cellino fa flop, dimostrando di non essere capace nemmeno di imparare dai propri errori (compresa la pessima abitudine della sfilza di allenatori a libro paga).

Anche la Spal abbandona la massima serie dopo una mix di errori, tra i quali il cambio d’allenatore, perché che senso ha avuto ingaggiare Di Biagio, con sole esperienze alla guida di nazionali giovanili? Tanto valeva tenere il buon Semplici sino in fondo, ma evidentemente a Ferrara qualcosa si è rotto, e lo dimostra anche l’addio anticipato del DS Vagnati, o magari qualcuno ha pensato che dopo tre stagioni in A, la categoria fosse un diritto acquisito.

Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – Foto Galassi

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Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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