Recentemente ho ascoltato alcune considerazioni da bar colorite, concluse con una sentenza che definirei “Cassazione”. Era affermato che gli scommettitori illegali, appartenenti al mondo del calcio (sul piano penale andranno incontro a pene lievissime) pur patteggiando a livello nazionale e internazionale, vanno sicuramente puniti con diversi mesi di squalifica, in aggiunta a pene accessorie da scontare con un badile in mano e via, a lavorare sulle strade o nei campi. “Alora dop, tal vi cum i pasa la voia ad scummett”. Premessa a parte (sicuramente condivisibile), come sappiamo, l’Italia è un Paese sempre più squattrinato, confermato anche dai dati Istat del 2022. Quasi un quarto della popolazione è a rischio povertà. È vero che c’è stata una ripresa rispetto agli anni della pandemia, ma il disagio resta comunque molto alto. 

Su tredici mensilità gli impiegati ricevono uno stipendio medio netto di 1.800 euro, mentre gli operai di 1.500. Ovviamente, poi, c’è chi guadagna di più e chi di meno, molto di meno, e fa i salti mortali per arrivare alla fine del mese. 

Il punto è che se il denaro ha un valore, questo valore va rispettato, anche se l’ennesimo caso di calcio scommesse ci suggerisce il contrario. Infatti, nulla di nuovo sul pianeta del pallone dorato. Il caso dei giocatori ha solo scoperchiato la pentola. 

Il primo scandalo legato al “totonero” risale agli anni ‘80 poi, con cadenze periodiche, ne sono seguiti tanti altri. La domanda che mi sorge spontanea è sempre la stessa: se un calciatore professionista – che milita nella massima serie in Italia o in Europa – guadagna tantissimo, forse anche troppo, perché butta il denaro dalla finestra con il gioco d’azzardo, dove a vincere, tra l’altro, è sempre il banco? Per fare un esempio, se un giocatore guadagna sette milioni l’anno, un operaio impiegherebbe tre secoli e mezzo per guadagnarli. A conti fatti è sicuramente uno schiaffo alla gente comune. Oggi la parola ludopatia è il nuovo termine coniato che lega a doppia mandata gioco e malattia. Forse studiare di più li potrebbe aiutare a restare con i piedi per terra e non con la testa tra le nuvole. O forse questi giovani ragazzi lasciano le famiglie troppo presto, hanno tanti soldi in tasca e molto tempo libero. Ecco allora che, come sempre accade, i benpensanti entrano in campo e sono pronti a scusare i ludopatici. “Chi sbaglia deve pagare ma va anche aiutato”; occorre curare questi “poveri” calciatori, accusati di avere puntato intere fortune su piattaforme illegali. La giustificazione è una regola dei nostri tempi, perché diventa obbligatorio stemperare e/o obiettare.

Troppo facile spiegare tutto con la ludopatia e il capitalismo. A mio modesto avviso è anche una mancanza di rispetto verso i tifosi, molti dei quali non possono neppure permettersi di andare allo stadio, visto il prezzo del biglietto troppo caro, così come abbonarsi alle pay tv. Malgrado ciò, lamentele a parte, il calcio continua a essere seguito da milioni e milioni di persone. 

Ragioniamoci sopra! 

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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