Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio

Universo carcere: luogo di dannazione o di redenzione? Uno dei profili più ambiziosi della riforma della giustizia attiene alla cosiddetta “giustizia riparativa”.

Un nuovo modello di giustizia penale, complementare a quello tradizionale, che restituisca centralità, coinvolgimento attivo, ascolto e comprensione alla vittima del reato. L’intento della riforma è di superare l’assetto frammentario della materia in questione, per coniare una disciplina finalmente organica in ossequio a quanto da qualche tempo richiesto dalle istanze internazionali, che invitano i singoli Stati a elaborare politiche volte allo sviluppo della giustizia.

Il concetto di “riparazione” non va confuso con quello di risarcimento, pur potendo comprenderlo. Il risarcimento attiene al profilo strettamente economico e materiale, mentre la riparazione include aspetti psicologici, etici, esistenziali.

Restano irrisolti alcuni elementi, ma vale la pena esplorare questo nuovo percorso e cogliere l’occasione di sperimentare un modello complementare a quello tradizionale, per realizzare forme di giustizia degne di una società più progredita e matura. Nel frattempo cosa sta accadendo negli istituti di pena dello Stato italiano?

Perché i detenuti in Italia si tolgono la vita e il numero dei suicidi in carcere è venti volte superiore a quello che si registra all’esterno? Nel mese di agosto sono stati registrati quindici suicidi, uno ogni due giorni. È risaputo che agosto è il mese peggiore dell’anno, sempre che gli altri siano migliori. Oggi il “pianeta” carcericonta oltre 70mila presenze, dei quali 56mila detenuti (il 4% di sesso femminile), rispetto a una capienza di 51mila posti.

Nel 2022 sono stati settantanove i suicidi tra le sbarre. Questo dato dovrebbe farci riflettere e analizzare lo stato delle cose. Perché dietro i numeri e le statistiche ci sono i singoli individui con le loro storie. Persone che hanno sbagliato, ma che devono essere rieducate, per poi essere reinserite nella società, dopo avere scontato la pena.

A togliersi la vita, sono soprattutto detenuti di sesso maschile tra i 20 e 30 anni. Il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha recentemente parlato di nuove linee guida per rafforzare le attività di prevenzione, annunciando la realizzazione di quella che ha chiamato “task force multidisciplinare” composta in ogni carcere da direttore, capo della polizia penitenziaria, educatore, medico e psicologo, con il compito di valutare e monitorare le situazioni a rischio.

Premesso ciò, si possono creare tutti i gruppi di “esperti” che si vuole, ma finché non cambia la mentalità, e si arriva a comprendere che un detenuto è una persona e che la pena inflitta dovrebbe essere la privazione della libertà e non la privazione della dignità, il carcere continuerà a uccidere.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto ImagoEconomica

Il Vice Direttore Ugo Vandelli

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