Fëdor Michajlovič Dostoevskij,

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, nacque a Mosca l’11 novembre 1821 e morì a San Pietroburgo il 28 gennaio1881. È considerato, insieme a Lev Tolstoij, uno dei più grandi romanzieri e pensatori di tutti i tempi.

Fëdor, secondo figlio di otto, di Michail Andreevic Dostoevskij, un medico militare russo discendente da una nobile famiglia, dal carattere stravagante e dispotico, crebbe in un clima autoritario. La madre, Marija Fedorovna Necaeva, proveniva da una famiglia di ricchi e prosperi commercianti, amava la musica e molto legata alla fede ortodossa. Fu lei ad insegnare a leggere al figlio facendogli conoscere Puskin, Zukovskij e soprattutto la Bibbia.

Nel 1828 la Famiglia Dostoevskij fu iscritta nell’albo d’oro della nobiltà moscovita.

Nel 1831 Fedor si trasferì con la famiglia a Darovoe, nel governatorato di Tula, dove il padre aveva acquistato un vasto terreno agricolo.

Nel 1834 entrò, con uno dei suoi fratelli, nel convitto di L.I. Cermak a Mosca.

Nel febbraio del 1837, causa una tisi incurabile morì sua madre e poco dopo si trasferì a San Pietroburgo entrando nel convitto preparatorio del Capitano K. F. Kostomarov per sostenere gli esami d’ammissione all’Istituto d’ingegneria.

Il 16 gennaio 1838 entrò alla Scuola Superiore del genio militare per studiare “ingegneria militare” ma senza particolare interesse in quanto si sentiva orientato verso la letteratura.

L’8 giugno 1839 il padre, che si era dato al bere e maltrattava i propri contadini, venne ucciso si presunse dagli stessi probabilmente dagli stessi. Alla notizia della morte del padre, Fëdor, all’età di 17 anni, ebbe il suo primo attacco di epilessia, un fatto che lo perseguito per tutta la sua vita!

Nell’agosto 1841 venne ammesso al corso per ufficiali e l’anno seguente fu promosso sottotenente. L’estate successiva entra in servizio effettivo presso il comando del Genio di San Pietroburgo. Sono anni d’indigenza e di crisi, per cui di notte per guadagnare qualcosa in più lavorò come traduttore. Tra i lavori eseguiti si ricordano: l’Eugenie Grandet di Honoré de Balzac e il Don Carlos di Friedrich Schiller. Ma causa le sue opposte tendenze, elemosina e dissolutezza, il denaro non gli bastava mai.

Il 12 agosto 1843 si diplomò, ma nell’agosto 1844 diede le dimissioni, lasciando il servizio militare e rinunciando alla carriera militare.

Lottando contro la povertà e la salute cagionevole, cominciò a scrivere il suo primo libro, Povera Gente (Bednye Ljudi), che vide la luce nel 1846 ottenendo gli elogi di critici come Belinskij e Nekrasov. In quel primo lavoro, rivelò uno dei temi maggiori della produzione successiva: la sofferenza per l’uomo socialmente degradato e incompreso.

Nell’estate iniziò a scrivere il suo secondo romanzo, Il Sosia (Dvojnik), storia di uno sdoppiamento psichico che non trovò il consenso del primo romanzo, e a novembre, in una sola notte, scrive Romanzo in nove lettere (Roman v devjati pisem).

Successivamente videro la luce alcuni suoi racconti su varie riviste, tra i quali i romanzi brevi “Le notti bianche” (Belye noči) e “Netocka Nezvanova”.

Il 23 aprile 1849 venne arrestato per partecipazione al Circolo Petrasevskij e imprigionato nella Fortezza Pietro e Paolo. In realtà partecipò a tali riunioni, come incuriosito uditore, non come attivista. Il 16 novembre dello stesso anno, insieme ad altri venti imputati venne condannato alla pena capitale tramite fucilazione, ma incredibilmente il 19 dicembre lo Zar Nicola I, commutò la condanna a morte in lavori forzati a vita. La revoca della pena capitale, gli venne comunicata solo quando già era sul patibolo, ovvero il 22 dicembre.

Si ricorda che in una lettera inviata al fratello il giorno stesso scrisse: “Ci hanno fatto baciare la croce, hanno spezzato sopra la testa le spade e ci hanno fatto la toeletta del condannato (camicie bianche). Mi sei tornato in mente tu, fratello, e i tuoi cari; nell’ultimo istante tu, soltanto tu, eri nei miei pensieri, e lì ho capito quanto ti voglio bene, fratello mio caro!”

Tale evento lo segnò profondamente come lo testimoniano le riflessioni sulla pena di morte (alla quale Dostoevskij si dichiarerà fermamente contrario) in “Delitto e castigo” e “L’Idiota” scritto a Firenze.

Il trauma della mancata fucilazione causò una immediata ricaduta nella sua malattia, una forte epilessia del lobo temporale che segnò duramente tutta la sua esistenza. la sua esistenza, e di cui si trova traccia questo dramma si troverà traccia ne romanzo “L’Idiota” nella figura del principe Myskin e in “Delitto e castigo”.

Riprendiamo a testimonianza due passi: “A chi sa di dover morire, gli ultimi cinque minuti di vita sembrano interminabili, una ricchezza enorme. In quel momento nulla è più penoso del pensiero incessante: “se potessi non morire, se potessi far tornare indietro la vita, quale infinità! E tutto questo sarebbe mio! Io allora trasformerei ogni minuto in un secolo intero, non perderei nulla, terrei conto di ogni minuto, non ne sprecherei nessuno!”.– “È venuto da me, Dio esiste. Ho pianto e non ricordo niente altro. Voi non potete immaginare la felicità che noi epilettici proviamo il secondo prima di avere una crisi. Non so quanto possa durare nella realtà ma tra tutte le gioie che potrei avere nella vita, non farei mai scambio con questa.” (L’idiota)

“Dove mai ho letto che un condannato a morte, un’ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo così stretto da poterci posare soltanto i due piedi – avendo intorno a sé dei precipizi, l’oceano, la tenebra eterna, un’eterna solitudine e una eterna tempesta –, e rimanersene così, in un metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d’anni, l’eternità, anche allora avrebbe preferito vivere che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere in qualunque modo, ma vivere!… Quale verità! Dio, che verità! È un vigliacco l’uomo!… Ed è un vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco”. (Delitto e castigo)

Il 24 dicembre, graziato della vita, venne deportato in Siberia dove giunse l’11 gennaio 1850 a Tobol’sk per poi essere rinchiuso il 17 gennaio nella fortezza di Omsk.

Dalla drammatica esperienza della reclusione nacque una delle sue opere più crude e sconvolgenti “Memorie della casa dei morti” in cui varie umanità degradate vengono descritte come personificazioni delle più turpi abiezioni morali, pur senza che manchi una vena di speranza. Per quattro anni il suo ristretto universo fu delimitato da un recinto di millecinquecento pali di quercia, lavorando alabastro, trasportando tegole e spalando neve, attorniato dalla peggior risma d’individui. Scrisse: “È gente rozza, esasperata e incattivita. Il loro odio per noi nobili va oltre ogni immaginazione, e perciò hanno accolto noi nobili con ostilità e un sottile piacere per la nostra disgrazia. 150 nemici che non si stancavano di perseguitarci, anzi per loro era un godimento, un divertimento.”

Gli concessero un solo libro, la Bibbia ed i soli amici furono un’aquila ferita ed un cane tignoso.

Nel febbraio del 1854 venne liberato dalla galera per “buona condotta” ma la sua salute fu irrimediabilmente compromessa.

Scontò il resto della pena, un paio d’anni, servendo nell’esercito come soldato semplice nel 7º battaglione siberiano, di stanza nella città di Semipalatinsk vicino al confine cinese. In quel periodo gli fu vietata ogni pubblicazione e gli furono di grande supporto morale i libri inviatigli clandestinamente dal fratello Michail, tra cui i romanzi di Dumas e la Critica della ragion pura di Kant.

Nel 1857 sposò Marija Isaeva, una donna dal carattere vivace, sognatore e impressionabile, vedova trentatreenne di un alcolista e madre di un bambino di nome Pavel.  

Il 18 marzo 1859, congedato dall’esercito, ottenne il permesso di rientrare nella Russia europea stabilendosi a Tver, il capoluogo più vicino a San Pietroburgo in quanto l’ingresso nella capitale non gli era stato ancora concesso.

Preparò con l’aiuto del fratello Michail una riedizione delle sue opere precedenti (e lavorò alle sue memorie sul bagno penale: queste verranno terminate fra il 1860 e il 1861 e pubblicate fra il 1861 e il 1862con il titolo “Memorie della casa dei morti”.

Nel 1861 scrisse “Umiliati e offesi” che non ebbe un gran successo, a differenza delle Memorie dalla casa dei morti – ma ripristinò i suoi rapporti con l’intellighezia pietroburghese facendo amicizia con due critici già affermati, Apollon Aleksandrovic grigor’ey e Nikolaj Strachov.

Insieme al fratello fondò la rivista Vremja (Il tempo) che si propone come espressione della “idea russa”, ovvero della necessità di riavvicinare l’intellighenzia alle sue radici nazional-popolari (al suo “humus”) e si contrappone apertamente alle correnti occidentaliste e radicali, sostenute, tra gli altri, da Turgenev. Sulla rivista Dostoevskij pubblicò Memorie dalla casa dei morti e Umiliati e offesi nel 1861, Un brutto aneddoto nel 1862 e Note invernali su impressioni estive nel 1863.

Il 21 marzo 1864, diretta dai due fratelli, uscì la rivista “Epocha, su cui pubblicherà le “Memorie del sottosuolo”.

Nello stesso anno, il 15 aprile morì la sua prima moglie e, il 10 luglio, il fratello Michail, che gli lasciò enormi debiti da pagare.

Nel 1865, compì un viaggio in Europa, dove, cercando di risolvere le proprie difficoltà economiche, giocò disperatamente alla “roulette” col risultato di peggiorare ulteriormente la sua condizione finanziaria. Cercò allora di sposare una sua intima amica Apollinarija Suslova che però lo rifiutò senza mezzi termini.

Nel 1866 iniziò a pubblicare, a puntate, il romanzo “Delitto e castigo”.

Nell’occasione conobbe una giovane e bravissima stenografa, Anna Grigor’evna Snitkina, grazie alla quale riuscì a dare alle stampe, nello stesso anno, “Il Giocatore” opera in cui racconta le disavventure di alcuni personaggi presi dal vizio della roulette.

Nel 1867 si sposò con Anna a San Pietroburgo e partì con lei per un nuovo viaggio in Europa, dove frequentò i casinò tedeschi, giocando d’azzardo pesantemente e perdendo tutto il suo denaro.

Da una sua lettera: “Anja cara, amica mia, moglie mia, perdonami, non chiamarmi mascalzone! Ho compiuto un misfatto, ho perso tutto, tutto fino all’ultimo Kreuzer, ieri ho ricevuto il denaro e ieri l’ho perso.”

Di passaggio a Firenze iniziò a scrivere “L’idiota”.

Nel 1868 nacque la figlia Sonja, che visse solo tre mesi. (Il dramma della morte dei bambini è, non a caso, uno dei temi trattati nel romanzo L’idiota, portato a termine lo stesso anno).

Nel 1899 nacque la seconda figlia, Ljubov (in russo, “amore”, da adulta nota anche come Aimée) e pubblicò il romanzo breve “L’eterno marito”.

Nel 1870 lavorò intensamente al nuovo romanzo “I Demoni” con cui l’autore sembrò voler rinnegare definitivamente il proprio passato di libero pensatore nichilista.

Nel 1871 nacque il figlio Fëdor Fëdorovič, e questo fatto lo portò a rinunciare una volta per tutte al vizio del gioco e, grazie agli introiti derivatigli dalla pubblicazione dei Demoni, fece rientro a San Pietroburgo per affrontare i suoi creditori e sistemare alcuni suoi debiti.

Strinse amicizia con Konstantin Pobedonoscev – uno degli intellettuali più influenti e più conservatori di Russia – che di lì a qualche anno diventò procuratore del “Santo Sinodio” e scomunicò Lev Tolstoj!

Nello stesso anno Dostoevskij assume la direzione della rivista conservatrice Graždanin (“Il cittadino”), dove iniziò a pubblicare dal 1873 il “Diario di uno scrittore”, una serie di articoli d’attualità nei quali emergerà anche un suo certo antigiudaismo.

Si ricorda quanto dichiarò nel suo articolo Il problema ebraico (marzo 1877), in risposta a un attacco da parte di un corrispondente ebreo, in cui affermò di non essere un antisemita razziale e che non odiava “l’ebreo come popolo ma gli ebrei d’alto rango, i Re delle borse, i padroni delle banche, che influenzavano la politica internazionale; e gli ebrei usurai, gli sfruttatori delle popolazioni autoctone”, citando gli esempi dei neri d’America e della popolazione lituana aggiungendo “posso dirvi che non sono affatto un nemico degli ebrei e non lo sono mai stato”.

Anche nel romanzo “L’adolescente” il protagonista si lascia andare a sfoghi antisemiti: “Che immoralità c’è nel fatto che da una massa di zampe ebree, sporche e nocive, questi milioni finiscano nelle mani di un solitario deciso e ragionevole che volge sul mondo uno sguardo penetrante?”. Infatti l’adolescente Arkadij cerca nell’arricchimento la sua personale via per la libertà dello spirito, volendo diventare “come Rothschild”.

In quegli anni strinse amicizia con il filosofo Vladimir Solov’ev.

Nel 1875 nacque il quarto figlio, Aleksej, che morì prematuramente il 16 maggio 1878 in seguito a un attacco di epilessia, la stessa malattia di cui soffriva lui stesso.

Sempre nel 1878 fu eletto Membro dell’Accademia Russa delle Scienze nella sezione lingua e letteratura.

Nel 1879 fu invitato a partecipare al Congresso letterario internazionale a Londra e in sua assenza, su proposta di Victor Hugo, fu eletto Membro del Comitato d’onore.

Finalmente la sua vita era cambiata e ritrovò quell’agiatezza sempre tanto voluta, anche se la sua salute era fortemente peggiorata e gli diagnosticarono un enfisema polmonare.

Nel gennaio del 1879 iniziò, sulla rivista “Russkij vestnik”, la pubblicazione de “I fratelli Karamazov” il suo canto del cigno, il suo romanzo più voluminoso e forse più ricco di drammaticità e di profonda moralità. Immediatamente il romanzo fu accolto con enorme favore. La stesura continuò tuttavia con lunghe pause. A causa del peggiorare delle sue condizioni di salute e così, nell’estate dello stesso anno, si recò a Ems per curarsi.

Nel giugno del 1880, durante le celebrazioni in onore di Puskin, lesse un discorso composto per l’occasione, che venne accolto entusiasticamente dal pubblico e, nei giorni successivi, dalla stampa. Il numero speciale del “Diario di uno scrittore” contenente il discorso vendette ben 15.000 copie.

Sì, la vocazione dell’uomo russo è indubitabilmente europeistica, anzi ecumenica. Diventare un vero russo, significa forse soltanto essere fratello di ogni essere umano, diventare un uomo universale. Tutto il nostro movimento slavofilo e occidentalizzante non è che una grande incomprensione della nostra missione, anche se storicamente necessaria il nostro destino è l’ecumenicità, ma non conquistata con la spada, ma con la forza della fratellanza e con il fraterno desiderio dell’unione spirituale di tutti gli uomini” (Discorso dell’8 gennaio 1880 in onore di Puskin)

Nell’autunno dello stesso anno, il 1880, terminò il romanzo “I fratelli Karamazov” che uscì nel dicembre in 3.000 copie. In pochi giorni metà della tiratura fu venduta.

Ricordiamo una delle celebri frasi del romanzo: “Ciascuno di fronte a tutti è per tutti e di tutto colpevole. E non solo a causa della colpa comune, ma ciascuno, individualmente”. (I fratelli Karamazov).

Nelle sue intenzioni avrebbe dovuto far seguito un altro romanzo in cui il minore dei fratelli Karamazov, Alëša, sarebbe cresciuto d’età. Ma per lui diventò sempre più difficoltoso dedicarsi al lavoro intellettuale.

Morì improvvisamente, in seguito a un repentino aggravarsi del suo enfisema, il 28 gennaio 1881 a San Pietroburgo, nello stesso appartamento dove ora si trova il museo a lui dedicato.

Prima di morire, volle salutare i suoi figli, Ljubov’ e Fëdor, e chiese loro che “la parabola del figlio prodigo” venisse letta ai bambini nel loro futuro percorso educativo.

Il significato profondo di quest’ultima richiesta fu così spiegato da Joseph Frank:

Fu questa parabola di trasgressione, pentimento e perdono che volle trasmettere come ultimo lascito ai suoi figli, e ciò può significare una presa di coscienza finale sul significato ultimo della sua vita e della sua opera”.

La moglie Anna testimoniò di avergli consegnato (data la sua richiesta), nello stesso mattino del decesso, il Vangelo di Tobol’sk, che aveva sempre tenuto con sé e che lui, apertolo a caso, le fece leggere una frase: “ma Giovanni lo trattenne e disse: io devo essere battezzato da te e non tu da me. Ma Gesù gli rispose: non trattenermi:” Una frase a cui rispose: “Senti Anja, non trattenermi, vuol dire che debbo morire.”

Il 12 febbraio 1881 gli vennero tributate esequie solenni e venne sepolto nel Cimitero Tichvin del Monastero di Aleksandr Nevskij.

Nel 1884 uscì la prima edizione postuma delle sue opere complete in 14 volumi.

Dostoevskij scrisse quattordici romanzi, venti racconti e due saggi.

I romanzi:

Povera gente (Бедные люди, Bednye ljudi), 1846

Il sosia (Двойник, Dvojnik), 1846.

Netočka Nesvanova (Неточка Незванова, Netočka Nezvanova), incompiuto, 1849

Il villaggio di Stepančikovo e i suoi abitanti (Село Степанчиково и его обитатели, Selo Stepančikovo i ego obitateli), 1858.

Memorie dalla casa dei morti (Записки из мёртвого дома, Zapiski iz mërtvogo doma), 1861.

Umiliati e offesi (Униженные и оскорблённые, Unižennye i oskorblënnye), 1861.

Memorie dal sottosuolo (Записки из подполья, Zapiski iz podpol´ja), 1864.

Il giocatore (Игрок, Igrok), 1866.

Delitto e castigo (Преступление и наказание, Prestuplenie i nakazanie), 1866.

L’idiota (Идиот, Idiot), 1869.

L’eterno marito (Вечный муж, Večnyj muž), 1870.

I demoni (Бесы, Besy), 1871.

L’adolescente (Подросток, Podrostok), 1875.

I fratelli Karamazov (Братья Карамазовы, Brat´ja Karamazovy), 1878-1880.

I racconti:

Romanzo in nove lettere (Роман в девяти письмах, Roman v devjati pis’mach), 1845.

Il signor Procharčin (Господи Прохарчин, Gospodin Procharčin), 1846.

La padrona (Хозяйка, Chozjajka), 1847.

Polzunkov (Ползунков, Polzunkov), 1848.

Un cuore debole (Слабое сердце, Slaboe serdce), 1848.

La moglie altrui e il marito sotto il letto (Чужая жена и муж под кроватью, Čužaja žena i muž pod krovat’ju), 1848.

Il ladro onesto (Честный вор, Čestnyj vor), 1848.

L’albero di Natale e il matrimonio (Ёлка и свадьба, Ёlka i svad’ba), 1848.

Le notti bianche (Белые ночи, Belye Noči), 1848.

Un piccolo eroe (Маленький герой, Malen’kij geroj), 1849.

Il sogno dello zio (Дядюшкин сон, Djadjuškin son), 1859.

Una brutta storia (Скверный анекдот, Skvernyj anekdot), 1862.

Il coccodrillo (Крокодил, Krokodil), 1865.

Bobok (Бобок, Bobok), 1873.

Il bambino “con la manina”. Il bambino sull’albero di Natale da Gesù (Мальчик у Христа на ёлке, Mal’čik u Christa na ëlke), 1876.

Il contadino Marej (Мужик Марей, Mužik Marej), 1876.

La mite (Кроткая, Krotkaja), 1876.

Il sogno di un uomo ridicolo (Сон смешного человека, Son smešnogo čeloveka), 1877.

Vlas (Влас, Vlas), 1877.

Piccoli quadretti (Mаленькие картины, Malen’kie kartiny), 1877.

i saggi:

Note invernali su impressioni estive (Зимние заметки о летних впечатлениях, Zimnie zametki o letnich vpečatlenijach), 1863.

Diario di uno scrittore (Дневник писателя, Dnevnik pisatelja), 1873 in cui troviamo due indimenticabili frasi: “Giungeremo a poco a poco alla conclusione che i delitti non esistono affatto, e di tutto ha colpa l’ambiente. Giungeremo, seguendo il filo del ragionamento, a considerare il delitto persino come un dovere, come una nobile protesta contro l’ambiente, insomma la dottrina dell’ambiente porta l’uomo a una piena spersonalizzazione, al suo pieno affrancamento da ogni dovere morale personale, da ogni indipendenza, lo porta alla più schifosa schiavitù immaginabile – “Ci sono nella vita degli uomini dei momenti storici, in cui una scelleratezza evidente, sfacciata, volgarissima può venir considerata nient’altro che grandezza d’animo, nient’altro che nobile coraggio dell’umanità che si libera dalle catene”.

Ricordiamo anche i film realizzati dalle sue opere.

Non dimentichiamo che I romanzi di Dostoevskij, e la sua stessa vita, sono stati rappresentati diverse volte in opere cinematografiche o televisive. Di notevole interesse è L’idiota di Akira Kurosawa e sebbene la critica lo definì “uno dei più grandi film mancati nella storia del cinema“, altrettanto unanimemente lo considerò il miglior film dostoevskiano mai realizzato.

1920 – Il principe idiota, di Eugenio Perego, da L’idiota

1931 – Il delitto Karamazov (Der Mörder Dimitri Karamasoff), di Erich Engels e Fyodor Otsep

1934 – Le notti bianche di San Pietroburgo, o La tragedia di Egor, di Grigorij L’vovič Rošal’ e Vera Stroeva, da Le notti bianche

1935 – Delitto e castigo (Crime et châtiment), di Pierre Chenal

1935 – Ho ucciso! (Crime and Punishment), di Josef von Sternberg, da Delitto e castigo

1946 – Nathalie (L’homme au chapeau rond), di Pierre Billon, da L’eterno marito

1947 – I fratelli Karamazoff, di Giacomo Gentilomo

1949 – Il grande peccatore (The Great Sinner), di Robert Siodmak, con Gregory Peck nel ruolo di Dostoevskij

1951 – L’idiota (Hakuchi), di Akira Kurosawa

1956 – La febbre del delitto, o I peccatori guardano il cielo (Crime et châtiment), di Georges Lampin, da Delitto e castigo

1957 – Le notti bianche, di Luchino Visconti

1958 – Karamazov (The Brothers Karamazov), di Richard Brooks

1958 – Il giocatore (Le joueur), di Claude Autant-Lara

1968 – Il sosia (Partner), di Bernardo Bertolucci

1969 – I fratelli Karamazov (sceneggiato televisivo), di Sandro Bolchi

1969 – Così bella così dolce (Une femme douce), di Robert Bresson, Da La mite

1971 – I demoni (miniserie), di Sandro Bolchi

1971 – Quattro notti di un sognatore (Quatre nuits d’un rêveur), di Robert Bresson, da Le notti bianche

1974 – 40.000 dollari per non morire (The Gambler), di Karel Reisz, da Il giocatore.

1983 – Delitto e castigo (Rikos ja rangaistus), di Aki Kaurismäki

1984 – Il contemporaneo (Aikalainen), di Timo Linnasalo, da Memorie dal sottosuolo

1985 – Amore balordo (L’amour braque), di Andrzej Żuławski, da “L’Idiota”

1988 – Dostoevskij – I demoni (Les possédés), di Andrzej Wajda

1990 – La vendetta di una donna (La vengeance d’une femme), di Jacques Doillon, da La mite

1991 – Umiliati e offesi (Unižennye i oskorblënnye), di Andrei Eshpaj

1994 – Pagine sommesse (Tichie stranitsy), di Aleksandr Sokurov

1999 – Il ritorno dell’idiota (Návrat idiota), di Sasa Gedeon

2007 – Saawariya – La voce del destino, di Sanjay Leela Bhansali, da Le notti bianche

2008 – I Demoni di San Pietroburgo (I Demoni di San Pietroburgo), di Giuliano Montaldo

2013 – The Double, di Richard Aoyade

Alcune considerazioni su Dostoevskij

L’autore, nei suoi romanzi, a differenza che negli articoli e nei saggi, cerca di non lasciar mai trasparire un proprio giudizio definitivo sui personaggi, non giudicarli direttamente, ed è questa una sua peculiarità, che ne pose il pensiero in vivace antagonismo con quello dell’altrettanto contraddittorio Lev Tolstoj. Inoltre, anche se proprio come Tolstoj, pur se per vie diverse, visse un confronto continuo ed al tempo stesso un rapporto tormentoso e quasi personale con la figura di “Cristo” a cui si sentiva tanto legato da affermare:

Sono un figlio del secolo del dubbio e della miscredenza e so che fin nella tomba continuerò ad arrovellarmi se Dio sia. Eppure se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità.”

In lui il “sottosuolo” dell’anima è qualcosa di spaventoso che coincide con l’assolutezza del male.  Giuseppe Gallo scrive: “Sul piano dei contenuti, Dostoevskij traccia la prima implacabile anamnesi della crisi dell’uomo contemporaneo, lacerato da pulsioni contraddittorie e insanabili, privo di certezze e punti di riferimento solidi cui uniformare il proprio comportamento morale. A derivarne è una presa di distanza radicale dal razionalismo illuminista e positivista, alla cui pretesa di ricondurre le leggi della natura all’ordine della ragione lo scrittore contrappone la forza della volontà che non ammette limitazioni.”

Dalla lettura di romanzi come quelli “libertini” del marchese de Sade rileva la propensione al sadismo. Non a caso Sigmund Freud descriverà il grande scrittore come un “Masochista” con tendenze minori sadiche, spesso rivolte però contro sé stesso, probabilmente basandosi sulle pagine biografiche scritte da Lev Sestov, a sua volta basatosi su presunti aneddoti riferiti da Strachov a Tolstoj ma smentiti dalla moglie Anna e alla sopraffazione del forte sul debole presente nell’umanità, tendenza al male raffigurata poi in diversi personaggi, come il principe Valkovski di Umiliati e offesi o da Svidrigajlov di Delitto e castigo e specialmente Stavrogin, coprotagonista de I demoni essi, immorali, corrotti e al limite del crimine, sono però destinati alla crisi personale e al suicidio. L’autore è convinto che solo la fede cristiana possa attenuare il male presente nell’animo umani: «una volta ripudiato Cristo, l’intelletto umano può giungere a risultati stupefacenti» poiché «vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei». Ne I fratelli Karamazov uno dei personaggi, il tormentato Ivàn Karamazov, pronuncia – in un dialogo col fratello Alëša che ha intrapreso la carriera religiosa – la celebre frase: “Se Dio non esiste, tutto è permesso!” (I fratelli Karamazov, libro V “Pro e contro”)

Ai personaggi negativi si contrappongono personaggi vivi e sfaccettati o eroi complessi ma buoni come Myskin de L’idiota, con alcuni lievi tratti biografici. Dostoevskij è definito “artista del caos” perché i suoi personaggi hanno sempre il carattere dell’eccezionalità e permettono di avanzare in concreto quei problemi (conflitto tra purezza e peccato, tra abbrutimento e bellezza, tra caos – appunto – e senso della vita) che la filosofia discute attraverso termini di puro concetto; sono concetti che Dostoevskij incarna nei personaggi dei propri romanzi: quindi si comprende perché il grande scrittore russo sia reputato a tutti gli effetti non solo un autore di letteratura, ma anche un autore di “filosofia contemporanea”.

In merito ai suoi personaggi, lo stesso Dostoevskij scrive nel Diario di uno scrittore: “Non sapete che moltissime persone sono malate appunto della loro salute, cioè di una smisurata sicurezza della propria normalità, e perciò stesso contagiate da una terribile presunzione, da una incosciente auto ammirazione che talvolta arriva addirittura all’infallibilità? Questi uomini pieni di salute non sono così sani come credono, ma, al contrario, sono molto malati e debbono curarsi”, dando così risposta a chi lo accusava d’essere interessato a soggetti con manifestazioni morbose della volontà.

Lo scrittore si caratterizza per la sua abilità nel delineare i caratteri morali dei personaggi che appaiono nei suoi romanzi, tra i quali spesso figurano i cosiddetti ribelli, che contrastano con i conservatori dei saldi principi della fede e della tradizione russa. I suoi romanzi sono definibili “policentrici”, proprio perché spesso non è dato identificare un vero e proprio protagonista, ma si tratta di identità morali incarnate in figure che si scontrano su una sorta di palcoscenico dell’anima: l’isolamento e l’aberrazione sociale contro le ipocrisie delle convenzioni imposte dalla vita comunitaria (Memorie del sottosuolo), la supposta sanità mentale contro la malattia (L’idiota), il socialismo contro lo zarismo (I demoni) e  la fede contro l’ateismo (I fratelli Karamazov).

Nelle opere di Dostoevskij, come nella sua esistenza, la brama di vivere si scontra con una realtà di sofferenza e si coniuga con una incessante ricerca della verità; egli scrisse: “Nonostante tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio alla mia vita e non riesco tuttora assolutamente a discernere se io mi stia avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena sul punto di cominciarla: ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed anche, forse, della realtà”.

A cura di Pier Luigi Cignoli – Foto Getty Images

Editorialista Pier Luigi Cignoli

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