Già, stiamo parlando proprio di lui, di Roberto Rossellini e del suo cinema: se si dovesse scegliere un profilo che sintetizzi, in poche righe, la presenza di Roberto Rossellini nell’ambito della cultura italiana e internazionale, le parole che gli ha dedicato Jean-Luc Godard sembrano ancora oggi le più appropriate e precise.

Per Rossellini l’immagine non è altro che il complemento dell’idea che la provoca.
Era un uomo che non amava pensarsi come un intellettuale, e ancora meno voleva considerarsi un artista, preferiva immaginarsi come un artigiano, qualcuno che desidera fotografare la realtà, qualcuno che cerca di fare il suo lavoro meglio che può, un uomo, infine che con la mente sgombra da pregiudizi cerca soprattutto un incontro vero col mondo.

Si muoverà sempre con questa straordinaria libertà e apertura di pensiero, animato da una curiosità autentica per l’umano, viaggiando per il mondo con estrema semplicità, instancabile, e convinto della necessità di continuare a porsi le giuste domande di fronte alle cose, senza mai farsi catturare da conformismi e pregiudizi di sorta.

Il suo profilo può ben essere assimilato a quello di un uomo del Rinascimento: nasce a Roma l’08 maggio 1906, in una famiglia dell’alta borghesia, si avvicina al cinema, dapprima a livello amatoriale, realizzando alcuni cortometraggi, in seguito collaborando alla sceneggiatura di alcuni film, tra cui Luciano Serra Pilota, diretto da Goffredo Alessandrini nel 1938.

Tra il 1941 e il 1943 realizza tre film, La Nave bianca, Un pilota ritorna, e L’Uomo della croce, che presentano, sia pure in una forma ancora incompiuta a livello di linguaggio e di stile, alcune delle peculiarità che faranno parte del suo sguardo sul mondo, in cui si cominciano a tracciare alcune linee essenziali della poetica rosselliniana, che fa mostra di sè nella capacità rara di filmare i momenti di quiete, i momenti, quasi mai raccontati dal cinema, dell’attesa, quando ancora non sta accadendo niente di particolarmente straordinario, quei momenti essenziali ad alta densità e tensione, in cui la macchina da presa, come un grande occhio si limita ad osservare, con la giusta attenzione e dalla giusta distanza, gli uomini, le cose, gli eventi, nel loro nudo situarsi.

Rossellini è il fondatore del Neorealismo nel cinema: lo disse bene Godard il quale, parlando del suo capolavoro Roma città aperta cosi’ scrisse: “l’Italia ha semplicemente riconquistato il diritto di una nazione di tornare a guardarsi in faccia, ed e’ cosi che si è data la sorprendente ricchezza del grande cinema italiano”.

La grandezza di “Roma città aperta” e la sua originalità, in quanto grande film di resistenza e di lotta, commovente e umana, consisteva anche nel porsi come punto di rottura e di non ritorno nei confronti di un certo modo tradizionale di fare cinema, non tanto e non solo per l’uso delle locations, strade, ambientazioni e luoghi reali, che appartenevano alla città, ma soprattutto per il modo in cui i vari personaggi vi si muovevano interagendo tra di loro, in un unico flusso che aveva il sapore libero e straordinario della spontaneità; attori non professionisti che lavoravano fianco a fianco con attori come Anna Magnani o Aldo Fabrizi, tutti protagonisti e partecipi di un atto creativo cui stavano dando forma, insieme!

Roma città aperta, Paisà, Germania anno zero, sono tre tappe cruciali che incarnano il violento desiderio di portare il cinema fino a oltrepassare i suoi stessi limiti, quella capacità radicale e unica del cinema di Rossellini di spogliare gli eventi di ogni elemento superfluo per arrivare direttamente all’essenziale, cioè, per dirlo con un linguaggio estremo, quel margine stretto che si gioca sempre tra la vita e la morte.

ELEONORA GIORGI

Io, che frequentando un master in Accademia artisti a Roma ho avuto due anni fa il privilegio e la gioia di sentire un attrice moderna come Eleonora Giorgi, docente in Accademia Artisti tenere una lezione su questo regista, mi vengono ancora i brividi per la straordinaria interpretazione in cui nella sequenza della morte di Anna Magnani, che adombrava l’episodio reale della popolana Maria Teresa Gullacci, uccisa dai tedeschi, davanti agli occhi del marito e dei figli, re-inventa il reale, con quella corsa disperata dietro il camion, con quell’urlo nero straziante, con quella sventagliata di mitra si scrive una delle pagine più belle e sconvolgenti della storia del cinema.

Il cuore pulsante del suo lavoro era in realtà qualcosa di molto semplice e profondo: si trattava di ricerca, di continua documentazione, il suo grande obiettivo era comunicare , senza sopraffazioni, senza messaggi, senza interpretazioni personali. L’opera di Roberto Rossellini si potrebbe dire ha una meta precisa: la semplicità come punto di arrivo.

E’ una semplicità francescana.
Essa significa umiltà!

Mi piace, concludendo, accostare la grandezza di questo uomo ai tempi attuali, perchè anche ora, dopo questa stasi, ci sarà bisogno, nel cinema, nell’arte, di fotografare, reinterpretare, raccontare la “vita nuova”, e francamente non mi dispiacerebbe che all’orizzonte si profilasse un “nuovo Rossellini”, che come lui sia capace di dar corpo a un’opera vertiginosa che, come la sua, possa andare oltre i confini del cinema, “un cinema di domani”, un altro reale, volto non tanto ad esprimere, quanto a creare “tempi nuovi”!

A cura di Sandra Vezzani – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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