CORTEO DI COMMEMORAZIONE PER SERGIO RAMELLI FASCISTI ESTREMA DESTRA BANDIERE FIACCOLE
L’omicidio di Sergio Ramelli, nato il 6 luglio 1956, fu un crimine commesso a Milano nel 1975 durante gli “anni di piombo”. La vittima fu uno studente milanese di diciannove anni militante del “Fronte della Gioventù” formazione politica di destra, aggredito il 13 marzo da un gruppo di militanti della “sinistra extraparlamentare” legati ad Avanguardia Operaia formato da: Marco Costa, Giuseppe Ferrari Bravo, Claudio Colosio, Antonio Belpiede, Brunella Colombelli, Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari. Il giovane, a causa dei traumi riportati, morì il 29 aprile, oltre un mese e mezzo dopo l’aggressione. I responsabili furono identificati dieci anni dopo l’accaduto e, dopo un’iniziale condanna per “omicidio preterintenzionale” in primo grado, furono riconosciuti colpevoli di omicidio volontario al termine dei tre gradi di giudizio del processo, durato dal 1987 al 1990.
Secondo quanto reso noto in seguito da sua madre, Sergio in un tema scolastico aveva espresso posizioni di condanna delle Brigate Rosse. Il tema, dopo essere stato sottratto al professore, che ne aveva data pubblica lettura in classe, fu affisso in una bacheca scolastica e usato come “capo d’accusa” in una sorta di “processo politico” scolastico, istituito contro Ramelli da studenti che lo accusavano di essere “fascista“!
Il 13 marzo 1975, Ramelli stava ritornando a casa, fu assalito da un gruppo di extraparlamentari comunisti di Avanguardia Operaia armati di “chiavi inglesi” e con queste colpito più volte al capo; a seguito dei colpi, Ramelli perse i sensi e fu lasciato esangue al suolo. La testimonianza resa da Marco Costa durante il processo fu la seguente: “Ramelli capisce, si protegge la testa con le mani. Ha il viso scoperto e posso colpirlo al viso. Ma temo di sfregiarlo, di spezzargli i denti. Gli tiro giù le mani e lo colpisco al capo con la chiave inglese. Lui non è stordito, si mette a correre. Si trova il motorino fra i piedi e inciampa. Io cado con lui. Lo colpisco un’altra volta. Non so dove: al corpo, alle gambe. Non so. Una signora urla: Basta, lasciatelo stare! Così lo ammazzate! Scappo, e dovevo essere l’ultimo a scappare”. A sua volta, Giuseppe Ferrari Bravo rese la seguente testimonianza: “Aspettammo dieci minuti, e mi parve un’esistenza. Guardavo una vetrina, ma non dicevo nulla. Ricordo il ragazzo che arriva e parcheggia il motorino. Marco mi dice: “Eccolo”, oppure mi dà solo una gomitata. Ricordo le grida. Ricordo, davanti a me, un uomo sbilanciato. Colpisco una volta, forse due. Ricordo una donna, a un balcone, che grida: “Basta!”. Dura tutto pochissimo… Avevo la chiave inglese in mano e la nascosi sotto il cappotto. Fu così breve che ebbi la sensazione di non aver portato a termine il mio compito. Non mi resi affatto conto di ciò che era accaduto”.
Pochi minuti dopo l’aggressione, un commesso vide il corpo coperto di sangue e allertò la portinaia del palazzo di via Amadeo, dove il giovane abitava. La portinaia, riconosciutolo, avvertì la Polizia e i soccorsi medici; un’ambulanza lo portò all’Ospedale Maggiore, in neurochirurgia, dove il ragazzo fu sottoposto a un intervento chirurgico della durata di circa cinque ore, nel tentativo di ridurre i danni causati dai colpi inferti alla calotta cranica. Il decorso post-operatorio fu caratterizzato da periodi di coma alternati ad altri di lucidità; le complicazioni cerebrali indotte dall’aggressione lasciavano i sanitari dubbiosi sul recupero delle piene funzionalità fisiche.
Mentre Ramelli era ancora in coma, a Milano seguirono altre aggressioni a esponenti della destra. Il 16 aprile un gruppo di estremisti di sinistra assalì tre giovani del FUAN che stavano effettuando un volantinaggio. Il 17 aprile fu aggredito l’avvocato Cesare Biglia, allora consigliere provinciale del MSI, che per questo subì un delicato intervento chirurgico.
Il 28 aprile, un giorno prima che Sergio morisse, un gruppetto staccatosi da un corteo della sinistra si recò presso la casa della famiglia Ramelli, dove lasciò scritte sui muri e affisse un manifesto nel quale si minacciava il fratello Luigi di morte se non fosse sparito entro quarantotto ore.
Ramelli morì il 29 aprile 1975, quarantasette giorni dopo l’aggressione. I funerali ebbero luogo nella Chiesa dei Santi Nereo e Achille: il feretro giunse in chiesa quasi di soppiatto poiché le autorità locali avevano vietato il corteo funebre e gli “estremisti di sinistra” avevano minacciato di usare chiavi inglesi contro eventuali partecipanti. Il presidente della Repubblica Giovanni Leone inviò una corona di fiori e alle esequie presenziò l’allora segretario del MSI Giorgio Almirante. Nel corso della celebrazione, quattro militanti di destra furono denunciati per “apologia al fascismo” in ragione di saluti romani rivolti al feretro e a cerimonia conclusa circa trenta giovani, inneggiando alla figura delDuce, cercarono di raggiungere una vicina sede del PCI, ma furono dispersi dalla polizia. A seguito degli scontri con le forze dell’ordine, altri tre militanti furono incriminati per manifestazione sediziosa e apologia del fascismo. Nel frattempo, dalle finestre delle aule della facoltà di Medicina che davano su piazzale Gorini, alcuni giovani con i volti coperti da fazzoletti rossi avevano fotografato i partecipanti al funerale: molte delle foto scattate quel giorno sarebbero poi state ritrovate nel cosiddetto “covo di viale Bligny”.
Ramelli fu inumato nella tomba di famiglia presso il Cimitero Maggiore di Lodi!
 Milano: 29 aprile 2024 
“Il Fatto Quotidiano” nel suo articolo riporta:
<La commemorazione istituzionale di Sergio Ramelli a Milano diventa il teatro di una polemica tra il presidente del Senato Ignazio La Russa e il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Nel pomeriggio di oggi, al giardino intitolato al militante del Fronte della Gioventù ucciso da esponenti di Avanguardia Operaia, La Russa attacca il primo cittadino: “Mi auguro che verrà con la fascia tricolore perché altrimenti starebbe in fondo, invece lo abbiamo messo sempre in prima fila in quanto sindaco”. Poco dopo Sala arriva per deporre la corona, ma senza fascia e spiega ai cronisti: “Non la metto quasi mai, ma vengo con convinzione qui, ogni anno succede”. E così il presidente del Senato fa un mezzo dietrofront nel giro di pochi secondi e nel corso del suo discorso aggiunge: “È importante che la corona sia stata deposta dal sindaco, non si capisce perché la corona sì ma la fascia no, ma noi non ci formalizziamo. L’abito non fa il monaco dunque neanche la fascia. E sono grato al sindaco per essere venuto a ricordare un giovane che ha perso la vita”. L’ultima battuta è per il generale Vannacci: “Non l’ho mandato a quel paese, ma ho detto che ha diritto a candidarsi, alcune cose che ha scritto sicuramente saranno anche giuste altre mi piacciono meno”.>
La diatriba sinistra destra – destra sinistra sembra la “storia infinita”.
A cura di Pier Luigi Cignoli – Foto ImagoEconomica 
Editorialista Pier Luigi Cignoli

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