Trent’anni fa veniva ucciso Salvo Lima, Deputato al parlamento Europeo ed ex Sindaco di Palermo, referente della corrente andreottiana della DC in Sicilia. Fu l’inizio della stagione del terrore di Cosa Nostra. Un omicidio ordinato da Totò Riina, che così fece pagare a Lima il fatto di non aver saputo “aggiustare” il maxiprocesso. All’uscita dalla sua villa di Mondello, per recarsi all’hotel Palace a un convegno, in cui era atteso anche l’amico Giulio Andreotti, si trovava a bordo di un’Opel Vectra guidata da un docente universitario, con un suo collaboratore e assessore provinciale.

Dopo avere percorso un breve tratto di strada un commando – con due uomini in moto – sparò alcuni colpi di arma da fuoco contro la vettura bloccandola. Lima scese dall’auto cercando di mettersi in salvo, ma fu raggiunto dai killer e ucciso con tre colpi di pistola. La sua condanna fu decretata dopo il maxiprocesso. Lima, infatti, si attivò per modificare in Cassazione la sentenza contro la mafia che condannava molti boss all’ergastolo.

Tra questi Riina, Provenzano e i vertici della cupola. Il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò tutti gli ergastoli. La sentenza certificò, anche per la storia giudiziaria del nostro Paese, l’esistenza di Cosa Nostra; confermando la validità delle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta. Una sentenza capestro per il luogotenente di Andreotti in Sicilia, e di conseguenza un avvertimento della mafia allo stesso Andreotti, che già lavorava per la presidenza della Repubblica. Un vincolo stretto, come suggerisce la storia e come riferiscono i pentiti, tra Lima e la mafia, che si ruppe sotto i colpi di pistola di Mondello.

Un legame che durava da anni, con Lima che fu tra i precursori della formula mafia-politica-appalti. E’ sua e di Vito Ciancimino la responsabilità di una delle vicende più devastanti per il capoluogo siciliano. Infatti, il “sacco di Palermo” negli anni sessanta stravolse, in una notte, la fisionomia della città. Nel 1958, Lima fu eletto sindaco di Palermo e Vito Ciancimino gli subentrò nella carica di assessore ai lavori pubblici. In quel periodo andò in scena la più grande speculazione edilizia mai vista in città. 4.000 licenze rilasciate, di cui 1.600 intestate a prestanome, che non avevano nulla a che fare con l’edilizia. Imprese legate a Cosa Nostra che stravolsero Palermo per sempre. Un sistema che andò avanti nel tempo e che riuscì a garantire a Salvo Lima un pacchetto enorme di voti in Sicilia riconducibili al potere mafioso. Voti che la Democrazia Cristiana romana non disdegnava. Poi, negli anni ottanta, arrivò il pool antimafia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino misero le mani negli affari di Cosa Nostra, scoperchiando le attività illecite e i fiumi di soldi che circolavano al loro interno. L’aiuto indispensabile per fare chiarezza arrivò da Tommaso Buscetta.

Cosa Nostra provò ad aggiustare le cose, credendo che Lima potesse sistemare il maxiprocesso. Il 12 marzo di trenta anni fa, dopo l’omicidio di Salvo Lima, Giovanni Falcone disse: “Da questo momento, in Italia, può succedere di tutto”. Cosa Nostra aveva dichiarato guerra e Falcone l’aveva subito capito.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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