La violenza nelle carceri.

È un grido di disperazione e di rabbia quello che arriva dalle carceri italiane che spesso si nutrono di violenza. Ecco i delinquenti nelle patrie galere. Per il 32% sono stranieri. Bruciano, picchiano, distruggono. Da un lato criminali da contenere con strumenti più capaci e/o con metodi più forti; dall’altro ci si sofferma a guardare il dito (i focolai delle rivolte) e non la luna (l’orrore di un sistema penitenziario fatiscente che riduce gli uomini a bestie in gabbia).

Di cosa si lamentano? In questo periodo di pandemia hanno consentito loro di telefonare a casa qualche volta in più. In fondo è emergenza per tutti. Anche noi ci sentiamo privati della nostra quotidianità e costretti nelle maglie di un vivere imposto da un sentire condiviso di autotutela e di protezione solidale degli altri. E loro, i detenuti, che pure sono ristretti perché colpevoli, marchiati a fuoco d’indelebile infamità, proprio loro di cosa si lagnano? Hanno tre metri quadri a testa in una cella, compresi gli elementi di arredo. Inclusi anche i letti dove dormono.

A tal proposito sono state scomodate le Sezioni Unite della Cassazione per deciderlo. I muri sudano muffa e umidità e i prodotti per disinfettare li avrà solo chi li potrà comprare. L’acqua di solito c’è. I lavandini servono a tutte le esigenze di pulizia, quelle del corpo, dei panni, dei piatti e delle stoviglie di tutti i coinquilini. Le docce sono un bene di lusso, da condividere comunque con quanti abitano lo stesso spazio asfittico. Ecco allora che la disperazione prende il sopravvento e si traduce nello scempio di una rivolta che esplode su un materiale pirotecnico cui basta poco più di una scintilla.

A contenerla un personale di polizia penitenziaria mai numericamente adeguato. Oggi sono oltre 36mila gli agenti che prestano servizio. Di questi, però, solo 15mila sono operativi – cioè attivi nelle sezioni carcerarie – destinati al controllo di oltre 60mila detenuti. I penitenziari più a rischio sono quelli della Campania, Lombardia ed Emilia Romagna. Scontata la condanna a ogni forma di violenza, è tempo di rimediare. Come? Ridurre i numeri del sovraffollamento, che ora conta 10mila unità in più rispetto alle disponibilità, con misure immediate e adeguate.

Amnistia per i reati meno gravi; indulto per le pene inferiori ai due anni; arresti o detenzione domiciliare laddove sussistano esigenze di sicurezza da tutelare. Il carcere sia davvero l’estrema ratio, quando ogni altra misura è inadeguata. Si rendano disponibili più braccialetti elettronici; poiché sono già in tanti i detenuti che li aspettano con in mano un provvedimento inutile di concessione da parte dell’autorità giudiziaria. Si adotti ogni strumento idoneo a ripristinare la legalità nelle carceri in un’ottica di deflazione che è aspirazione di giustizia e di umanità.

S’insegua non la sterile punizione ma la sicurezza delle persone e la loro dignità che è restare parte di una comunità e poter scegliere di tenere l’altro almeno a un metro di distanza.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto di Damir Spanic

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Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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