UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TRENTO
Prima di entrare nel merito specifico dell’argomento è bene chiarire l significato del termine “WOKE”.

Woke (letteralmente “sveglio”) è un aggettivo inglese con il quale ci si riferisce allo “stare all’erta”, “stare svegli” nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. La voce è entrata nei dizionari della lingua inglese nel 2017 attraverso il movimento attivista statunitense Black Lives Matter ed è correlato a due sostantivi. Con il primo, wokeness[, si intende il “non abbassare la guardia”, sempre in riferimento a quanto sopra, quindi uno stato di consapevolezza, in particolare di fronte a problemi sociali come il razzismo e la disuguaglianza mentre Il secondo èwokeism (italianizzato in wokismo) che indica il comportamento e gli atteggiamenti sensibili alle ingiustizie sociali e politiche. Penetrato nel linguaggio politico, il termine è sempre più usato dai critici dell’ideologiawoke per connotare in senso negativo quello che ritengono un atteggiamento di dogmatismo intollerante e censorio nei confronti delle idee che vanno contro le moderne sensibilità sulle questioni delle minoranze e dei diritti civili. Oggi viene tuttora usato dagli oppositori dell’ideologia woke e politicamente corretta per distinguersi appunto dai sostenitori e portavoce di quest’ultima; da qui lo slogan “Awake, not woke“. Con lo sviluppo del “Movimento per i diritti civili” degli anni ’60 del XX secolo, woke è diventato un termine politico ed è strettamente collegato al mondo dei “paladini della giustizia sociale“, per cui ha assunto anche un’accezione molto più negativa.

Basterebbe ripensare gli anni 60, quando i primi “laureati” in Sociologia invasero le scuole italiane per portare la politica sinistroide tra i banchi cercando di indottrinare gli studenti, sia i liceali che gli Universitari, distruggendo la goliardia e i califfati e incitando allo sciopero. Lo ricordo bene: mi diplomai nel 64 e lo stesso anno mi iscrissi all’Università e da allora sono in netto contrasto con i loro programmi e progetti.

Il Quotidiano “il Giornale”, da cui ho attinto alcune notizie, in questi giorni ha pensato bene di riprender l’argomento visto le scelte di “fanatismo ideologico” emerso nella Facoltà di Trento che sta avvallando il “politicamente corretto”con asterischi, schwa, occupazioni, censure varie e non solo. 

Il Consiglio di Amministrazione della Facoltà di Trento ha approvato un nuovo regolamento in cui, in nome dell’inclusività, tutte le cariche vengono declinate solo al femminile anche se riferite agli uomini: non più il rettore, il preside, il professore ma la presidente, la rettrice, la segretaria, le componenti del Nucleo di valutazione, la direttrice del Sistema bibliotecario di Ateneo, le professoresse, la candidata, la decana utilizzando il cosiddetto “femminile sovra-estesteso” usato per riferirsi ai due sessi intesi come donne e/o uomini. 

Cinquanta pagine di “follie” in cui tra l’altro nel Titolo 1,articolo1, comma 5 si legge: “I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone”.   

Flavio Deflorian, Rettore dell’Università di Trento, nel suo ruolo di docente di Scienza e Tecnologia dei Materiali, ha difeso tale normativa sottolineando: “E’ di valenza particolarmente simbolica e assunta anche per mantenere all’attenzione degli organi di governo la questione».

Il Rettore (potremo ancora chiamarlo così senza essere accusati di non essere inclusivi?) ha motivato tale la scelta durante la stesura del nuovo regolamento affermando: “Abbiamo notato che accordarsi alle linee guida sul linguaggio rispettoso avrebbe appesantito molto tutto il documento. In vari passaggi infatti si sarebbe dovuto specificare i termini sia al femminile, sia al maschile. Così, per rendere tutto più fluido e per facilitare la fase di confronto interno, i nostri uffici amministrativi hanno deciso di lavorare a una bozza declinata su un unico genere”.

Per dare un senso completo a tali assurde dicerie ha concluso: “Leggere il documento mi ha colpito. Come uomo mi sono sentito escluso. Questo mi ha fatto molto riflettere sulla sensazione che possono avere le donne quotidianamente quando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali. Così ho proposto di dare, almeno in questo importante documento, un segnale di discontinuità. Una decisione che è stata accolta senza obiezioni”.

Stiamo cadendo nella “voragine” del banale e del ridicolo! 

Pensare che contrastare l’utilizzo del «maschile sovra-esteso» e di «contrastare il sessismo» nelle Università diventi la “materia” primaria dell’insegnamento e degli obbiettivi per preparare “socialmente” i futuri laureati. Ciò è ancor più vero e preoccupante è finalizzare tali decisioni, ovvero adottare “il genere femminile per promuovere un uso non discriminatorio della lingua italiana nei vari ambiti della vita quotidiana della comunità universitaria per non utilizzare asterischi e schwa diffusi in altri atenei“.

Così per evitare quanto sopra viene proposta dal mondo sinistroide una soluzione ancor più assurda, tipica caratteristica legata alla cultura woke che spinge sempre più in alto l’asticella di ciò che è accettabile e diventa ancor più paradossale nelle nostre Università che vogliono imitare irragionevolmente i Campus americani.

Questa è la cultura che ci vuole imporre, tramite i suoi adepti, la Sinistra?

Pier Luigi Cignoli

Editorialista Pier Luigi Cignoli

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