Addio borghesia, proletariato e lotta di classe: le famiglie italiane sono da oggi suddivise in 9 gruppi sociali. I più corposi sono quelli delle famiglie di impiegati e di operai in pensione. La nuova classificazione è stata fatta dall’Istat nel Rapporto Annuale 2017, che racconta in modo nuovo la società italiana.

L’istituto ha preso in esame la situazione professionale, la cittadinanza, il titolo di studio, il numero di membri della famiglia, associando quindi alla componente economica quella culturale e quella socio-demografica.

Il risultato sono nove gruppi distinti in base al reddito equivalente medio: i giovani ‘blue collar’ e le famiglie degli operai in pensione con reddito medio; quindi, le famiglie a reddito basso con stranieri, quelle a reddito basso di soli italiani, le famiglie tradizionali della provincia e il gruppo formato da anziane sole e giovani disoccupati; infine, le famiglie benestanti di impiegati, le famiglie con ‘pensioni d’argento’ e infine la classe dirigente.

La spesa media per consumo va da un minimo di 1.697 euro per le famiglie a basso reddito con stranieri a un massimo di 3.810 euro per la classe dirigente (la media delle famiglie è 2.499 euro). Secondo l’Istat, la perdita del senso di appartenenza a una certa classe è più forte per la piccola borghesia e la classe operaia: la prima si distribuisce tra famiglie di impiegati, operai in pensione e famiglie tradizionali della provincia.
La classe operaia si e’ frammentata tra i giovani blue-collar e nelle famiglie a basso reddito. “La classe operaia – scrive l’Istat – ha abbandonato il ruolo di spinta all’equità sociale mentre la borghesia non è più alla guida del cambiamento e dell’evoluzione sociale”. “Una delle ragioni per cui ciò è avvenuto è la perdita dell’identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi, ma anche al cambiamento di attribuzioni e significati dei diversi ruoli professionali”.

Aumentano le persone a rischio povertà Le persone a rischio di povertà o esclusione sociale sono il 28,7% nel 2015. Tra coloro che vivono in famiglie con almeno un cittadino straniero la quota e’ quasi doppia (49,5%) rispetto a chi vive in famiglie di soli italiani (26,3%). La crisi – si legge ancora – ha aumentato la diseguaglianza nella maggior parte dei paesi europei ma se altrove “l’intensificarsi dell’azione redistributiva pubblica ha mitigato l’incremento della diseguaglianza dei redditi disponibili” in Italia questa azione “è tra le più basse in Europa e nel corso della recessione è aumentata meno che altrove mostrando la difficoltà del sistema welfare nel contrapporsi alle forze di mercato”.

L’Istat evidenzia il ruolo cruciale in questa redistribuzione alle pensioni, che “nel caso di pensionati senza altra fonte di reddito, assicurano un reddito disponibile a persone con un reddito di mercato nullo, mentre un ruolo modesto è ricoperto” da interventi come “assegni al nucleo familiare o sussidi di disoccupazione”.
Oltre 3 milioni e mezzo di famiglie senza reddito di lavoro Si contano 3 milioni 590mila famiglie senza redditi da lavoro, ovvero dove non ci sono occupati o pensionati da lavoro. Si tratta del 13,9% del totale, con la percentuale più alta che si registra nel mezzogiorno (22,2%). Si tratta di tutti nulcei ‘jobless’ dove si va avanti grazie a rendite diverse, affitti o aiuti sociali. Nel 2008 queste famiglie erano 3 milioni 172 mila, il 13,2% del totale. Sette giovani under 35 su dieci vivono nelle famiglie d’origine Sempre preoccupante la situazione dei giovani in Italia: quasi sette under35 su dieci vivono ancora nelle famiglie di origine. Nel 2016 i 15-34enni che stanno a casa dei genitori sono precisamente il 68,1% dei coetanei, corrispondenti a 8,6 milioni di individui. Crescita occupati prosegue “a ritmi più sostenuti” Nel 2016 la crescita del numero di occupati in Italia prosegue a ritmi più sostenuti rispetto a un anno prima – 293 mila in piu’, +1,3 per cento – raggiungendo quota 22,8 milioni, un livello ancora inferiore di 333 mila unità se confrontato con quello del 2008. Gli occupati uomini sono oltre mezzo milione in meno del 2008 mentre le donne superano di 255mila unita’ il numero di otto anni prima. L’aumento del tasso di occupazione prosegue a un ritmo simile a quello dell’Ue, è al 57,2 per cento nel 2016 (+0,9 punti percentuali sul 2015), un valore lontano dalla media europea, soprattutto per la componente femminile (61,4 per cento e 48,1 per cento). Italia un paese per ‘vecchi’ L’Italia è prima in Europa per invecchiamento della popolazione: al primo gennaio 2017 le persone over 65 erano il 22% del totale, cioè 13,5 milioni, il valore più alto dell’Ue.

Il dato emerge dal Rapporto Istat 2017. A fronte di questo, il fenomeno dell’immigrazione, che aveva finora compensato l’invecchiamento degli italiani, da una parte rallenta a causa della crisi e delle minori prospettive occupazionali del nostro Paese rispetto ad altri, dall’altra mostra a sua volta un aumento dell’eta’ media che passa da 31,1 a 34,2 anni tra 2008 e 2017. La categoria degli over 65, in particolare i pensionati, è quella ad aver subito meno di tutte i contraccolpi della crisi.

Fonte Istat

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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