Ho trascorso quasi tutta la mia giovinezza in una Romagna alle soglie del boom economico, ma non ancora del tutto invasa dai vacanzieri, con la gente che in agosto affittava le camere di casa propria e si ritirava a dormire in cantina per poi svernare o recuperare parte dell’investimento. Anche in spiaggia con le radioline al seguito per ascoltare i tormentoni ballabili, si parlava di calcio, di rivalità, in attesa del campionato, delle schedine del totocalcio, del tredici miliardario.

Il campo era in terra battuta sotto casa, molta polvere e qualche sasso, che quando si è giovani appare bello e maestoso come il Maracanã o una sirena che canta di notte sotto lo scoglio dove erge verdastro il capanno del conte Rognoni che continuava ad amare il Cavalluccio, nonostante le sue origini lombarde.

Le prime partite contro i ragazzi più grandi, le trasferte in taxi – due adulti e undici-dodici bambini, “stretti stretti ma nessuno che si lamentava” -, un compagno di squadra che si addormentava in porta, il presidente che a pochi minuti dal calcio d’inizio lasciava lo stadio e andava a tirare i sassolini nella fontana Masini per smaltire la tensione, la signora che per consentire la battuta del calcio d’angolo doveva aprire la porta di casa.

E poi il primo ritiro con il Cesena dopo l’ultimo provino sotto la guida di Magrini e Rodoquino. Il grande Manuzzi, non certo per statura, ma per fiuto negli affari ortofrutticoli, ci pagava con 500 lire a punto, 1.000 se la vittoria arrivava in trasferta.

Erano i tempi di un calcio che oggi non esiste più. Ci piaceva giocare a pallone ed era un ritratto poetico e nostalgico di un calcio che sembra ormai una favola, e si rivela in fondo una dichiarazione d’amore al gioco che ha segnato la vita di molti calciatori, quale che sia stata la propria squadra del cuore.

Ricordo ancora Giampiero Ceccarelli, venuto al calcio quasi per scherzo, combattere contro Gigi Riva, come Boranga anticipare Pulici, o Mantovani togliere la palla a Bettega, o ancora Leoni e Scorza sbarrare la strada a gente come Mazzola e Rivera.

Questo era il calcio di Brera, Ciotti, Cucci, che lo raccontavano come se tutti fossimo in Paradiso.

Si campava con poco, ma senza fronzoli e la domenica era sacra come per le mamme andare in chiesa alla messa.

Quel calcio non esiste più, la musica ha un tono diverso che suonano presidenti bancarottieri e procuratori del piffero.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Lapresse

Il Direttore Editoriale Carlo Costantini

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