Quando occorrono 23 giornate per ottenere la prima vittoria in campionato c’è un solo destino: la retrocessione, e questo è stato il verdetto toccato all’Hellas Verona, che dopo tre stagioni ritorna mestamente in B, ultimo in classifica.

Eppure solo due anni fa, da neopromossa, la formazione veneta inseguiva sino alla fine una qualificazione UEFA che sfuggiva sul filo di lana, con un pareggio interno ed una sconfitta a Napoli, dopo una stagione da protagonista, trascinata da un redivivo Luca Toni, tornato bomber implacabile dopo qualche campionato da semipensionato.
Difficile prevedere, in partenza, un Verona così dimesso e disarmato, indubbiamente sfortunato a causa della sfilza di infortuni subiti dagli uomini più rappresentativi, ma non si può neppure evitare di sottolineare come siano stati commessi troppi errori nel costruire la squadra, in estate come a gennaio.

Cosa non ha funzionato per arrivare alla retrocessione? Probabilmente il primo errore è stato compiuto nello scegliere il sostituto del DS Sogliano accasatosi a Carpi dopo tre stagioni, tanti giovani lanciati (e ceduti ….) e risultati più che positivi; il sostituto, l’ex Napoli, Bigon, ha commesso errori che sono stati pagati a caro prezzo e fatto rimpiangere il predecessore.
Certo il Verona non può prescindere dal cedere chi si mette in luce, questo è successo nelle stagioni precedenti e basta fare qualche nome per rendersene conto: Jorginho, Iturbe, Lazaros, Lopez, sono esplosi in gialloblu ed hanno portato tanti soldi nelle casse societarie, ma perché insieme ad un giovane promettente come Viviani si è portata a Verona gente come Matuzalem e Pazzini? E perché al trentaduenne Pazzini si è proposto un contratto milionario di ben cinque anni?

Neppure sul fronte allenatore le cose sono andate bene; l’estate era stata piena di incertezze su Mandorlini che, dopo cinque anni, pareva destinato a lasciare il Veneto per altri lidi e nuovi traguardi, restando poi chissà quanto volentieri e con quali motivazioni. Sicuramente nessuno allena per perdere e farsi esonerare, ma evidentemente il ciclo del mister ravennate era concluso e sarebbe dovuta essere la Società a dare un taglio netto.

Tante cose, piccole e grandi, non quadravano, ma era comunque impossibile pensare che occorresse arrivare al 3 di febbraio per la prima vittoria (2-1 casalingo all’Atalanta) dopo essere passati anche per l’esonero di Mandorlini (1 dicembre) con Gigi Del Neri, cosa che però non cambiava, di fatto, la deriva presa; qualche pareggio non bastava a compensare le troppe sconfitte e gli otto punti a metà campionato erano già una sentenza ineluttabile.

Come detto prima anche gli infortuni hanno contribuito al disastro; in troppi, a partire dal bomber Toni, hanno saltato buona parte della stagione, ma gli infortuni devono essere messi in conto e semmai bisognava cercare un sostituto di Luca diverso da Pazzini, considerare che il rientrante Romulo era reduce da una stagione tribolata alla Juventus ed altri giocatori entrati ormai in una fase discendente della carriera.

In primavera il Verona ha anche avuto un sussulto, il derby vinto, insieme ai tre punti di Bologna e qualche buon pari sembravano aver riacceso un barlume di speranza, che però è durato pochissimo e le vittorie sul finale contro il Milan e gli ormai penta campioni d’Italia della Juventus, non hanno certo indorato la “pillola” ai tifosi ed all’ambiente gialloblu.
Stagione storta quindi, capita, ma al Verona il mea culpa è indispensabile per ricominciare, facendo tesoro degli errori e cercando di spendere bene i soldi del “paracadute”, sempre che i medesimi servano per la campagna acquisti e non a coprire debiti e debitucci vari.

A cura di Maurizio Vigliani – Foto Marco Iorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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