La Centrale nucleare di Fukushima Daiichi

La Tokyo Electric Power Company ha ripreso a sversare le acque trattate della Centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Continua così, nonostante le proteste, la fase di smantellamento dell’impianto che prevede lo scarico complessivo di 1,34 milioni di tonnellate di acqua contenuta in oltre mille cisterne posizionate attorno all’impianto. Ci vorranno anni, intanto dopo il primo sversamento dello scorso agosto (7.800 tonnellate di acqua trattata, ndr), il secondo scarico prevede di alleggerire ulteriormente gli stoccaggi – si stimano 460 tonnellate di acqua al giorno – per arrivare a circa 31.200 tonnellate di liquido sversato nell’Oceano Pacifico entro la fine di marzo 2024. Non visibile a occhio nudo, la controversa operazione avviene a circa un chilometro dalla costa attraverso un tunnel sottomarino.

A preoccupare maggiormente sono i livelli di trizio presenti nell’acqua trattata, diluita con acqua di mare. Le dichiarazioni rassicuranti del gestore della Centrale di Fukushima, ovvero Tepco, non convincono minimamente Cina e Russia: “Il livello di concentrazione di trizio è al di sotto di 1.500 Bq/litro”, che è il limite imposto per lo scarico in mare e inferiore agli standard di sicurezza giapponesi. Il colosso dell’energia elettrica giapponese mostra pubblicamente i risultati sul proprio sito internet.

Secondo il monitoraggio delle autorità nipponiche, della stessa Tepco, e dell’agenzia internazionale per l’energia atomica, dal primo turno di scarico – avvenuto dal 24 agosto all’11 settembre – non sarebbero state rilevate concentrazioni anomale di trizio e altre sostanze radioattive nelle acque circostanti né nei campioni di pesce raccolti nelle vicinanze dell’impianto nucleare.

Restano contrarie le associazione dei pescatori locali, che continuano a criticare le scelte di Tokyo e sollecitano un passo indietro del governo. Le stesse richiesti di interrompere il piano di sversamento arrivano da Pechino, che ha reagito conun divieto totale sulle importazioni di prodotti ittici giapponesi. Una risposta dura, a tal punto da innescare una crisi del settore e costringere l’esecutivo nipponico a sostenere con nuovi sussidi l’industria locale. La Russia fa sponda con la Cina e incalza il Giappone, colpevole – a loro dire – di non poter garantire l’assenza di radioattività nelle acque a lungo termine. Mosca rimprovera anche le scarse informazioni sulle operazioni di scarico nonostante le ripetute richieste.

Quel triplice disastro – Correva il 2011 quando Fukushima Daiichi fu colpita da un triplice disastro: il terremoto di magnitudo 9, con epicentro in mare, il conseguente tsunami che colpì la parte nord orientale del Paese e la dispersione di grandi quantità di materiale radioattivo sprigionatosi dalla centrale nucleare di Fukushima. L’11 marzo 2011, quattro esplosioni segnarono il più grave incidente nucleare dopo Chernobyl (1986). Si trattò di una serie concatenata di eventi che causarono la morte di oltre 15mila persone.

La società di gestione dell’impianto, all’alba del disastro di Fukushima, dovette correre ai ripari cercando di contenere i danni pompando acqua per raffreddare i reattori. Una quantità importante di acqua successivamente stoccata – dopo essere stata trattata – nei silos, che con il tempo hanno rimpiazzato il bosco circostante la Centrale.

Non essendoci più spazio a disposizione per allocare nuovi fusti, si è reso necessario lo sversamento. Una situazione difficile che ha costretto i vari esecutivi, che si sono succeduti in Giappone, a dover rivedere la politica sul nucleare. C’è, inevitabilmente, un prima e un dopo Fukushima. Dopo il disastro solo una minima parte dei reattori ha ricevuto l’approvazione per il riavvio, venendo meno l’antecedente produzione che assicurava una copertura del 30% del fabbisogno energetico del Paese.

A cura di Claudio Piselli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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