Il derby è da sempre uno scontro fratricida. Tra Cesena e Rimini, a parte gli assi del pallone, scendo in campo anche i vini, la Rebola contro l’Albana, la piada, quella riminese più sottile contro quella cucinata nel territorio cesenate di media altezza, fino ad arrivare ai dolci, il bracciatello cesenate contro la zuppa inglese. Il derby del cinema, a sorpresa, finisce in parità. Federico Fellini, forse il regista più poeticamente visionario che il mondo del cinema abbia avuto, era riminese di nascita ma evidentemente aveva anche una forte simpatia per la nostra città. Nel suo film più iconico, il protagonista, interpretato magistralmente da Marcello Mastroianni, era un giornalista senza spina dorsale che aveva lasciato Cesena per cercare fortuna nella capitale.

Già nel 1947, quando Fellini collaborò alla sceneggiatura del film “Il Passatore” di Duilio Coletti, un personaggio minore, interpretato da un’ancora sconosciuto Alberto Sordi, citava Cesena come città di provenienza di una contessa derubata dalla celebre banda. Insomma, al centro della Romagna, tra Ravenna, Forlì, il mare Adriatico e il crinale appenninico c’è Cesena, quella calcistica è il cuore dell’area romagnola. Ho assistito a pochi derby romagnoli ma, in quelle rare occasioni, il Cesena ha sempre portato a casa l’intero bottino.

Erano i primi anni ottanta e, in occasione del derby della “Dolce Vita” che il Cesena disputava in casa in una calda domenica di primavera, decisi di partire in treno con destinazione Rimini accompagnato da una studentessa universitaria cesenate che di nome faceva Federica Fellini. Una volta arrivati a destinazione, ci dirigemmo verso il cuore nevralgico del tifo biancorosso per proporre un’insolita partita giocata a scopo benefico, tra una rappresentativa di calciatori Europei e una selezione mista di Cesena e Rimini.

L’intero incasso sarebbe stato utilizzato come aiuto ai terremotati dell’Irpinia. Dopo un paio di Hasseröder ghiacciate, la toilette chiamò entrambi disperatamente ma, dopo un breve blackout, tornando nella birreria, ci trovammo in un locale in perfetto stile Solarpunk, anche all’esterno, la città sembrava realizzata dal geniale architetto belga Luc Schuiten, una sorta di Vegetal City in cui gli edifici erano formati e sorretti dalla vegetazione. Un enorme schermo, grande come un edificio di dieci piani, trasmetteva immagini che proponevano sistematicamente la presenza di elementi naturali come piante, luce e acqua. La data che appariva in basso a destra dello schermo ci fece collassare. Quando, grazie ad una piccola scossa elettrica esercitata sui lobi delle orecchie da addetti al soccorso ci siamo ripresi, ci rendemmo conto che era tutto vero.

Rimini, 8 gennaio 2081. Prendemmo immediatamente un mezzo pubblico a forma di tronco di quercia alimentato esclusivamente da pannelli solari e in men che non si dica eravamo in Piazzale Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg (Già Karl Marx).  Il tragitto dall’Eco Station alla “Morten Thorsby Arena” lo coprimmo in cinque minuti grazie all’utilizzo di un volopattino a due posti a guida computerizzata. L’imponente monumento dedicato alla memoria di Morten Thorsby, che scoprii leggendo una didascalia era un modesto centrocampista di origine norvegese che in Italia militò nelle file della Samp.

Dalle note biografiche, pare che, come allenatore, abbia contribuito a far vincere ai bianconeri un campionato di Robo Lega e due Robo Cup Green European, l’equivalente della vecchia Champions. Uno steward in forma di drone ci accompagnò al posto assegnatoci dall’Algoritmo Worldball.

Quando le squadre dei fishmongers e dei farmers scesero in campo, così si chiamavano nel futuro i giocatori, rispettivamente del Rimini e del Cesena, ci accorgemmo che non si trattava di esseri umani ma di robot completamente autonomi in grado di giocare a calcio seguendo le regole ufficiali della FUGA, la federazione universale giochi e atletica. L’inizio della competizione era dettato da un fischio insopportabile di oltre cinquemila Herz terminato il quale, ci risvegliammo nel covo dei tifosi riminesi con un vecchietto che ci schiaffeggiava dicendoci: “Di ma come siete messi a Cesena, non siete neanche più capaci di bere la birra?” Io risposi, felice d’essere tornato a casa: “La birra la lasciamo a voi pescivendoli, noi siamo uomini di terra e beviamo vino perché come diceva Martin Lutero, la birra è opera dell’uomo, il vino di Dio.” E Federica Fellini? Oggi le avrei detto: “Sei bella come un gol di Corazza!” Forza Cesena!

A cura di Marco Benazzi – Foto Valerio Casadei

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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