Oriana Fallaci

Parte prima

Oriana Fallaci nacque a Firenze il 29 giugno 1929 e morì nella sua città natale il 15 settembre 2006 all’età di 77 anni.

La ricordiamo come una “grande” giornalista, scrittrice e partigiana italiana.

Partecipò giovanissima alla Resistenza Italiana e fu la prima donna italiana ad andare al fronte in qualità di “inviata speciale”.

Fu una grande sostenitrice della rinascita culturale ellenica e conobbe le più importanti personalità di questa, tra cui Alexandros Panagulis col quale ebbe anche una relazione. Durante gli ultimi anni di vita fecero discutere le sue dure prese di posizione contro l’Islam a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, città dove viveva.

Come scrittrice, con i suoi dodici libri ha venduto circa venti milioni di copie in tutto il mondo.

La sua storia:

Oriana era la figlia primogenita di Edoardo Fallaci, artigiano e di Tosca Cantini, casalinga toscana e di lontane origini catalane.

In famiglia erano quattro sorelle: Oriana, Neera e Paola, anch’esse giornaliste e scrittrici, ed Elisabetta, figlia adottata dalla famiglia Fallaci. Il padre, iscritto fin da giovanissimo al PSI, fu un attivo antifascista che coinvolse la figlia, giovanissima, nella “resistenza” col compito di “staffetta”, per trasportare munizioni da una parte all’altra dell’Arno attraversando il fiume nel punto di secca dal momento che i ponti erano stati distrutti dai tedeschi. Per il suo attivismo durante la guerra ricevette, nel dopoguerra, un riconoscimento d’onore dell’Esercito Italiano.

La giovane Oriana si unì così alle “Brigate Giustizia e Libertà”, formazioni partigiane del Partito d’Azione, vivendo in prima persona i drammi della guerra: nel 1944, durante l’occupazione di Firenze da parte dei nazisti, suo padre fu catturato e torturato a Villa Trieste dai fascisti comandati da Mario Carità e in seguito rilasciato.

Dopo aver conseguito la maturità presso il Liceo Classico “Galileo” si iscrisse alla facoltà di Medicina presso l’Università di Firenze. Dopo un breve passaggio a Lettere, lasciò l’Università per dedicarsi al giornalismo, esortata in particolare dallo zio Bruno fallaci, egli stesso giornalista. Conobbe Curio Malaparte, che considerò come un suo maestro.

Esordì, ancora studentessa, al “Mattino dell’Italia centrale”, quotidiano fiorentino d’ispirazione cattolica, dove si occupò di svariati argomenti, dalla cronaca nera, alla cronaca giudiziaria al costume. Allorché si rifiutò di scrivere un articolo contro Palmiro Togliatti, come le aveva ingiunto il direttore del Mattino, il quotidiano interruppe la collaborazione. Successivamente si trasferì a Milano dove iniziò a lavorare al settimanale “Epoca” di Mondadori, allora diretto da suo zio Bruno Fallaci che, per non favorirla, la tenne chiusa in redazione a limare e correggere gli articoli dei collaboratori, per poi affidarle le cronache sulla allora nascente “alta moda” italiana come inviata alla prima storica sfilata del 1952 presso la Sala Bianca di Palazzo Pitti in Firenze.

Nel 1951, quando aveva 22 anni, venne pubblicato il suo primo articolo per “L’Europeo”.

Tre anni dopo, nel 1954, quando lo zio Bruno fu licenziato da Epoca, anche Oriana lasciò il settimanale (per l’Europeo diretto all’epoca da Michele Serra. La collaborazione durò fino al 1977. Per il settimanale si trasferì a Roma, centro della cronaca mondana dell’epoca, erano gli anni della “dolce vita”.

Nel luglio 1956 giunse per la prima volta a New York per scrivere di divi e mondanità. Da quest’esperienza trasse il materiale per il suo primo libro, I sette peccati di Hollywood, edito da Longanesi dove racconta i retroscena della vita mondana di Hollywood. La prefazione del libro prefazione del libro fu firmata da Orson Welles!

Rientrata da Hollywood, incontrò Alfredo Pieroni, corrispondente da Londra per “La Settimana Incom illustrata”. Tra i due ebbe inizio una relazione e nella primavera del 1958 Oriana Fallaci scoprì di aspettare un figlio da lui. Nel maggio 1958, a Parigi ebbe un aborto spontaneo e lei stessa rischiò la vita.

Il 28 giugno si recò a Londra per incontrare per l’ultima volta Pieroni. In piena depressione, tentò il suicidio ingerendo una grande quantità di sonniferi.

Nel 1961 realizzò un reportage sulla condizione della donna in “Oriente” che divenne il suo primo successo editoriale come scrittrice, “Il sesso inutile” edito da Rizzoli.

Nel 1962 uscì “Penelope alla guerra” la sua prima opera narrativa. Il libro racconta la storia di Giò, una ragazza italiana che, per motivi di lavoro (fa la soggettista), si reca a New York dove incontra persone del suo passato.

Nel 1963 pubblicò “Gli antipatici”, un’antologia di ritratti al vetriolo di personaggi famosi del cinema e della cultura intervistati per l’Europeo. Tutti questi libri furono molto venduti in Italia e vennero tradotti nelle principali lingue occidentali.

Nel 1965 partì per gli Stati Uniti per intervistare astronauti e tecnici della NASA, impegnati nei programmi spaziali. Da quell’esperienza nacque l’opera “Se il sole muore” che dedicò a suo padre. Per scrivere il libro incontrò il capo progetto della missione, lo scienziato tedesco Wernher von Braun colui che durante la 2da guerra mondiale aveva progettato per la Germania nazista i missili V2, e che in quel periodo era il direttore della NASA e impegnato nello sviluppo del progetto Saturn.

Nel 1967 si recò in qualità di “corrispondente di guerra” per L’Europeo in Vietnam.

Ritornò nel paese asiatico ben dodici volte in sette anni raccontando la guerra e criticando sia Vietcong e comunisti sia statunitensi e sudvietnamiti, documentando menzogne e atrocità, ma anche eroismi e umanità di un conflitto che definì una «sanguinosa follia».

Le esperienze di guerra vissute in prima persona vennero raccolte nel libro “Niente e così sia” pubblicato nel 1969. In un passaggio del libro irride i vandalismi degli studenti borghesi che osano invocare “Che Guevara” e poi vivono in case con l’aria condizionata, che a scuola ci vanno col fuoristrada di papà e che al night club vanno con la camicia di seta.

A metà del 1968 la giornalista lasciò provvisoriamente il fronte per tornare negli Stati Uniti a seguito della morte di Martin Luther King e di Robert Kennedy e delle rivolte studentesche di quegli anni.

Il 2 ottobre 1968, alla vigilia dei “Giochi olimpici” durante una manifestazione di protesta degli studenti universitari messicani contro l’occupazione militare del campus dell’UNAM, oggi ricordata come il “Massacro di Tlatelolco” rimase ferita in Piazza delle tre culture a Città del Messico da una raffica di mitra. Morirono centinaia di giovani (il numero preciso è sconosciuto) e anche la giornalista fu creduta morta e portata in obitorio: solo in quel momento un prete si accorse che era ancora viva.

La Fallaci definì la strage “un massacro peggiore di quelli che ho visto alla guerra”.

Come corrispondente di guerra seguì anche i conflitti tra India e Pakistan, in Sud America e in Medio Oriente.

Nel 1969 tornò negli USA per assistere al lancio della missione “Apollo 11”.  Il resoconto di quell’esperienza è raccolto nel libro “Quel giorno sulla luna” pubblicato nel 1970.

Intervistò anche il comandante dell’Apollo 12, Charles Conrad, alla vigilia del suo lancio. Espresse il dubbio che tutte le frasi degli astronauti, inclusa la celebre “È un piccolo passo per un uomo…” di Armstrong fossero decise a tavolino dalla NASA. Conrad le assicurò di no, e scommisero una bottiglia di liquore. Scendendo sulla Luna Conrad stupì il controllo missione esclamando “Whoopie! Man, that may have been a small one for Neil, but that’s a long one for me“. Ovvero “Heilà! Ragazzi, sarà stato un piccolo passo per Neil, ma è bello lungo per me!”. Pare che lei non abbia pagato la bottiglia, ma regalò a Conrad un abbonamento a Playboy. Si dice che Conrad portò sulla Luna una sua foto di quando era bambina!

ll 22 agosto 1973 Oriana Fallaci conobbe Alexandros Panagulis, un leader dell’opposizione greca al “Regime dei Colonnelli” che era stato perseguitato, torturato e incarcerato a lungo. Si incontrarono il giorno in cui egli uscì dal carcere: ne diventerà la compagna di vita fino alla morte di lui, avvenuta in un misterioso incidente stradale il 1º maggio 1976. Secondo quanto scrisse, rimase incinta del patriota greco, ma dopo un litigio con lo stesso Panagulis ebbe un aborto spontaneo (il secondo o il terzo della sua vita). Dalla vicenda della maternità mancata trasse il libro “Lettera ad un bambino mai nato” il primo libro che non nacque da un’inchiesta giornalistica. Fu un grande successo editoriale: vendette 4 milioni e mezzo di copie in tutto il mondo.

Nel 1975 lei e Panagulis collaborarono alle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini, amico della coppia e fu lei la prima a denunciare il movente politico dell’omicidio del poeta.

La storia di Panagulis verrà invece raccontata dalla scrittrice nel romanzo “Un uomo” pubblicato nel 1979, oltre che in una lunga intervista, poi raccolta in Intervista con la storia. Lei ha sempre considerato l’incidente di Panagulis un vero e proprio omicidio politico, ordinato da politici che avevano fatto carriera con la giunta militare. La morte dell’amato compagno segnò indelebilmente la sua vita.

All’attività di reporter hanno fatto seguito le interviste con importanti personalità della politica, le analisi dei fatti principali della cronaca e dei temi contemporanei più rilevanti.

Tra i personaggi da lei intervistati si ricordano: “Re Husayn di Giordania, Võ Nguyên Giáp, Pietro Nenni, Giulio Andreotti, Giorgio Amendola, l’arcivescovo Makarios, il citato Alekos Panagulis, Nguyễn Cao Kỳ, Yasser Arafat, Mohammad Reza Pahlavi, Hailé Selassié, Henry Kissinger, Walter Cronkite, Federico Fellini, Indira Gandhi, Golda Meir, Nguyễn Văn Thiệu, Zulfiqar Ali Bhutto, Deng Xiaoping, Willy Brandt, Sean Connery, Muʿammar Gheddafi, Enrico Berlinguer, Tenzin Gyatso, Pier Paolo Pasolini e l’ayatollah Khomeini”.

Alcune di queste interviste sono raccolte nel libro “Intervista con la storia uscito nel 1974.

La più celebre fu l’intervista con Khomeini. Durante l’a stessa  gli rivolse domande dirette, lo apostrofò come «tiranno» e si tolse il “chador” che era stata costretta a indossare per essere ammessa alla sua presenza, dopo che l’ayatollah, alle incalzanti domande sulla condizione della donna in Iran, disse che la veste islamica era per donne “perbene”, e se non le andava bene non doveva metterla! L’ayatollah abbandonò la stanza e terminò l’intervista il giorno dopo. L’irritato Khomeini fece riferimento alla giornalista in un discorso successivo, chiamandola “quella donna” e indicandola come esempio da non seguire.

Inoltre, a causa di un equivoco, il giorno prima di incontrare l’Imam fu costretta a un matrimonio temporaneo sciita (cioè annullabile automaticamente dopo un termine prefissato) con il proprio interprete.] Difatti un “mullà” la vide mentre si cambiava i vestiti per mettersi il chador nel palazzo di Qom e nella stessa stanza vi era l’interprete (sposato con una spagnola), ma secondo la legge in vigore in Iran un uomo non può appartarsi con una donna che non è sua moglie, altrimenti si rischia la condanna a morte per adulterio. Lo stesso “mullà” addetto al “matrimonio riparatore”, sbagliò i nomi dei due “sposi” e, paradossalmente, la Fallaci fu quindi “sposata” con il “mullà” stesso, almeno secondo la legge iraniana.

In seguito, nella successiva visita in Iran durante la “crisi degli ostaggi” per tentare di intervistare Bani Sadr, le fu impedito di uscire dall’albergo dai Basiji. Per riuscire a tornare in Italia, non riuscendo a contattare l’ambasciatore, telefonò a Ingrid Bergman la quale avvisò il Presidente della Repubblica Sandro Partini che a sua volta contattò l’ambasciata che richiamò le autorità di Teheran e la Fallaci fu lasciata libera.

Nel 1976 sostenne le liste del Partito Radicale, anche per le loro campagne femministe.

Nel 1977, consegnandole la laurea honoris causa in letteratura, il Rettore del Columbia College di Chicago, Mirror “Mike” la definì uno degli autori più letti e amati del mondo. Scrisse e collaborò per numerosi giornali e periodici, tra cui: New Republic, New York Times Magazine, Life, Le Nouvel Observateur, The Washington Post, Look, Stern, e Corriere della Sera.

Nel 1981 intervistò invece Lech Walesa!

Nel 1990 uscì il romanzo “Insciallah” in cui coniuga la ribalta internazionale con il racconto. Il libro è ambientato tra le truppe italiane inviate nel 1983 a Beirut nell’ambito della “Forza Multinazionale” in Libano, ottenendo dall’allora Ministro della Difesa Spadolini di essere accreditata presso il contingente italiano. Il libro si apre con il racconto del primo duplice attentato suicida dei Kamikaze islamici contro le caserme statunitensi e francesi che causò 299 morti tra i soldati. Durante l’esperienza in Libano, conobbe il sergente dell’Esercito e futuro astronauta Paolo Nespoli, un incontro fu determinante per la decisione di Nespoli di continuare gli studi e coltivare il sogno di volare tra le stelle. Ebbero poi una relazione durata cinque anni.

Dopo l’uscita di Insciallah la scrittrice si isolò andando a vivere a New York, in un villino a due piani sulla 61ª strada, nell’Upper East Side di Manhattan, dove incominciò a scrivere un romanzo la cui lavorazione, durata per tutti gli anni novanta, venne interrotta dai fatti dell’11 settembre 2001!

In questo periodo, all’inizio degli anni Novanta, scoprì di avere un cancro ai polmoni che lei più tardi definirà «L’Alieno».

Fu un’assidua fumatrice, ma attribuì la maggior responsabilità del cancro all’aver respirato, in Kuwait, dove si trovava per seguire la “guerra del Golfo  nel 1991, il fumo dei pozzi di petrolio fatti incendiare da Saddam Hussein.

Per la scrittrice, New York rimarrà dimora di passaggio: “comunque la mia vera casa non è quella. Io considero la mia vera casa la villa che ho a Greve in Chianti: un insieme rustico e bello, dove abitano anche i miei genitori con la mia sorellina”.

I suoi libri e articoli sulle tematiche dell’11 settembre hanno suscitato sia elogi sia contestazioni nel mondo politico e nell’opinione pubblica. Attraverso essi denunciò la decadenza della “civiltà occidentale” che, minacciata dal “fondamentalismo islamico”  ritiene incapace di difendersi.

Riteneva inoltre che la crescente pressione esercitata negli ultimi anni dall’immigrazione islamica verso l’Europa e l’Italia in particolare, unita a scelte politiche, a suo parere inappropriate, e all’aumentare di atteggiamenti di reciproca intolleranza, fosse la dimostrazione della veridicità delle sue tesi. Secondo la sua opinione, staremmo assistendo a un pianificato tentativo del mondo musulmano di islamizzazione dell’Occidente (cosiddetta “teoria di Eurabia”), basato su quelle che a suo parere erano le strutture portanti del Corano, come testimoniato da oltre un millennio di conflitti e ostilità tra musulmani e cristiani.

Favorevole all’intervento militare in Afghanistan, espresse invece alcune perplessità rispetto alla guerra in Iraq del 2003, non tanto perché volesse difendere Saddam (anzi, essa sostenne il fatto, dimostratosi erroneo, di un coinvolgimento diretto del regime iracheno con al-Qaida) bensì perché riteneva che la guerra avrebbe innescato una situazione pericolosa. La sua dichiarazione:

Signor Bush, Signor Blair, credete davvero che a Bagdad gli iracheni accoglieranno le vostre truppe come sessant’anni fa noi le accogliemmo nelle città europee cioè con baci e abbracci, fiori ed applausi?!? Ed anche se ciò accadesse (a Bagdad può succeder di tutto), che accadrà dopo? Oltre due terzi degli iracheni che nelle ultime «elezioni» dettero a Saddam Hussein il 100% dei voti sono sciiti che sognano di instaurare una “Repubblica Islamica” dell’Iraq ossia un regime sul modello del regime iraniano. Così vi chiedo: e se invece di scoprire il concetto di libertà, invece di capire il concetto di democrazia, l’Iraq diventasse un secondo Afghanistan anzi un secondo Vietnam? Peggio. E se invece di lasciarvi installare la “Pax Americana” cioè una pace bene o male basata sul concetto di libertà e di democrazia, quell’ipotetico secondo Vietnam si allargasse e l’intero Medioriente saltasse in aria? Dalla Turchia all’India, con un’inarrestabile reazione a catena”.

In seguito criticò duramente i soldati statunitensi responsabili delle torture nella “Prigione di Abu Ghraib”.

Pur continuando a esprimere opinioni anticlericali e dichiarandosi ne “La forza della ragione”  atea-cristiana dichiarò pubblicamente la sua ammirazione verso Papa Benedetto XVI, che la ricevette a Castel Gandolfo in udienza privata il 27 agosto 2005. Di lui ammirava, oltre che la visione critica sull’Islam, la volontà di non voler convertire gli atei come lei: “Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice: «Ok. (L’ok è mio, ovvio). Allora Veluti si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse. Parole da cui desumo che nella comunità religiosa vi sono persone più aperte e più acute che in quella laica alla quale appartengo. Talmente aperte ed acute che non tentano nemmeno, non si sognano nemmeno, di salvarmi l’anima cioè di convertirmi”. L’incontro doveva rimanere segreto, su richiesta della giornalista, ma la notizia fu resa pubblica tre giorni dopo l’incontro, mentre i contenuti del colloquio non sono mai stati resi noti.

Nel marzo 2005 il quotidiano “Libero” lanciò una raccolta di firme affinché il Presidente della Repubblica le conferisse il titolo di “Senatrice a vita” e vennero raccolte oltre 75.000 firme.

Oriana Fallaci morì a Firenze il 15 settembre 2006 a 77 anni, dopo un peggioramento delle sue condizioni di salute, dovuto al cancro ai polmoni che da anni l’aveva colpita- Poche settimane prima aveva lasciato la dimora di Manhattan, essendo suo preciso desiderio trascorrere l’ultimo scorcio di vita nella città in cui era nata: “Voglio morire nella Torre dei Mannelli, guardando l’Arno da Ponte Vecchio. Era il quartier generale dei partigiani che comandava mio padre, il gruppo di Giustizia e Libertà. Azionisti, liberali e socialisti. Ci andavo da bambina, con il nome di battaglia di Emilia. Portavo le bombe a mano ai grandi. Le nascondevo nei cesti di insalata”.

Per permetterle di ritornare in Italia in modo riservato, Silvio Berlusconi le mise a disposizione un aereo privato. Non fu possibile però, data l’inadeguatezza del luogo a ospitare una persona in precario stato di salute, far alloggiare la Fallaci nella torre del Mannelli. La scrittrice venne quindi ricoverata nella clinica Santa Chiara, dove poi morì.

È sepolta nel Cimitero degli Allori, di rito evangelico, ma che ospita anche tombe di atei, musulmani ed ebrei, a Firenze nel quartiere del Galluzzo, nella tomba di famiglia accanto a un cippo commemorativo di Alekos Panagulis, suo compagno di vita. Con la bara sono stati sepolti una copia del Corriere della Sera, tre rose gialle e un Fiorino d’oro (premio che la città di Firenze, con grandi polemiche, non aveva voluto conferirle), donatole da Franco Zeffirelli!

Per sua espressa volontà, larga parte del suo grande patrimonio librario è stato donato, insieme con altri cimeli come lo zaino usato dalla scrittrice in Vietnam, alla Pontificia Università Lateranense di Roma, il cui rettore era allora monsignor Rino Fisichella, amico personale della scrittrice, che le stette vicino in punto di morte. Nell’annunciare la donazione, Fisichella ha definito questo come l’ultimo regalo a Papa Benedetto XVI, per il quale nutriva «un’autentica venerazione».

Il romanzo, che ella aveva smesso di scrivere dopo gli attentati dell’11 settembre, fu pubblicato il 30 luglio 2008. Il libro, intitolato “Un cappello pieno di ciliegie” riguarda una saga familiare che attraversa la storia italiana dal 1773 al 1889.

A cura di Pier Luigi Cignoli – Foto fonte Toscana Uno

(dati raccolti da Wikipedia, giornali e riviste)

Editorialista Pier Luigi Cignoli

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