La banda Cavallero è conosciuta come gruppo criminale che terrorizzò le province di Torino e Milano. Tra il 1963 e il 1967 fecero ventitré rapine, a volte molto violente. La banda era composta da Pietro Cavallero torinese, ex attivista comunista, disoccupato, personaggio carismatico; Donato Lopez minorenne, figlio di un operaio emigrato dal sud, disoccupato; Sante Notarnicola di origine pugliese, ex facchino; Adriano Rovoletto di origine veneta, partigiano, apprendista falegname.

Gli elementi della banda di rapinatori si riunirono a Torino in un bar nel quartiere periferico Barriera Milano negli anni ‘60. Non era certo la fame il problema di quegli anni, ma – secondo quanto reso nelle dichiarazioni da Pietro Cavallero, il capo della banda – il desiderio di giustizia sociale, reso ancor più sentito dall’immigrazione. La Banda Cavallero, molto politicizzata, simpatizzava per Lenin, ma guardava più propriamente all’anarchia.

Le rapine rivoluzionarie del gruppo, dopo avere messo per qualche anno sotto scacco le forze di polizia, si trasformarono di volta in volta in violente razzie e scorribande. L’ultimo colpo il pomeriggio del 25 settembre 1967. Dopo aver svaligiato l’agenzia 11 del Banco di Napoli in largo Zandonai a Milano, i quattro banditi seminarono lungo le vie cittadine per trenta minuti il terrore e la morte, fuggendo a bordo di una Fiat 1100 D rubata.

Nella fuga la banda ebbe ripetuti scontri a fuoco con le dodici volanti della polizia che la inseguiva, e sparò anche sui passanti inermi. Sull’asfalto si contarono tre morti: Virgilio Odoni, fattorino di una cartiera; Giorgio Grossi, studente di soli 17 anni; Franco De Rosa, un napoletano emigrato, colpito mentre era a bordo della sua 600 multipla. Quando il pomeriggio di fuoco ebbe fine, oltre ai morti si contarono ventidue feriti tra i passanti.

Automobilisti e agenti, alcuni dei quali molto gravi, come il piccolo Maurizio Taddei e il maresciallo Giacomo Siffredi. Un paio di giorni dopo la sparatoria morí anche Roaldo Piva, un invalido di guerra malato di cuore, che durante il tragico pomeriggio aiutò gli agenti a catturare Rovoletto, il cassiere e autista della banda, con ancora in mano la borsa di plastica contenente i circa sette milioni di lire rubati alla banca. Il cuore dell’anziano invalido non resse all’emozione e alla fatica. Cavallero e Notarnicola furono poi arrestati il 3 ottobre 1967 in un casello ferroviario abbandonato, nelle campagne vicino ad Alessandria.

Al processo che si tenne in Assise a Milano, nove mesi dopo la cattura della banda, Lopez fu condannato, per la sua giovane età, a 12 anni e 7 mesi di reclusione; gli altri tre ebbero l’ergastolo. Spietati, cinici e precisi, nella loro carriera criminale il trio accumulò 98 milioni di lire. Come da accordi precedenti fra i tre, alla lettura della sentenza gli imputati intonarono “Figli dell’officina” canzone molto popolare tra i gruppi anarchici. Nel 1971 Lopez tornò in libertà perché incapace di intendere e di volere. Nel 1988 uscirono dal carcere Notarnicola e Rovoletto, mentre Cavallero ottenne prima la semilibertà e in seguito la libertà condizionale.

Il Vice direttore Ugo Vandelli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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