Il 5 gennaio 1984, Giuseppe “Pippo” Fava (58 anni), direttore del mensile “I Siciliani”, intellettuale poliedrico, era assassinato su ordine del boss mafioso Nitto Santapaola. Alla vigilia dell’Epifania fu freddato con cinque colpi di pistola. Aveva una concezione etica del giornalismo. Denunciava l’esistenza della mafia a Catania e i suoi rapporti con imprenditori, istituti bancari e potere politico.

Affermava che “la verità bisogna andare a cercarla in ogni luogo” e aggiungeva che “i mafiosi stanno in Parlamento”. Quel giorno l’Italia ha perso un intellettuale versatile, ucciso perché i suoi articoli e saggi, denunciavano con estrema chiarezza la presenza della mafia in Sicilia, mentre la sua attenzione si focalizzava su Catania.

Descriveva i meccanismi del sistema mafioso e rivelava le relazioni torbide della “piovra” con i poteri forti della città. La sera del 18 gennaio 1981, una domenica, mentre la redazione del “Giornale del Sud” era chiusa, il quotidiano subì un attentato con un chilo di tritolo che provocò notevoli danneggiamenti. Fava non si fece intimidire, ma resistette e continuò a pubblicare le sue inchieste “scomode”. Sarà poi licenziato.

Attraverso la cooperativa Radar, della quale era promotore, a fine 1982 fondò e diresse il mensile “Siciliani”, un periodico in trincea nella lotta contro le cosche mafiose. Con la formula della cooperativa si sentì finalmente libero da pressioni, senza padroni, e si gettò a capofitto nella sua nuova e purtroppo ultima avventura giornalistica. Il primo numero del suo mensile fu stampato il 22 dicembre 1982. Il giornalista scrisse un articolo in cui, dopo avere illustrato la nuova mafia e il sistema di riciclaggio del denaro sporco mafioso proveniente dalla droga, si occupò proprio dei famosi cavalieri catanesi. Il titolo dell’articolo fu “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”.

Giuseppe Fava è l’ennesimo giornalista vittima della mafia; con lui “per la prima volta Cosa Nostra uccide un intellettuale”. Questa fu la dichiarazione del sociologo e politico Nando dalla Chiesa. Fava, un martire, portatore della pubblica verità troppo spesso dimenticata, sapeva utilizzare diversi modi espressivi. Comunicava con articoli, libri, opere teatrali, disegni, saggi sulla mafia e la Sicilia. Protagonista della libera informazione, Pippo ha testimoniato – pagando con la propria vita – il prezioso valore del giornalismo nella società moderna, diventando un esempio, un simbolo, un patrimonio della memoria collettiva. Sulla sua lapide è incisa questa frase “A che serve essere vivi, se non si ha il coraggio di lottare?”.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto ImagoEconomica 

Il Vice Direttore Ugo Vandelli

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