Edoardo “Eddy” Turgidi, era un uomo del suo tempo, nato sessant’anni fa da famiglia povera al punto che la madre, Angela, per contribuire alle spese famigliari, di giorno svolgeva il suo vero lavoro, sarta da uomo e camiciaia mentre la notte, per almeno tre giorni la settimana, faceva turni come badante in ospedale, riuscendo in questo modo a racimolare quella cifra che, sommata allo stipendio del marito Renzo, tornitore presso una fabbrica di biciclette, creava un gruzzoletto appena sufficiente per mantenere il bilancio famigliare positivo.

Purtroppo, il patrimonio genetico di Eddy, era molto simile a quello del padre ed essendo anche lui figlio unico, si abituò a vivere da principino, servito e riverito, da una madre sottomessa ad entrambi gli uomini di casa. Anche nelle relazioni interpersonali, Eddy, con il suo ego da maschio Alpha, quelli per intenderci che “non devono chiedere mai”, e che grazie al loro particolare carisma e a quel trasudare fiducia in sé stessi, non hanno difficoltà a far cadere una donna ai loro piedi, si imponeva con il carattere. Cambiava compagna più velocemente di un paio di calzini, e spesso citava una frase simbolo tratta dal suo film preferito, “Heat, la sfida” e recitata da Robert De Niro: “se vuoi fare il lavoro del rapinatore non devi avere affetti o fare entrare nella tua vita niente da cui non possa sganciarti in trenta secondi netti se senti puzza di sbirri dietro l’angolo.”

Quando usciva la sera per andare al cinema, al ristorante o semplicemente a bere una birra, con la sua ultima conquista, pretendeva il pagamento “alla romana”, giustificandosi con la giusta emancipazione, indipendenza e con la considerazione di trovarsi di fronte ad una donna moderna. Tendeva sempre a prevaricare il suo interlocutore, alzando in maniera imbarazzante il tono di voce, e terminato il suo soliloquio, smetteva di ascoltare. Un giorno, mentre usciva di casa di prima mattina, fu investito da un furgone addetto alla consegna delle uova a panifici e pasticcerie, subendo un trauma cranico che lo ridusse in stato comatoso. Passarono sei mesi dal giorno dell’incidente e le sue condizioni restavano stabili ma poco rassicuranti quando, la mattina dell’8 marzo 2023, alle ore 8,08, Eddy si risvegliò trovandosi difronte il volto sorridente ma leggermente sfuocato dell’infermiera di turno al reparto Terapia Intensiva, la quale allarmò i medici i quali avvisarono alcune delle persone che trovarono tra i contatti del telefono, ma nessuno accettò di andare in ospedale a fargli visita.

La caposala, che con lui aveva avuto una breve storia tormentata, decise di creare una chat con tutte le donne inserite nei contatti di WhatsApp e di invitare, tutte e 44, per un caffè al bar dell’ospedale. Due giorni dopo, Eddy si era ripreso al punto da voler andare, sulla sedia a rotelle, a prendere il giornale e a far colazione. Quando entrò nel bar, accompagnato dalla caposala Valeria, si trovò davanti al gruppo di donne da lui sminuite, offese, calpestate, e la sua reazione immediata fu quella di crollare in un pianto a dirotto, pensando a tutto il male che negli anni aveva provocato a chi aveva avuto la sfortuna di stargli accanto e le prime parole che riuscì a pronunciare furono: “Scusatemi tutte, sono stato un verme schifoso.” Il perdono non gli fu negato, ma la sua conversione a “maschio Beta” – avvenne il giorno del risveglio che guarda caso combaciava con la “Giornata Internazionale della donna” – cioè “uomo zerbino“, un uomo che ricopre costantemente di attenzioni la propria donna, che dimostra di avere una spiccata sensibilità femminile e di essere per nulla egocentrico, ma capace di ascoltare. W Eddy Beta. A proposito, tu, si parlo proprio con te, che tipo di maschio credi di essere?

A cura di Marco Benazzi editorialista – Foto Imagoeconomica

Editorialista Benazzi Marco

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