Spesso nella nostra rubrica abbiamo “riscoperto” campioni dello sport del tempo passato, magari un po’ dimenticati; anche perché con il passare degli anni sport un tempo popolarissimi sono finiti nel dimenticatoio, rispolverati in occasione di appuntamenti internazionali importanti, specie se accompagnati da una vittoria o quantomeno da una medaglia.

Oggi invece voglio ricordare la storia di Alfonsa Rosa Maria Morini, meglio conosciuta con il cognome da coniugata, Strada; nata a Riolo di Castelfranco Emilia, il 16 marzo 1891, Alfonsa cresce in una famiglia poverissima, di braccianti agricoli, analfabeti come la gran parte della gente italiana, specie chi abitava le campagne del nostro Paese.
A dieci anni il padre acquista una bicicletta e Alfonsina inizia a pedalare, appassionandosi immediatamente di quel mezzo di locomozione con cui, per quanto mal messo, pochi anni dopo partecipa, di nascosto ad alcune gare; la ragazzina va piuttosto forte tanto da meritarsi l’appellativo di “diavolo in gonnella”, ma in famiglia non ne vogliono sapere delle corse e la osteggiano in qualunque modo possibili.

Alfonsina a soli sedici anni decide di andarsene di casa, trasferendosi a Torino, dove una donna che corre in bicicletta non fa scandalo come nelle campagne emiliane; correre è la sua passione e le vittorie arrivano in gran numero, battendo persino la campionessa del tempo: Giuseppina Carignano.
Nel 1909 addirittura corre il Gran Prix a Pietroburgo, ricevendo una medaglia dallo Zar di Russia; due anni dopo batte il record dell’ora femminile, ufficioso, ed inizia a partecipare a gare maschili, durante le quali si mette in luce, tanto da ricevere un premio in denaro e l’offerta di trasferirsi a Milano.
Lì, un giornalista della Gazzetta dello sport, Fabio Orlandini, corrispondente in Francia, la convince a partecipare ad alcune gare in pista in territorio transalpino, dove Alfonsina spesso vince, diventando popolare; intanto a Milano ha conosciuto Luigi Strada che sposa, con grande gioia della propria famiglia (convinta che in quel modo avrebbe smesso di correre), nel 1915.

Luigi è un grande appassionato di ciclismo e incoraggia la moglie a seguire la propria passione e come regalo di nozze le acquista una bicicletta nuova, mentre l’Italia entra in guerra nel primo conflitto mondiale; le corse diventano rare, ma nel 1917 Alfonsina decide di iscriversi al Giro di Lombardia.
Il regolamento non preclude l’iscrizione ad una donna e quindi Alfonsina, il 2 novembre 1917, prende il via alla corsa delle foglie morte, insieme ad altri quarantatre concorrenti; quando taglia il traguardo, ultima ad un’ora e mezza dal vincitore, é uno dei ventitre superstiti della corsa lombarda.
L’anno successivo la sua partecipazione è ancora migliore, tanto da superare un altro concorrente (Carlo Colombo) allo sprint ed evitare così l’ultimo posto; cambia in questo modo anche il suo appellativo, che diventa la “regina della pedivella”.

Nel 1924, il Direttore della Gazzetta dello Sport, Emilio Colombo, ne ammette l’iscrizione al Giro d’Italia, che senza Girardengo e Brune, ha bisogno di un rilancio d’attenzione, pur se la sua partecipazione viene tenuta nascosta sino ai giorni immediatamente vicini alla partenza.
Il percorso del Giro è davvero micidiale, 3.613 chilometri divisi in sole dodici tappe, intervallate da undici giorni di riposo; Alfonsina corre senza assistenza, da sola, con una bicicletta che pesa più di venti chili, senza cambio, ma arriva sempre al traguardo delle prime quattro tappe, staccata ma spesso davanti a tanti “maschietti”.
Nella tappa che va dall’Aquila a Perugia, con pioggia forte ed un vento gelido, Alfonsina cade e fora più di una volta, ma arriva comunque al traguardo, seppur fuori tempo massimo; squalificata, in molti vorrebbero la sua riammissione, ma i giudici sono inflessibili, ma Colombo decide di aiutarla, facendola correre fuori gara e con alloggio e massaggiatore pagati di tasca propria.

La folla applaude al suo passaggio, la porta in trionfo ai traguardi e gli spettatori attendono con più calore quella ragazza in maglietta e pantaloncini neri che i primi arrivati; Alfonsina fatica ma arriva sino a Milano, insieme ad una trentina dei novanta partiti, capace di correre in mezzo a corridori di fama mondiale e di batterne più di uno.

La Strada non correrà più il Giro, il “regime” non apprezza la cosa, ma continua a correre ed a vincere; trentasei volte taglia per prima il traguardo in gare maschili, stimata e rispettata dai campioni del tempo, da Bartali a Coppi, Girardengo e Magni.
Nel 1937 batte la star del momento, la francese Robin e l’anno successivo, a Parigi, batte il record dell’ora, percorrendo 35,280 chilometri; rimasta vedova, nel 1950 sposa Carlo Messori ed i due aprono un negozio di biciclette, mentre Alfonsina continua a correre e …. vincere!

Nel 1956, a sessantacinque anni vince la sua ultima gara, nel milanese, un circuito per veterani; rimasta nuovamente vedova Alfonsina decide di appendere la bicicletta al chiodo e con il denaro ricavato dalla vendita di alcuni dei suoi trofei decide di acquistare una Guzzi 500, rossa, con cui segue le gare ciclistiche. Ed è proprio mentre tenta di mettere in moto la Guzzi che, la sera del 13 settembre 1959, dopo aver seguito la Tre valli varesine, si sente male e muore durante il tragitto verso l’ospedale.

Finisce così la vita terrena di Alfonsina Strada, com’era conosciuta ai tempi delle sue “scorribande” in corsa, audace e determinata, tenace ed in anticipo sui tempi; ha così inizio la sua leggenda, andata ben oltre il ciclismo, le corse …. la sua vicenda ha infatti ispirato scrittori che le hanno dedicato racconti, uno spettacolo teatrale, la canzone “Bellezza in bicicletta” ed un libro: “Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada“, da cui è stata tratta una sceneggiatura cinematografica ed il videoclip che alleghiamo a questo piccolo ricordo di una donna straordinaria.

Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – Foto repertorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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