L’omicidio di Giulio Regeni venne commesso in EGITTO tra gennaio e febbraio 2016

Giulio Regeni era un “dottorando italiano” dell’Università di Cambridge rapito a “Il Cairo” il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, e ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei “Servizi Segreti” egiziani. Il corpo presentava evidenti segni di tortura, al punto che la madre lo riconobbe «dalla punta del naso» e disse di aver visto nel volto martoriato del figlio «tutto il male del mondo». In particolare, sulla pelle erano state incise, con oggetti affilati, alcune lettere dell’alfabeto, e tale pratica di tortura era stata ampiamente documentata come tratto distintivo della polizia egiziana; queste evidenze hanno messo subito sotto accusa il regime di “al-Sisi”!.

L’uccisione di Giulio Regeni ha dato vita in tutto il mondo, e soprattutto in Italia, a un acceso dibattito politico sul coinvolgimento nella vicenda e nei depistaggi successivi, attraverso uno dei suoi servizi di sicurezza, dello stesso Governo egiziano. Tali sospetti hanno costituito motivo di forti tensioni diplomatiche con l’Egitto. Secondo il Parlamento Europeo, l’omicidio di Giulio Regeni non è un evento isolato, ma si colloca in un contesto di torture, morti in carcere e sparizioni forzate avvenute in tutto l’Egitto negli ultimi anni.

Breve storia:

Nacque a Trieste il 15 gennaio 1988 e crebbe a Fiumicello (Udine) e, ancora minorenne, si trasferì per studiare allo Armand Hammer United World College of the American West (Nuovo Messico – USA) e successivamente nel Regno Unito a Leeds e a Cambridge e, infine, a Vienna. 

Vinse due volte il premio “Europa e giovani” (2012 e 2013), al concorso internazionale organizzato dall’Istituto regionale studi europei, per le sue ricerche e gli approfondimenti sul Medio Oriente.

Dopo aver lavorato a il Cairo per UNIDO e aver svolto per un anno ricerche per conto della società privata di analisi politiche Oxford Analytica, stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge e si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani presso l’Università Americana al Cairo.

 In alcuni articoli, scritti anche con lo pseudonimo di Antonio Drius e pubblicati dall’agenzia di stampa Nena e, postumi, da “Il Manifesto” descrisse la difficile situazione sindacale dopo la rivoluzione egiziana del 2011

Il 25 gennaio 2016 il ricercatore italiano inviò alle 19:41 un SMS alla fidanzata in Ucraina, dicendo che stava uscendo. Poco dopo, la studentessa Noura Wahby, amica di Regeni conosciuta nel 2014 a Cambridge denunciò sul proprio profilo Facebook la scomparsa del ricercatore, il quale, qualche ora prima, doveva incontrare delle persone in Piazza Tahrir per festeggiare il compleanno di un amico. 

Durante i giorni della scomparsa, vennero lanciati su Twitter gli hastag#whereisgiulio e #جوليو_ـفين (letteralmente: #doveègiulio).

Il corpo nudo e atrocemente mutilato di Giulio Regeni fu trovato il 3 febbraio 2016 in un fosso lungo la strada del deserto Cairo-Alessandria, alla periferia del Cairo. 

La ministra Federica Guidi, che in quel momento si trovava in Egitto in missione diplomatica con un gruppo di imprenditori, interruppe immediatamente la visita e rientrò in Italia.

Il corpo recuperato mostrava segni evidentissimi di sottoposizione a tortura: contusioni e abrasioni in tutto il corpo, come quelle tipicamente causate da un grave pestaggio, lividi estesi compatibili con lesioni da calci, pugni e aggressione con un bastone. Si contarono più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi, così come entrambe le gambe, le braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti; si riscontrarono coltellate multiple sul corpo, comprese le piante dei piedi, probabilmente inferte con un rompighiaccio o uno strumento simile a un punteruolo. Vi erano inoltre numerosi tagli, su tutto il corpo, causati da uno strumento tagliente simile a un rasoio.

Si sono riscontrate, altresì, estese bruciature di sigarette su tutto il corpo, nonché una bruciatura più grande tra le scapole e incisioni somiglianti a vere e proprie lettere. L”esame autoptico rivelò un’emorragia cerebrale e una vertebra cervicale fratturata a seguito di un violento colpo al collo, verosimile causa della morte.

Il funerale del giovane ricercatore italiano si svolse a Fiumicello il 12 febbraio 2016.

Subito dopo il ritrovamento del corpo, il generale Khaled Shalabi (direttore dell’amministrazione generale delle indagini di Giza) dichiarò che Regeni era stato vittima di un semplice incidente stradale, smentendo inoltre che vi fossero tracce di proiettili o accoltellamenti. In seguito la polizia egiziana sostenne che l’omicidio poteva essere avvenuto per motivi personali dovuti a una presunta relazione omosessuale (Regeni tuttavia aveva una fidanzata) oppure allo spaccio di stupefacenti (Regeni tuttavia non aveva mai utilizzato alcuna droga, come confermato dall’autopsia), ma non mancarono ipotesi, non suffragate da alcuna prova, secondo cui Regeni sarebbe stato ucciso da appartenenti a qualche banda, assoldata dagli organismi del controspionaggio egiziano.

Le autorità egiziane garantirono inizialmente una “piena collaborazione”, ma tale disponibilità fu presto smentita: gli investigatori italiani poterono interrogare pochi testimoni per alcuni minuti, dopo che gli stessi erano già stati interrogati per ore dalla polizia egiziana; le riprese video della stazione della metropolitana dove Regeni era stato visto per l’ultima volta furono cancellate; furono negati i tabulati telefonici del quartiere dove viveva Regeni e della zona in cui fu ritrovato il corpo.

Medici egiziani e italiani condussero autopsie separate sul corpo di Giulio Regeni.

La relazione ufficiale forense egiziana del 1º marzo 2016 (dossier di 91 pagine consegnato all’ambasciata italiana al Cairo il 2 marzo) attesta che il ricercatore italiano fu interrogato e torturato per un massimo di sette giorni a intervalli di 10-14 ore prima di essere infine ucciso, mentre i risultati dell’autopsia egiziana non sono ancora stati resi pubblici. L’uccisione sarebbe avvenuta circa 10 ore prima del ritrovamento del corpo. Il dossier delle autorità egiziane è stato giudicato carente e incompleto nell’informativa del 5 aprile del ministro degli esteri “Paolo Gentiloni” resa al Parlamento sul caso di Giulio Regeni, che inoltre accusa l’insufficiente collaborazione delle autorità egiziane.

Un rapporto di 300 pagine contenente i risultati dell’autopsia italiana è stato consegnato all’ufficio del Pubblico Ministero presso la Procura della repubblica di Roma (competente per reati in danno di italiani all’estero) e smentisce precedenti indiscrezioni su segni di scosse elettriche somministrate ai genitali di Regeni.

Per favorire le indagini, gli amici e parenti di Giulio Regeni hanno consegnato i propri telefoni cellulari e computer portatili alla polizia italiana, mentre la famiglia Regeni ha consegnato il computer del figlio, ritrovato nell’appartamento del Cairo, da cui è risultato che nei giorni precedenti alla scomparsa era stato molto utilizzato, segno che il ragazzo era rimasto in casa.

Nel settembre 2016 il governo egiziano ha accettato di consegnare i tabulati di telefonia mobile, mentre i pubblici ministeri egiziani in visita a Roma hanno ammesso per la prima volta che Regeni era stato in effetti sottoposto a indagini e sorveglianza da parte della polizia egiziana prima della sua scomparsa, ma senza riscontrare problemi alla sicurezza nazionale.

Il 24 marzo 2016 la “polizia egiziana uccise in una sparatoria quattro uomini, inizialmente indicati come probabili responsabili del sequestro di persona a danno di Regeni. Il Ministero dell’Interno egiziano, tramite un post sul proprio profilo ufficiale su Facebook, affermò che la banda criminale uccisa era specializzata nei rapimenti di cittadini stranieri al fine di estorcere loro denaro.

Durante l’operazione in cui è stata sgominata la banda, la polizia egiziana ritrovò una borsa di colore rosso con il logo della “Federazione Italiana Giuoco del Calcio” in cui erano contenuti vari oggetti, di cui alcuni effettivamente appartenuti a Regeni: il passaporto, i tesserini di riconoscimento dell’Università di Cambridge e dell’Università Americana del Cairo, oltre alla carta di credito; nella foto postata è presente anche un pezzo di hashish, che sembrava avvalorare la tesi egiziana dell’uccisione per motivi di droga; tuttavia, sia i familiari sia i periti dell’autopsia hanno escluso che il ricercatore facesse uso di stupefacenti.

In seguito, l’ufficio del procuratore di “Nuovo Cairo” negò che la banda criminale fosse coinvolta nell’omicidio. Successivamente alla consegna dei tabulati telefonici, è stato appurato che il capo della banda criminale si trovasse distante oltre 100 km dal Cairo nei giorni della sparizione di Regeni. I familiari delle vittime hanno smentito la ricostruzione della sparatoria durante il blitz, in quanto i presunti malviventi furono uccisi dalla polizia a bruciapelo o a breve distanza.

Il 10 dicembre 2020 la procura della Repubblica di Roma ha chiuso le indagini preliminari

Il 25 maggio 2021 sono stati rinviati a giudizio i seguenti quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif ai quali vennero contestati I reati per sequestro di persona pluriaggravato, il concorso in lesioni personali gravissime e l’omicidio, ma non il reato di tortura perché quest’ultimo è stato introdotto nel codice penale italiano solo nel 2017.

I quattro ufficiali indagati risultano irreperibili perché la magistratura egiziana non ne ha fornito gli indirizzi di residenza, né ha concesso ai magistrati italiani di essere presenti agli interrogatori degli indagati stessi, nonostante questi quattro indiziati siano stati iscritti nel registro degli indagati nel dicembre 2018 e nonostante le richieste dalla procura di Roma inoltrate già con la rogatoria del 5 maggio 2019.

Il movente del violento interrogatorio e dell’omicidio, secondo la procura di Roma, fu il sospetto, del tutto infondato, da parte degli agenti egiziani che Giulio Regeni volesse finanziare una rivoluzione!

Nel settembre 2017 il legale egiziano che seguiva il caso per conto della famiglia, Ibrahim Metwaly, è stato incarcerato in Egitto con l’accusa di voler sovvertire il governo di al-Sisi.

Il procuratore generale del Cairo Hamada al Sawi, subentrato a Nabeel Sadek per nomina diretta del presidente al-Sisil nel settembre 2019, ha detto di essere in disaccordo con i colleghi della procura di Roma, e che le prove a carico degli agenti dei servizi segreti egiziani sono insufficienti.

I militari indagati sono stati ascoltati dalla magistratura egiziana ed hanno negato ogni fatto, compresi quelli che i magistrati italiani ritengono «oggettivamente provati»[.

20 febbraio 2024 

Dopo 8 anni dall’omicidio di Giulio Regeni si è svolta la prima udienza del processo, vuote le 4 sedie degli imputati!

Sembra una farsa, ma c’era da aspettarselo!

Pertanto il risultato si chiude con poche parole: “Nulla di fatto”!

Ci troveremo pertanto difronte ad uno di quei processi “politicizzati” che andranno avanti anni e anni e in cui nessuno verrà condannato!

A cura Pier Luigi Cignoli – Foto ImagoEconomica 

Editorialista Pier Luigi Cignoli

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