EDMONDO BRUTI LIBERATI PRESIDENTE ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI

E ‘davvero necessario separare le carriere della Magistratura?

Ci siamo, finalmente. Almeno politicamente parlando. Nella seduta di lunedì 27 luglio del 2020, presso la Camera dei Deputati, si è svolta la discussione sulle linee generali della proposta di legge costituzionale, d’iniziativa popolare, avente ad oggetto «Norme per l’attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura ». Ovvero, di separare la carriere dei Giudici (che emanano le Sentenze) da quella dei PM Che “rappresentano la pubblica accusa” (anche se così non è). Prevedendo anche due distinti organi di autogoverno della Magistratura (uno per quella giudicante ed un’altra per quella requirente) e la separazione formale dell’ordine giudiziario nelle due categorie, con previsione di distinti concorsi per l’accesso ad esse.

Quello della separazione delle carriere non è un dibattito nuovo, scaturito con la recente iniziativa legislativa, ma è al centro delle più agguerrite controversie che da anni vedono divisi avvocati, magistrati, giuristi e non solo.
Già un magistrato come Giovanni Falcone, per citarne uno su tutti, sosteneva la necessità di questa riforma “[…] avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e PM sono, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il PM sotto il controllo dell ‘ Esecutivo. È veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del PM con questioni istituzionali totalmente distinte ”.

Certo, ne è passata di acqua sotto i ponti da quanto Falcone proferì il pensiero che poi divenne il leit motiv di tutti i partiti politici. E ‘anche vero che il Magistrato siciliano parlava quando doveva ancora iniziare Tangentopoli, la fine del pentapartito e del muro di Berlino.
Si sarà rivoltato nella tomba, dopo aver visto il comportamento giudiziario, forse un po ‘troppo disinvolto, di alcuni PM, che non lesinavano assolti con formula piena.

Visto che i politici, quelli che vogliono durare, colgono al volo l’occasione e cavalcano l’onda di indignazione popolare tanto come quella del sentimento esattamente opposto, nelle ultime legislature si sono impegnati a proporre leggi per una modifica dell’attuale assetto della giustizia italiana. Spesso si è trattato di proposte del tutto strumentali, atte proprio a screditare l’operato di alcuni PM che stavano indagando su soggetti politici di primissimo piano. Anche a causa di questo intrinseco significato politico, impropriamente attribuito, non è stata possibile, nel corso degli anni, una riflessione seria e nel merito di questa proposta che non dovrebbe avere a che fare con la politica dei partiti. Si tratta di una riforma che dovrebbe essere trasversale perché riguarda le “regole del gioco”,

Fra le tante proposte, quella sopra accennata, presentata a seguito della raccolta firme dell’Unione Camere Penali Italiane si presenta maggiormente significativa rispetto alle altre, attualmente depositate al Senato, provenienti prevalentemente dall’area del centrodestra. La proposta ha raccolto 72000 sottoscrizioni in modo del tutto trasversale rispetto agli schieramenti politici, potendo vantare tanto di Matteo Salvini quanto di alcuni esponenti del Partito Democratico; già tale fatto, atipico per un Paese come il nostro, deve ritenersi un primo segnale positivo per l’inizio di una discussione seria.

E ‘necessario fare alcune premesse.
Le caratteristiche fondamentali della figura del magistrato sono l’autonomia e l’indipendenza.
Autonomia ed indipendenza che si bene quindi tanto ai giudici quanto ai PM, in egual modo.
L’art. 111, 2 ° comma, Cost. dispone inoltre che il processo si svolga davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Terzietà è quindi intesa nel senso che il giudice non deve essere parte del processo, ma un soggetto distinto ed estraneo alla controversia. “Super partes”, si dice, usando un termine latino deflazionato. Logica di conseguenza che ne discende: il giudice deve assicurare equidistanza dalle parti e non favorire una di esse.

Ed è proprio su quest’ultimo profilo che cerca di intervenire la misura oggetto della legge in discussione. Allo stato attuale, giudici e PM accedono alla magistratura attraverso lo stesso concorso, dopo averlo superato decidono quali funzioni svolgere all’interno di un unico ordine: funzioni giudicanti o funzioni requirenti. Un unico ramo di partenza, quindi. Risulta evidente come anche se si prendano funzioni diverse, fra i due vi sia un rapporto di colleganza. Che sono, cioè, cugini. Ed anche di primo grado.

Oltre a condividere le modalità di accesso, giudici e PM, sono considerati, dall’ordinamento,
in un certo senso “intercambiabili”. Nel corso della carriera in magistratura è infatti possibile passare, anche più volte, da una funzione all’altra e assumere quindi, anche se in tempi diversi, tanto il ruolo di soggetto terzo e imparziale (il giudice) quanto quello di accusa – e quindi parte – nel processo penale. Non v’è chi non veda, specie fra gli avocati che hanno la fortuna, come il sottoscritto, di girare in vari Tribunale d’Italia, numerosi casi in cui un giudice, che magari ha svolto per lungo tempo il ruolo del PM e che ha quindi la “mentalità dell’accusatore”, risulta appunto colui che deve giudicare circa l’innocenza o la colpevolezza di una persona. Può davvero essere, ragionevolmente, imparziale?

INSEDIAMENTO DEL PROCURATORE GENERALE TOGA TOGHE MAGISTRATURA MAGISTRATO

Vi è anche un ulteriore problema. Anche qualora tale giudice riuscisse a non lasciarsi condizionare dalla sua esperienza pregressa, come apparirebbe agli occhi del cittadino che deve essere giudicato?
Perché se è vero che il giudice deve essere imparziale, è altrettanto vero che deve anche apparire come tale agli occhi di colui che deve essere giudicato ed agli occhi della collettività. Insomma, il controllore dovrebbe controllare il controllato, che ha svolto lo stesso concorso e del quale, in definitiva, condivide l’origine. Il giudice deve porsi necessariamente come organo super partes, in nessun modo legato alle parti che si siedono davanti a lui.

Le due funzioni, inoltre, sono strutturalmente diverse. Svolgere le indagini e sostenere l’accusa in giudizio è totalmente, ontologicamente differente dal valutare due punti di vista diversi sulla stessa vicenda, garantire la regolarità del processo e il rispetto dei diritti fondamentali ed infine prendere una decisione. A ruoli diversi corrispondenti, o dovrebbero corrispondere, anche attitudini e personalità diverse.

Insomma, la separazione delle carriere appare come un corollario quasi scontato dell’impostazione del processo penale italiano e del giusto processo così come descritto dalla nostra Costituzione.

A cura di Avv. Costantino Larocca editorialista – Foto Imagoeconomica

Contattare Costantino per richieste legali: [email protected] / 338.7578408

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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