Il sorriso è coinvolgente. Quando i loro occhi si guardano sono scintille d’amore. Loro sono Luca e Alba Trapanese, padre e figlia non di sangue, ma per scelta. Una famiglia, bellissima.

Della loro storia ne hanno parlato molto le tv e i giornali, non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Perché Luca, il papà, è uomo, single e gay.

Ho avuto la possibilità di trascorrere del tempo con lui al telefono, e posso aggiungere che è un uomo coraggioso e determinato, con un cuore grande, un cuore che aveva allenato all’amore prima ancora di conoscere la piccola Alba e la sua storia.
Luca è un educatore, lavora da anni con bambini e ragazzi malati e con gravi disabilità, la sua missione nella vita è proprio quella di accogliere e prendersi cura di queste anime speciali.

Ma il suo sogno più grande è stato da sempre quello di diventare padre. Possibilmente non un padre affidatario, un padre adottivo. Anche se la norma in Italia è chiara: i single possono ottenere solo l’affido.

“Quando ho compilato i moduli per l’affido ho barrato tutte le possibilità, ero pronto ad accogliere anche bambini malati e disabili, motivo per cui poi sono stato chiamato per Alba. Nata con ventuno cromosomi, Alba era stata lasciata all’ospedale dalla madre che non si era sentita di crescerla. Avviato l’iter per l’adozione, il tribunale non avendo trovato alcuna famiglia pronta ad accoglierla, proprio perché down, ha contattato me, che in quel momento mi trovavo in vacanza proprio con un gruppo di ragazzi down. Non ho esitato ad accettare”. E continua: “Quando sono arrivato in ospedale le infermiere mi hanno chiesto di cambiarla. L’ho guardata negli occhi ed è stato amore a prima vista. All’inizio si è trattato di un affido, ma nel mio cuore, giorno dopo giorno, speravo si concretizzasse la possibilità di adozione. Se io muoio, voglio che lei abbia i suoi diritti, i suoi beni; il futuro che sto costruendo non è per me, ma per lei, pensavo”.

Lui mi parla, ma oltre alle sue parole, a colpirmi è la sua voce: un concentrato di grinta, determinazione, amore incondizionato, gioia pura.
Ho seguito una tua diretta qualche giorno fa, parlavi di un progetto che si chiama La casa di Matteo. Di cosa si tratta?
È una struttura che accoglie bambini abbandonati a causa di malattie o gravi disabilità. Attualmente ospita 7 bambini con età compresa trai 6 mesi e i 9 anni, tutti con disabilità molto, molto gravi. Insieme a me, che sono il fondatore e il direttore, uno staff composto da medici, pediatra infermieri ed educatori. È difficile mandarla avanti, perché realtà come la nostra, soprattutto in un momento difficile come questo che stiamo vivendo, sono dimenticate dalle Istituzioni. Io sto mantenendo bambini disabili gravi da almeno due anni. Qualcuno mi deve spiegare dove sono finiti quelli che all’inaugurazione erano tutti in prima fila al taglio del nastro.

Di cosa vivete? Come fate a mantenere la struttura?
Viviamo grazie alle donazioni, e a quanto ci viene amorevolmente offerto: ad esempio un negozio di alimentari della zona, quando ci sono delle cose che scadono a breve, ce le porta. Fino all’inizio di quest’anno organizzavamo eventi benefici di vario tipo, e la raccolta fondi ci permetteva il sostentamento. Ora però questo non è possibile. Mi viene la rabbia a dover chiedere la carità per bambini dimenticati da chi dovrebbe garantire loro sostentamento e cura. I bambini disabili in Italia sono completamente abbandonati. Non c’è consapevolezza, non c’è preparazione. Non c’è un progetto istituzionale serio a favore dei disabili, né delle loro famiglie. I miei social sono subissati di richieste di aiuto da parte di famiglie che sono lasciate sole, senza punti di riferimento, isolate in balia di una vita già difficile di suo. Forse la soluzione non c’è, forse ognuno deve trovarla per conto proprio. Ma al di là di tutto, sono convinto che non parlarne sia assolutamente irrispettoso. Certo, nessuno vuole un miracolo che non esiste, ma un minimo di attenzione e sostegno è necessario. Mi riferisco anche al terzo settore, oggi completamente schiacciato e sofferente, abbandonato, quello che però colma i vuoti lasciati dalle istituzioni, e che è il vero salvagente per il mondo della disabilità. A causa delle difficoltà attuali, molte realtà moriranno, altre non potranno più tornare come prima.

Qual è il desiderio che oggi hai più a cuore?
Stabilizzare la Casa di Matteo, per continuare a garantire assistenza a quei bambini che altrimenti finirebbero in una RSA. Servono 360.000 euro all’anno. Io lotterò con tutte le mie forze per continuare a mantenerla in vita.

Come è possibile sostenere la Casa di Matteo?
Sul nostro sito internet www.lacasadimatteo.it ci sono tutte le informazioni sul nostro progetto, sulla nostra realtà e le indicazioni per le donazioni. Tra l’altro la Fondazione Mediolanum ha deciso di sostenerci raddoppiando tutte le donazioni che verranno effettuate fino al 31 dicembre.

Alba nel frattempo gioca. Luca mi spiega che le mancano molto i suoi compagni. Le manca la socialità, il contatto, la relazione perché, come tutti i bambini, Alba ha bisogno di interazione. E di amore. Quell’amore che il papà non le farà mai mancare.

A cura di Sara Patron – Foto Redazione

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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