Erano arrivati alla spicciolata.

Il posto se l’erano immaginato tante volte, ne avevano parlato, ma alla fine ci voleva uno che facesse da primo e così Franco un bel giorno aveva detto “Bon, vadu mi!” (1).

Nessuno si era stupito. Franco era generoso, ma di una generosità invisibile, che quando te ne accorgevi lui aveva già fatto tutto.

Però questa volta era sembrato davvero troppo. Solo che mentre ne discutevano l’avevano visto sulla porta di casa con la valigia in mano e avevano capito che non lo avrebbero convinto a pensarci ancora un po’.

Era la prima volta che lasciava Rosalena da sola e anche per gli altri ci volle tempo per abituarsi all’idea di non vederlo più per un po’ al tavolo della scopa, con quel sorriso un po’ timido, ma sempre affascinante, anche se ormai non era più un giovanotto.

Ci mise un po’ ad ambientarsi, a prendere le misure, a capire se il posto valeva la pena e alla fine fece una telefonata a tutti e disse che si poteva fare. Solo, suggerì di non andare tutti insieme, in modo da dare ad ognuno il tempo di ambientarsi.

E loro, uno alla volta, chi pronto, chi meno, chi dubbioso, chi così così, partirono.

I figli non erano d’accordo (a quell’età non ti immedesimi in una persona anziana), ma poi dovettero arrendersi alla cocciutaggine di quel manipolo di adorabili casinisti.

Solo Massimo, testone, a tutti i costi volle spostarsi anche lui. “Ma cosa vai a fare lassù, in mezzo ai bricchi, che sono tutti anziani e magari un giorno o due, ma poi ti rompi le scatole!” Ma lui niente, aveva preso la chitarra e il plettro ed era partito. Era fatto così.

Poi fu la volta di Michele, se ricordo bene, seguito dalla sua Ritin (2). Ritin Era alta un metro e mezzo, lui quasi due, inseparabili come i pappagallini; vederli ballare era uno spettacolo, lei praticamente appesa e lui chino su di lei, ma capaci di fondersi insieme in un valzer come nella vita.

Poi toccò a Galli, anche se Angela alla fine si era messa di traverso perché avrebbe voluto almeno ancora una volta tornare a Firenze, come quella volta che erano partiti tutti in pullman col Club Fedelissimi Granata (una loro creatura) e lei a pranzo aveva bevuto un bicchiere in più. E quando si erano separati, gli uomini verso lo stadio e le donne a spasso per la città lei gli aveva urlato: “Francesco! Stasera faremo cose turche!!” e lui aveva guardato Ginetta, Rosalena e Rita con aria supplichevole, dicendo loro “Per carità! Tenetemela d’occhio che quella mi va giù dal Ponte Vecchio!”.

Uno spettacolo. Erano tutti uno spettacolo. Alcuni erano stati giovani insieme, in borgo Vittoria, altri si erano aggiunti quando avevano fondato il Club Fedelissimi Granata in via Valfenera, che Nando ricordava sempre chiamarsi via dle Trincee (3), quando lui era masnà (4).

Quelle amicizie che durano per sempre, che se uno ha bisogno tutti si fanno in quattro, e grazie né?, ma figurati, oggi a te e domani a me. I figli che crescevano, i morosi, le nonne che abitavano nella stessa casa, che vuoi mica lasciarli soli o chiuderli nelle case di riposo? Oppercarità, gnanca a parlene (5). Quella volta che la nonna di Mauri e Massimo si era chiusa nel letto mobile e tutti ridevano così tanto che non riuscivano neanche a tirarla fuori, era stata memorabile.

E così, uno alla volta, avevano lasciato la casa dove vivevano da una vita e avevano raggiunto Franco.

I primi tempi, certo, erano tutti un po’ spaesati, tutti con le loro abitudini, le loro cose messe come volevano loro, le loro manie, quelli più precisini, come Nando, quelli un po’ più disgenà (6).

Ma poi avevano rimesso su il club e allora gli era sembrato di non essersi mai mossi dal Borgo.

Ultime ad arrivare, ovviamente, le donne, che hanno sempre qualcosa da sistemare, e la casa da lasciare in ordine e quello da salutare e cosa mi porto e via andare.

E così quella sera, che Massimo compiva sessantuno anni , avevano organizzato una festa da mille e una notte e mangiato e bevuto come fossero giovincelli. Anciue al verd (7), salame buono, gurgu (8)(quella che scappa), frittatona ad cusot e sciule (9) e patate marià (10).

Ginetta, tira fora al bicarbonato!” (11) aveva detto Nando a un certo punto, ma era solo una battuta. Poi lui e Massimo avevano sfidato Galli e Michele a boccette, mentre Franco, Gianni Bianco e non so più chi giocavano a scopa.
Cinque a zero, stracciati. “Luma faje la pansa cume la schin’a!” (12) disse Nando ridendo.

Comunque qualcosa era avanzato e alla fine avevano deciso di tenere gli avanzi per il giorno dopo.

(…)

“Abbiamo avuto la fortuna di nascere in famiglie speciali – diceva il whatsapp che il Mauri mandò alla Simo il giorno del compleanno di suo fratello – e dobbiamo essere contenti. Abbiamo tanti bei ricordi e la malinconia va lasciata da parte”.

Lei si asciugò gli occhi e sorrise.

E pensò che la prossima volta dovevano andarci insieme, al Cimitero, che tanto erano tutti vicini e così facevi un giro solo e li salutavi tutti.

Simonetta VALENTI

1 – Basta, vado io!

2 – Ritina, piccola Rita

3 – via delle Trincee

4 – bambino

5 – neanche a parlarne

6 – a proprio agio

7 – acciughe al verde

8 – gorgonzola

9 – frittatona di zucchine e cipolle

10 – frittata di patate ricoperta di fette di mortadella

11 – tira fuori il bicarbonato

12 – espressione gergale, gli abbiamo fatto la pancia come la schiena

La foto è stata scattata e sviluppata da Massimo e da sinistra si vedono: Franco, Mauri, Nando, Michele

Racconto a cura di Simonetta Valenti

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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