Signori, non c’è una lira! Cambiamo le lire con gli euro ma la realtà non cambia, perché la maggior parte degli italiani in tasca non ha più un centesimo.

La colpa sarà pure del Coronavirus, che ha fermato il Mondo ed insieme alla salute, minato economie già non proprio brillanti, quando non sull’orlo di una nuova crisi, tra globalizzazione e posti di lavoro spesso solo virtuali, però più passa il tempo e più la situazione diventa drammatica.

Le forme d’aiuto messe in atto non sempre raggiungono il loro scopo, spesso per lungaggini burocratiche, spesso perché non si capisce tra le varie componenti chi deve fare cosa, spesso perché a forza di gettare soldi dalla finestra e non occuparsi di incassare quelli che i soliti furbi mancano di versare, finiamo per essere tutti alla canna del gas e se capita un problema, specie se non di brevissima durata, saltano persino i dati sulle soglie di povertà.

Oggi, dopo due mesi di serrata, di mancato lavoro, di gente senza stipendio o entrate di giro, cosa si può o si deve fare per mangiare, pagare affitto e bollette, le tasse? Il grido di dolore che si leva è sempre più forte, sempre più numeroso il numero di chi si aggrega al “coro”, così come quello di chi fa la coda ai Monte Pegni per cercare il contante necessario a tirare avanti alla belle meglio, ammesso e non concesso che siano questi a concedere prestiti e non usurai o malavita organizzata.

Gli italiani sono notoriamente un popolo di risparmiatori, o perlomeno lo erano, tanto da far dire a qualcuno che il Debito Pubblico non doveva preoccupare più di tanto visto che gli italiani erano tranquillamente in grado di supportarlo e farci fronte, tanto non era che un debito nei propri confronti e quindi il problema non sussisteva; ma adesso? Possiamo dire sia ancora così e che, eventualmente, la causa sia da addebitare al Virus?

A Torino, un mese fa, davanti alla Sede del Monte Pegni, c’erano ogni mattina code di 400/500 persone, che aumentavano man mano che ci si avvicinava al fine mese; una platea di facce note cui si aggiungevano via via sempre più volti mai visti, quelli di chi “doveva” impegnare i beni di famiglia, magari perché aveva chiuso l’attività, era in cassa integrazione, aveva perso quel lavoro precario che rendeva pochi spiccioli, ma almeno permetteva di mangiare, di riuscire a tirare avanti.

Nel frattempo è passato un mese e le code si allungano, i volti sconosciuti sempre di più e con negli occhi la paura di non farcela, di chi combatte contro un nemico invisibile e subdolo, ma anche, troppo spesso contro un’impreparazione, una burocrazia ormai intollerabili, perché il virus ha colpito comunque all’improvviso, ma la burocrazia è più vecchia dei Monte Pegni, ovvero di un’istituzione in vita dal 1550, per iniziativa dei francescani (si, proprio loro), che già doveva essere da supporto per chi fosse bisognoso, magari anche solo per un breve periodo di tempo.

Ormai, chi mi legge da un po’ ha imparato a conoscermi, e sa che non mi tiro indietro quando il tema è scottante, magari per sproloquiare, ma anche sempre cercando di informare senza voler convincere nessuno e senza ritenere che il mio pensiero sia altro che quello, ovvero nulla che possa assomigliare alla verità assoluta, perché io come chiunque non sono tenutario della verità; ebbene devo confessare che quando l’editore mi ha chiesto di trattare l’argomento, la prima tentazione è stata quella di rispondere di no, anche perché a fronte di un problema vero e sempre più pressante, drammatico, e dai numeri in crescita esponenziale, c’è anche sempre quella componente che ci prende per i fondelli, i “fenomeni” alla Briatore che sparano cazzate senza ritegno, quando invece dovrebbero starsene lontani dall’Italia, cosa avvenuta da trent’anni, salvo dover tornare per speculazioni o malaffari, altro che dare lezioni di vita, magari con il “Movimento del Fare”, nato e sparito in un amen, anche perché davvero abbiamo bisogno che persino Flavio entri in Politica? Non ne abbiamo già a iosa di cazzari?

Che paghiamo profumatamente e che magari mai si presentano in quello che definiscono “posto di lavoro”?
L’augurio è che la Fase 2 sia portatrice di positività, da raggiungere con la fatica ed altri sacrifici, ma che ci permetta anche di tornare perlomeno al lavoro, alla possibilità di sfamare le nostre famiglie, e con l’augurio che la ricetta non sia quella dei Trump e dei Johnson, ovvero barattare la ripresa con l’aumento dei morti.

Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – Fotolia

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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