La più grande tragedia del mare nella storia d’Italia, che resta, a tutt’oggi, un mistero senza verità.
Grida Giustizia la strage del “Moby Prince”, il traghetto che nella notte del 10 aprile 1991 si schiantò contro la petroliera Agip Abruzzo, all’uscita dal porto Livorno. Ci furono 140 morti e un solo sopravvissuto: il mozzo Alessio Bertrand, al suo primo imbarco, salvatosi camminando sui
cadaveri.

A distanza di quasi 23 anni, lo Stato Italiano non ha ancora dato una risposta convincente ai quesiti che i familiari delle vittime del Moby Prince hanno progressivamente condiviso con i tantissimi cittadini che negli anni si sono uniti alla richiesta di risposte convincenti (ad es.
iosono141.veritaprivatadelmobyprince.com).

La ricostruzione di questo disastro offerta dalla magistratura è quantomeno parziale.
Questo lo si deve anche al fatto che la più grande tragedia della marina civile italiana dal dopoguerra e la più grande strage sul lavoro della storia repubblicana è stata affrontata con un percorso giudiziario segnato da incredibili errori. Un percorso di Giustizia operato quasi esclusivamente dalla piccola Procura di Livorno in cui è possibile riscontrare oggettivamente un elenco lunghissimo di mancanze ed omissioni, così come rilevato persino dai Giudici dalla Terza Sezione della Corte di Appello del Tribunale di Firenze, interessati dal procedimento di appello sul filone principale della vicenda.

Scrivono i Giudici fiorentini che il collegio giudicante del primo processo Moby Prince ha tenuto conto di testimonianze “palesemente false”, negato testimonianze palesemente vere, e persino presentato una deduzione “apodittica” – cioè dogmatica senza alcuna prova a supporto – su un video amatoriale che confutava le tesi poi finite in sentenza circa l’orientamento della petroliera al momento della collisione. Un percorso giudiziario che ha visto sciagure giudiziarie che si sommano a quelle reali, facendo, davvero, morire, agli occhi dei familiari delle vittime, i lori cari due volte.

Il relitto del traghetto – corpo di reato – è stato oggetto di documentate sottrazioni di materiale probatorio e manomissioni, una delle quali ha portato ad un procedimento parallelo dove fu accertato che due uomini della compagnia armatrice operarono una manomissione della leva del
timone del traghetto in modo da far sembrare che prima della collisione fosse in funzione il pilota automatico e così scaricare sul Comando della nave la causa della tragedia.

Da far venire i brividi dietro la schiena: chi volevano coprire?
Questo accadeva in data 12 aprile 1991, un giorno e mezzo dopo la collisione, quando si iniziavano a recuperare le prime salme; nonostante fossimo in presenza di un superstite recuperato un’ora e venticinque minuti dopo la collisione e di numerosi documenti atti a smentire la tesi della morte rapida di tutte le vittime del Moby Prince, il collegio giudicante sancì, con un atto di pietismo forse comprensibile ma nemico della verità, tempi di sopravvivenza di 30 minuti al massimo. La tesi, inverosimile e smentita dalla ragionevolezza e dalle perizie, della morte rapida, sancì di
fatto l’assoluzione di tutti gli imputati legati alla Capitaneria di Porto di Livorno, responsabili degli interventi di soccorso posti in essere, oltre a procedere con l’archiviazione della posizione dell’allora Comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, Ammiraglio Sergio Albanese, che quella notte prese il comando dalle 23:00, esattamente cinque minuti dopo che la sentenza dichiara conclusa la sopravvivenza a bordo del traghetto.

Il Presidente del Collegio Giudicante del Primo Processo Moby Prince, nonché allora Capo dei G.I.P. della Procura di Livorno, Dott. Germano Lamberti, è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione (sentenza del 18 novembre 2013) a quattro anni e nove mesi di reclusione, oltre all’interdizione dai pubblici uffici, per corruzione in atti giudiziari in merito ad una vicenda di abusi edilizi operati nell’Isola d’Elba avvenuta poco tempo dopo la stesura della sentenza del Processo Moby Prince, il cui profilo è senza dubbio ampiamente minore rispetto alla tragedia che ha interessato una compagnia di navigazione avviata come la Nav. ar.ma s.p.a., una delle principali aziende pubbliche italiane, la SNAM s.p.a., ed infine la Capitaneria di Porto di Livorno. L’elenco avrebbe potuto essere molto più lungo, ma è giusto evidenziare unicamente il senso del ragionamento: siamo in presenza di una mole di documentazione che oggettivamente impone, prima che sul piano emotivo su quello razionale, la convinzione quantomeno di un ragionevole dubbio circa quanto è stato finora raccontato ai familiari delle vittime e, in conseguenza, circa l’effettivo esercizio della giustizia cui i cittadini stessi si sono appellati.

Fatti accertati, a distanza da tanti anni, ve ne sono.
L’incendio fu causato dall’attrito tra le lamiere e dal petrolio che si era riversato sul traghetto dopo aver colpito la cisterna della petroliera. Ma le fiamme non avvolsero immediatamente tutto il Moby Prince e le persone non morirono entro mezz’ora come si è sempre detto, ma dopo molto tempo,
anche a causa dei soccorsi che non arrivarono tempestivamente. La convinzione che fossero tutti morti in pochi minuti è stato uno degli equivoci o degli errori principali dovuto a perizie medico legali approssimative.

L’approssimazione è stata, nel processo, talmente eclatante (e con essa,di pari passo, i tentativi di
despitaggio) che si è persino tirata in ballo una presunta distrazione dell’equipaggio, intento a
vedere in tv la partita Juventus – Barcellona. Si è parlato di una nebbia che avrebbe impedito al traghetto di vedere la petroliera ma quella notte
d’aprile il cielo sopra Livorno era sereno, la visibilità ottima e il mare calmo.

Di sicuro la Agip Abruzzo era fuori posto, ancorata dove non doveva. Per di più i soccorsi, sia pure lenti, si diressero verso la petroliera e non verso la nave passeggeri, anche perché la stessa Agip Abruzzo aveva comunicato per radio l’impatto con la nave.
La commissione di inchiesta parlamentare costituita ha lavorato per due anni con oltre 70 audizioni, decine di testimoni chiave, migliaia e migliaia di documenti consultati e analizzati, sei perizie, analisi ad alta tecnologia sui filmati dell’epoca, carte mai viste né cercate prima. I senatori hanno escluso la nebbia come causa del disastro ed hanno puntato il dito contro sull’incapacità e
l’inadeguatezza della Capitaneria di porto. Hanno accertato inoltre che che tutti i passeggeri non
morirono nel giro di mezz’ora.

Per il disastro del Moby Prince “i reati non prescritti sono quelli di strage e la speranza è che” il procuratore di Livorno “trovi elementi tali per continuare le indagini e rinviare a giudizio i presunti colpevoli”: “Il percorso intrapreso è ancora lungo e pieno di ostacoli” e “chi ha omesso, manomesso e agito per intralciare questo percorso, spera che il tempo sia dalla sua parte, ma non sarà così”.

Lo speriamo davvero tutti.

A cura di Avv. Costantino Larocca editorialista – Foto Imagoeconomica

Contattare Costantino per richieste legali: [email protected] / 338.7578408

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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