Necessita proprio affermare che il “caso” De Angelis, ha creato una sorta di “rivisitazione” sul passato, ovvero dalla tragedia di Bologna ad oggi con articoli e interviste a personaggi che hanno lasciato messaggi ed importanti dichiarazioni che sono state raccolte e pubblicate sui quotidiani, sui giornali on-line e sui social, offrendo così un supporto importante per fare maggior chiarezza su quanto deciso dalla Magistratura.

Tra gli intervistati anche il Prof. Eugenio Di Rienzo, che ha insegnato Storia delle dottrine politiche e Storia moderna e dal 2006 professore ordinario di Storia moderna presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma. Svolge al che in prezioso compito di Direttore di “Nuova rivista storica” ed è membro del Comitato Scientifico di Geopolitica. 

Alla domanda su cosa pensa in merito al terrorismo e alla violenza politica in Italia, ha risposto: “Parliamo soprattutto degli intellettuali di sinistra perché di intellettuali di destra non ve n’erano più molti… Presero da subito una posizione diversa da quella istituzionale del Pci e della Cgil che in teoria erano i loro punti di riferimento politico. Il partito comunista cercava di bloccare le loro infiltrazioni. A partire da alcune posizioni come quella di Sciascia, che per altro fu frainteso, prese piede quello slogan né con lo Stato né con le Br che veniva fatto passare per equidistanza ma equidistanza non era. Ci fu persino chi negò l’esistenza del terrorismo di sinistra, sostenendo che ci fosse solo un terrorismo di destra. Quello di destra c’era ma c’era anche quello di sinistra ma i due fenomeni erano paralleli. Io mi sono laureato nel ’77 le ho viste le P-38… Ci fu un’indulgenza, un chiudere gli occhi. Quella violenza non è discutibile. Anche una fascia di opinione pubblica sposò queste tesi. C’erano moltissimi fiancheggiatori, molti più di quanti si possa pensare. In questo caso pesò una eredità sbagliata della Resistenza. La Resistenza da un pezzo di sinistra era stata vista come una occasione mancata. Per molti non si trattava di battere il nazifascismo ma di instaurare il comunismo in Italia. Questo retaggio era rimasto.”   

In merito a quanto scrisse la giornalista Rossana Rossanda sul Manifesto in pieno sequestro Moro “chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Br. Sembra di sfogliare l’album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria” ci fu una vera guerra, lei come spiegherebbe il fatto?

La risposta: “Una parte più estremista del Pci negli anni ’50 usava questo linguaggio. Ma la dirigenza Togliattiana aveva scelto un’altra strada. La fase rivoluzionaria Togliatti l’aveva archiviata, certo il linguaggio di piazza era un’altra cosa. Dirigenza del Pci era più avanti su questo dei suoi intellettuali di riferimento. Diciamo che negli anni ’50 la base operaia fu sul punto di esplodere. Ma poi gli operai vennero disciplinati. Gli intellettuali meno. E questo modo di pensare è rimasto presente tra gli intellettuali molto a lungo, non credo nemmeno sia mai scomparso del tutto. Ci trovammo così di fronte ad una lotta interna alla sinistra e i terroristi erano diventati quelli che potevano erodere la base del Pci.”

A cura di Pier Luigi Cignoli – Foto ImagoEconomica 

Editorialista Pier Luigi Cignoli

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