GARY PEACOCK

Certamente il contrabbassista Gary Peacock è stato il musicista che metaforicamente parlando ha avuto il privilegio di entrare a far parte di un trio di tutto rispetto, perfetto in tutte le sue caratteristiche e persino con i due protagonisti principali ed essenziali, il pianista Keith Jarrett che ha voluto a tutti i costi questa formazione con il batterista Jack DeJohnnette che ha fatto epoca nel secolo del Novecento nella Musica Jazz e che ha dato un’altra retrospettiva nel far musica, che sì può essere complessa. Jarrett ha saputo capire i suoi due compagni di avventura, con i quali ha avuto un riconoscimento in tutto il mondo.

Questo trio a viaggiato in tutto il mondo e in ogni parte del continente mondiale, egli a portato il tripudio degli appassionati della musica, la Musica Jazz ma anche a quella Musica Classica, si perché Keith Jarrett produsse anche opere discografiche di autori romantici dell’Ottocento ed anche addietro nel tempo, da Mozart, Bach, e a tanti altri autori di quell’epoca. Ma ritornando a Gary Peacock bisogna dire che era un’ottimo musicista e lo dice anche Keith Jarrett in un’intervista, rilasciata dopo la morte del contrabbassista disse: “Il trio è morto perché avevo trovato la perfezione e costruirne un’altro e difficile è quasi imposdibile”, quindi si denota subito dalle parole di Jarrett che la complessità della musica è complessa e per suonarla bisogna avere una preparazione assai alta, nell’eseguire un’opera. Quindi Gary Peacock e stato il contrabbassista fondamentale per il pianista Keith Jarrett, egli nel scegliere un musicista come lui, il.pianista a intessuto una grande empatia sino ad arrivare alla realizzazione di questo trio che con il batterista Jack DeJohnnette divine perfetto in tutte le sue parti, un empatia assai efficace che ha portato il gruppo ai riconoscimenti a livello internazionale a cui sia il pubblico che la critica internazionale hanno osannato la loro bravura, la loro tecnica e la loro amicizia che anche in questo caso a portato loro ad essere più uniti artisticamente parlando. Gary Peacock nasce a Burley città dello Stato dell’Indaho, il 12 maggio del 1935.

Cresciuto a Yakima, nello Stato di Washington dove frequenta la Yakima Senior High School. Le prime sue esperienze musicali riguardano il pianoforte, la tromba e la batteria. Quando aveva quindici anni, ascoltò per la prima volta la Musica Jazz dal vivo, partecipando ad un concerto del Jazz at the Philarmonic con il pianista Oscar Peterson e il contrabbassista Ray Brown. Peacock si laureo nel 1953; mentre suonava per la sua classe, ha avuto un’esperienza progonda, affermando: “Suonavo la batteria, e ho avuto l’esperienza di essere suonato piuttosto che suonare… ho capito checera successo qualcosa di trasgomarivo… e c’era questa certezza”. Dalla pianta dei piedialla sommità della testa, era totalmente chiari: “Oh, questa è la direzione da seguire”. Dopo la laurea. Peacock frequentò la Westlake School of Music di Los Angeles, in California ma poi fu abrogato nell’esercito americano. Mentre era di distanza in Germania, suonava il pianoforte in trio jazz, ma poi passo al contrabbasso, quando il bassista del gruppo se ne andò. Peacock ricorda: “Il bassista si sposò e sua moglie non lo voleva più fuori. Il batterista della band… disse: “Tu suoni il basso, “Ho detto: “Non voglio suonare il basso… “Alla fine. Ho trovato un pianista e ho iniziato a suonare il basso”. Secondo Peacock, “in una certo sensol’ho capito”. Mi sembrava di progredire abbastanza rapidamente in un tempo molto breve. E poiché ero di stanza in Germania e non c’erano bassisti da nessuna parte, mi ha permesso di essere disponibile a suonare con diverse persone a Francoforte e nelle zone circostanti. Gary Peacock ha ricordato anche: “Lo strumento sembrava naturale. Si è rivelato semplicemente un riconoscimento, come, “Oh, eccolo. Questo è bello!”. Dopo essere stato congedato dall’esercito nel 1956. Peacock rimase in Germania con Hans Koller, Tony Scott, Budd Shank, Atilla Zoller e tanti altri artisti del panorama del jazz internazionale, prima di tornare a Los Angeles in California. Il vontrabbassistaha ricordato: “Avevo un invito permanente per una borsa di studio al Westlake College of Misic: così sono andato a scuola. Hanno detto: “Fantastico. Sfortunatamente, la scuola sta chiudendo”. Quindi ho dovuto iniziare subito a cercare lavoro. Ciò a posto fine alla mia formazione accademica. “Il suo modo di suonare il contrabbasso all’epoca era influenzato dai contrabbassista celebri: da Paul Chambers, Ray Brown e Scott LaFaro, con cui fece amicizia. Ben presto si affermò come bassista, partecipando a sessioni con noti artisti da: Barney Kessel e Art Pepper, e nel 1962, registrando con Don Ellis nell’opera discografica “Essence Claire Fischer”, “First TimeOut” e “Surging Ahead” e “Principe Lasha, il Grido!”. Sposò anche la collega Annette Peacock, ottima pianista.

Successivamente Gary Peacock collaborò con un’altro pianista Paul Blay, con il quale avrebbe continuato a registrare nove opere discografiche. Mentre il vontrabbassista era in California, a Los Angeles, Peacock ascolto la musica di Ornette Coleman. Inizialmente sprezzante ha presto cambiato idea: “Ha sfidato quella posizione fissa che avevo su cosa dovrebbecessere l’improvvisazione jazz e quali sono le regole. Ha creato per me in perno per abbracciare un universo musicale molto più ampio”. Peacock riflettere su come il suo pensiero cominciò a cambiare: “Ricordo quando ero a Los Angeles intorno al 1959 e notai che Suonavo meno tempo… In effetti, suonare il tempo diventava molto irritante, sembrava proprio una camicia di forza e volevo in un certo senso sfondare quella situazione. Ho semplicemente iniziato ad ascoltare dentro di me cosa poteva fare un basso e ho iniziato a suonare dentro di me cosa poteva fare un basso e ho iniziato a suonare intenzionalmente fuori tempo, con alcune nozioni, alcuni barlume di ciò che si poteva fare. Ho notato che il tempo poteva letteralmente essere lì e potevo suonare fondamentalmente ametrico e tuttavia funzionava in qualche modo per quanto riguardava le mie orecchie…[si presentò] una domanda interessante: “Cosa accadrebbe se non giochiamo il tempo ma gli permettiamo semplicemente di essere lì. Invece di fare’ding din ding’, permettergli semplicemente di essere lì a suonare qualcosa… Ha aperto qualcosa per il pianista, ha aperto qualcosa per la batteria”. Nel 1962, Peacock si trasferì a New York City, la Grande Mela, dove suonò con il pianista Paul Bley e musicisti come Jimmy Giuffrè, Roland Kirk, George Russell e Archie Shepp. Si unì anche al trio del pianista Bill Evans, che includeva il batterista Paul Motion, che sarebbe diventato un socio di lunga data, registrando l’opera discografica “Trio ’64” nel dicembre del 1963. Peacock ricordò che Evans: “il senso dell’armonia era squisito…

GARY PEACOCK

Le armonie, e il modoin cui le esprimeva, rendevano la melodia non solo credibile ma [così] volevi innamorartene. E poiché suonava basso, qualunque cosa suonasse il basso, potrebbe essere ascoltato; essere parte integrante della musica. Peacock di unì brevemente al grande trombettista Moles Davis e al suo quintetto sostituendo Ron Carter nell’aprile e maggio di quell’anno. Riflettendo sul tempo trascorso con Davis, ha dichiarato: “Miles probabilmente ha pronunciato uno dei commenti più brillanti, utili e necessari che abbia mai sentito. Qualcuno stava registrando con lui, e Miles la guardò e disse: “Quello che voglio sentire e quello che non sai”. Questa è davvero la chiave: non suonare quello che non conosci. Per fare ciò, devi diventare molto silenzioso dentro, ascoltare e arrenderti a qualunque sia quella particolare impostazione musicale. Quindi non fa alcuna differenza se suono standard o cose gratuite, perché stai rinunciando a qualsiasi tipo di posizione fissa o atteggiamenti che potresti avere su ciò che dovrebbe e non dovrebbe essere. E per farlo, devi essere in un luogo in cui ti rendi conto che stai cercando non puoi saperlo. Non è concepibile. Ma è lì.

È la musa ispiratrice. Quindi è una specie di passaggio dal si che interpreta la musa che interpreta il sè”. Peacock a detto che Davis “Non si è perso una cosa. Sentiva tutto quelloche succedeva in ogni momento. Potevo sentire che lo stava ascoltando. C’era quel tipo di impegno per ciò che sta accadendo. È stata una grande lezione. Miles e stato un grande insegnante, senza insegnare”. Quell’anno apparve anche un’opera discografica di debutto del batterista Tony Williams, “Life Time”. Nel 1964, Peacock si unì al trio di Albert Ayler, che comprendeva anche il batterista Sunny Murray, e andò in tournée e registrò con lui, apparendo tra gli altro nel rivoluzionario album “Spiritual Unity”. Riguardo Ayler, Peacock ha diciarato: “Penso che abbia portato qualcosa di così genuino, così naturale e così autentico da essere inevitabile. Se qualcuno potesse superare le proprie idee su cosa dovrebbe essere qualcosa e semplicemente ascoltare. È incredibile… Ha avuto sicuramente una grande influenza per me… Si occupava di musica, davvero di musica e di uno sviluppo continuo con lo strumento, con la tecnica, con tutto il resto. Quindi quando suonava non c’erano solo strilli,segnali acustici, suoni di clacson e cose del genere. Era davvero, veniva da un posto reale. Era autentico. Era proprio lui”. Peacock continuò a registrare con il pianista Paul Bley, Williams (Sprong, che comprendeva anche il pianista Herbie Hancock, Sam Rivers e Wayne Shorter) e altri fino alla fine degli anni Sessanta, quando iniziò ad avere problemi di salute. Riflettè: “Non era in buona forma. Facevo un sacco di droghe e alcol ed ero scontento di me stesso… mi è capitato di incontrare Timothy Leary e… o preso dell’acido. Il risultato di ciò è stato realizzare, inanzitutto, che non sapevo chi diavolo fossi, mentre prima mi ero sempre identificatocome un musicista, un bassista. Poi, ovviamente, è arrivata domanda “Chi sono io? Ho anche notato che questo desiderio di fare musica non c’era più. Quindi la domanda era: “Cosa fare? Quindi quello che ho fatto non è stato niente. Ho smesso di giocare”. A questo punto ha prendersi una pausa completa dalla musica. Ha ricordato: “Mi sono interessato alla macrobiotica e mi sono sentito attratto dalle filosofie e dalla medicine orientali. Sono diventato un praticante regolare di macrobiotica e alla fine mo sono trasferito in Giappone per due anni e mezzo, studiando la lingua , la storia e la filosofia orientale. Riflettendo dullo studio della lingua giapponese, afferma: “C’è una grande mancanza di pronomi personali… E l’effettoche ha… è che dopo un pò, c’è un senso di spaziosità che si apre interiormente ed esteriormente”. Nel 1970, mentre età ancora in Giappone, Peacock iniziò a suonare di nuovo, registrando “Eastward” a Tokyo con il pianista Masabumi Kiuchi e il batterista Hiroshi Murokami, seguito da “Voices l’anno successivo. Durante questo periodo registrò anche con il pianista Mal Waldrom “First Encounter”. E nel 1972 ritornò negli Stati Uniti e si iscrisse come studente all’università di Washington, dove studiò biologia, si laureò nel 1976. Riprese il suo rapporto musicale con il pianista canadese Paul Bley, facendo tournée in Giappone e registrando l’opera discografica “Suite Giappone”. Nel 1977, ha registrato “Tales of Another” con il grande pianista Keith Jarrett e il batterista Jack DeJohnnette, insieme, sarebbero poi diventati noti come il Standards Trio a causa della loro attenzione agli Standards Jazz americani. Questo è stato seguito da “December Poems” che comprende quattro brani per basso solista e due duetti con il sassofonista Jan Garbarek. Dal 1977 al 1983, Gary Peacock insegnò anche alla Carnish School of the Arts. Negli anni Ottanta e Novanta il contrabbassista pubblicò numerose opere discografiche con il suo nome e suonò e fece numerosi tour con il grande pianista Keith Jarrett e il batterista Jack DeJohnnette. Si è anche esibito e prodotto in registrazioni discografiche con un trio noto come “Tehered Moon”, con Masabumi Kikuchi e Paul Motion, in altre occasioni a prodotto opere sempre con il pianista Paul Bley, Jan Garbarek, Ralph Towener e Marc Copland.

Per quanto riguarda la formazione del trio, Peacock ha dichiarato: “Se tre persone condividono una storia comune in un particolare ambito musicale e trovano on quella musica qualcosa che lì ha liberati, quando si riuniscono per suonare un pezzo tutti sono al 100% in quella composizione… La domanda è: “Quanto sono sei disposto a rinunciare a suonare questa musica? Non penso che possa funzionare saibhai ancora un programma, se senti di dover ancora dimostrare qualcosa musicalmente. Non è questo il punto, e solo una questione di musica. Quindi servirai questo, non te stesso o qualcuno del pubblico, non i critici o i revisori. È solo la musica. Cosa vuole la musica?”. Ora vi parlo del trio, ho trovato su oneline questo articolo del mensile Musica Jazz, rivista italiana, da titolo: “The Standards Trio”, a cura di Sandro Cerini, marzo 2023 – pubblicazione numero 868″.

“Sono stati i casi della vita, non già scelte artistiche, a interrompere l’attività di uno dei trii più significativi nell’intera storia del jazz. Ripercorriamo , passo dopo passo, una lunga vicenda artistica segnata da non pochi capolavori discografici. La voce dello Standards Trio tacere per sempre, ora che purtroppo Gary Peacock non fa più parte del mondo e di quel “corpo mistico” costituitosi per la prima volta 1977, sotto coordinate estetiche apparentemente diverse rispetto a quelle che poi saranno destinate a costruirne la storia (il disco a nome del contrabbassista è “Tales of Another” e l’etichetta, ovviamente, (ECM). Nulla di nuovo, quanto ai nudi fatti, se si considera che l’ultimo concerto del gruppo risale al 30 novembre del 2014 (presso l’amato New Jersey Performing Arts Center di Newark) e che, Jarrett aveva già dichiarato, nel 2015: “Non ho un trio adesso, quindi. So soltanto che non cercherò altri partner, coi quali avrei bisogno di trent’anniper diventare bravi come eravamo noi, questo è il problema più grande di tutti.

Credo che il rapporto è la comprensione che abbiamo avuto noi non abbiamo eguali, ovunque” [¹]. Forse però contribuisce a gettare una luce crepuscolare sul piano del reale la doppia andata emotiva generazionale in stretta successione con la morte di Peacock, per l’intervista rilasciata dal.pianista a Note Chinen, che ha confermato tutti i peggiori dubbi sul suo stato di salute, facendogli affermare: “Idon’t feel right now like I’m a pianist” [²], ed è difficile scrivere di nuovo di lui – per quello che altrimenti sarebbe anche un “tramquillo” modo di celebrare i suoi settantacinque anni – facendo origine all’emozione. Ma l’intera vicenda artistica di Jarrett, da sempre, sembra essere stata forgiata nel fuoco vivo di un’emozione, o di qualche modo cosi spesso sviata dal pregiudizio, che ne ha portato talora visioni sfuocate od offuscate, per eccesso o per difetto. E così è anche per la più famosa e longeva delle sue formazioni (anche se in misura minore che per la sua attività di solista).

Ciò avviene anche perché è certamente impossibile esaminare la storia dello Standards Trio senza (tentare di) ricollocare l’intera esperienza autoriale del pianista di Allentown “dove nacque”, nel suo complesso e anche rispetto alla “Casa madre” bavarese. Si ritorna intanto a quello snodo tra gli anni Sessanta e il decennio successivo nel quale il discreto successo – tanto buono almeno quanto insperato – di “Free at Last” , di Mal Waldrom [³], spinse Manfred Eicher a proporsi epistolarmente a molti artisti, tra i cui Jarrett, il quale finirà per incidere “l’opera discografica “, “Facing You” il 10 novembre del 1971, durante il tour di Miles Davis, presso l’Arne Bendiksen Studio di Oslo (poi Raimbow Studio).

Da lì si concretizzerà una storia nuova, attraverso due passaggi: il primo, di natura per così dire “menageriale”, legato a una drastica riorganizzazione interna alla Columbia Records che a causa di un grosso scandalo finanziario in cui si era trovato coinvolto il duo presidente Clive Davis non aveva rinnovato svariati contratti discografici, tra cui quello di Jarrett (dopo aver dato alle stampe il pur eccellente “Expectations” registrato ad aprile del 1972 e pubblicato nell’ottobre dello stesso anno), tanto che il pianista finì per cedere alle insistenze di Eicher” produttore e proprietario della ECM Records tedesca”, tornato alla carica con una nuova lettera, sotto la promessa di carta bianca. Il secondo, destinato a maturare nell metà del decennio, prenderà corpo nel feticcio totemico ed epocale che sarà “The Koln Concert” (registrato il 24 gennaio 1975 e dato alle stampe il 30 novembre dello stesso anno), destinato a segnare per sempre la fama di Jarrett e dell’etichetta e anche a strutturare in una direzione precisa la carriera del pianista, “ma anche dei due protagonisti, il contrabbassista Gary Peacock è il batterista Jack DeJohnnette” e anche strutturare in una direzione precisa la carriera del.pianista, ma anche a consegnare il corpo al pubblico[⁴].
…Quanto si va dicendo permette di cogliere come il rapporto fra i tre fosse in verità predestinato, articolandosisu tre assi: quello che già raccontava Jarrett e DeJohnnette, la cui frequentazione si era rodata nel quartetto di Charles Lloyd e nei gruppi di Miles Davis, quello invece esistente tra Peacock ed Eicher (attraverso Paul Bley), infine quello tra il pianista e il produttore tedesco. Rimane invece una suggestione piuttosto estrinseca, che pure la critica negli anni iniziali ha voluto sottolineare ed è poi diventata in una certa misura pigramentetra la tizia, quella che ravvede il legame fra I tre nella circostanza che il contrabbassista e il batterista avessero già militato entrambi, in momenti diversi, nel trio di Bill Evans [⁶].

Ma sul sul punto si tornerà brevemente più oltre. Non secondario invece appare il fatto di considerare quanto Jarrett sia stato sempre particolarmente esigente in fatto di partnership, condividendo il proprio percorso con un numero davvero limitato di abituali sodali confacenti alla propria ed esclusiva “Ione Self expression” (per usarle sue stesse parole), nella quale del resto i mon pochi detrattori hanno sempre ravvisato la ben lumeggiata conferma di una (ritenuta) personalità egoistica […]”. Si denota così una grande vita artistica del contrabbassista Gary Peacock, la sua vita per la musica nella sua grandezza e nella sua grande cultura. La grande esperienza con lo Stadards Trio che ha per così dire rivoluzionato il classico Stadards Trio, portando lo stile musicale ad una elevata tecnica dei giorni nostri. Peacock muore il 4 settembre del 2020 nella sua casa a New York City. Egli aveva 85 anni, la causa del decesso non è stata rivelata, probabilmente la causa della morte è da attribuirsi ad un fatto naturale.

A cura di Alessandro Poletti esperto di musica Jazz – Foto Repertorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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