Torna a emergere il femminicidio dopo il lockdown. Non essendo un problema di emarginazione come si è vissuto all’interno delle famiglie e quali ripercussioni sociali. 

Prima che sotto il profilo della repressione, il tema dev’essere affrontato sotto il profilo culturale. La repressione svolge la sua azione sugli effetti, la prevenzione sulle cause; quindi bisogna creare una condizione per la quale tutti siano partecipi di un percorso volto per prima cosa, non a reprimere chi compie determinati atti, ma a far sì che questi atti non avvengano.
È uno dei reati meno rilevati in cui la statistica a volte ha dei buchi neri, perché c’è una sorta di numero oscuro che è quello di chi non denuncia, di chi ha paura di essere ulteriormente vittimizzato, perché pensa alle conseguenze, alla vergogna, e a tutte le cose negative che potrebbero derivare dal denunciare, con la possibilità che da vittima di violenza potrebbe diventare anche vittima del sistema.

In particolare il fenomeno è molto spesso nascosto negli ambiti familiari. Infatti, non è sufficiente agire solo quando il reato si è consumato, ma è necessario intervenire prima, attraverso un’incisiva opera d’informazione e supporto alla cultura di genere. Il fenomeno del femminicidio e della violenza sulle donne non ha territorialità, non ha categorie, non è frutto di emarginazione, non appartiene a un basso ceto sociale: è articolato e subdolo. Dietro ci sono fattori educativi sbagliati, dinamiche nella coppia e nella convivenza tra uomo e donna che degenerano.

Le vittime di femminicidio in questi ultimi anni sono state soprattutto donne italiane. Gli autori dei reati sono stati uomini italiani e gli omicidi sono maturati nell’ambito di una relazione familiare affettiva. La scuola deve essere il primo punto di riferimento. Chi subisce maltrattamenti o sa di una donna picchiata e minacciata dal compagno, dal marito o da un padre troppo geloso lo racconti. È bene che qualcuno lo sappia. Ogni anno in Italia oltre cento donne sono uccise da uomini che conoscevano o con cui, nella maggioranza dei casi, avevano avuto una relazione affettiva.

È importante tenere accesi i riflettori sulle mille storie di violenze, abusi e discriminazioni che accadono ovunque, attraverso convegni, incontri, manifestazioni e le numerose iniziative in occasione della giornata internazionale della donna, che si celebra l’8 marzo. Secondi i dati ufficiali pubblicati dall’Istat una donna su tre ha subito forme di violenza nel corso della sua vita. Sui giornali e in tv però arriva solo quella più grave, come il femminicidio, ma c’è un mondo che resta sommerso, come le forme di violenza psicologica, economica o fisica, almeno finché quest’ultima non diventa troppo grave o visibile.

Nei due mesi di lockdown restare a casa per molte donne si è rivelato un rischio e non una sicurezza: infatti, sono state 5.031 le richieste di aiuto verso i numeri di emergenza; il 73% in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Le vittime sono state 2.013 (+59%). Una donna su tre ha subito violenza dal partner, marito o membro della famiglia. Le linee telefoniche delle associazioni che assistono le donne in difficoltà sono costantemente sommerse di chiamate.

In Italia tra il 6 aprile e il 3 maggio sono state 2.956 le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza della rete, 2.983 tra il 2 marzo e il 5 aprile e da un mese all’altro le donne che hanno chiamato per la prima volta sono passate dal 28% al 33%. La convivenza forzata ha acuito i casi di violenza e in molte situazioni si è passati dall’aspetto psicologico a quello fisico. La violenza di genere riguarda tutti ed è importante che ci se interroghi perché non è una questione di raptus, anche se spesso è raccontata così, ma trova le sue giustificazioni nella cultura del quotidiano in cui siamo tutti immersi.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Fotolia

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Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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