SERGIO MATTARELLA

Che cosa insegna diventare un Ispettore integro nella Polizia di Stato. Questa Repubblica quanto è vicina ai suoi guardiani in divisa? 

“Non faccio il poliziotto, sono un poliziotto”. Questo è il marchio di fabbrica che da sempre mi contraddistingue. Nato a Bologna il 10 agosto 1950 da una famiglia normale, onesta, con una vita decorosa. Il papà maresciallo dell’Aeronautica militare, la mamma infermiera all’ospedale Sant’Orsola, mio fratello, di sette anni più giovane, arruolatosi nella Guardia di Finanza.

Nel 1968 – per scelta – sono entrato in polizia, all’epoca Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Assegnato a Piacenza, fui trasferito dopo tre anni a Cesena. In seguito Nettuno (alcuni mesi a Parigi), per poi termine la carriera a Forlì – con la qualifica apicale di Commissario – quale comandante della polizia ferroviaria. Ricordo che quando arrivai al Centro Addestramento Polizia Stradale cesenate trovai un altro bolognese (all’epoca rarità), che divenne il mio “mentore”.

Il compianto Maggiore Giorgio Spagnoli. La mia stupenda vita professionale – ovviamente con alti e bassi, ma che ripercorrerei senza mutamenti – è durata, senza soluzione di continuità, quarantadue anni (1968-2010) sempre al servizio delle Istituzioni e a disposizione dei cittadini. Chi, come me, ha vissuto in prima linea quel periodo storico fatto di uomini, idee, lotte, tensioni, pianti, paure, esultanze, delusioni e vittorie, che hanno portato anche alla riforma e al sindacato di polizia (con l’indispensabile contributo della Federazione CGIL-CISL-UIL) non può dimenticare i vecchi compagni di lotta, parecchi dei quali hanno già lasciato questa vita terrena, mentre altri, come chi scrive, hanno raggiunto la meritata pensione.

Di questi qualcuno ancora mi chiede se ne valse la pena e se tante battaglie e tanti sacrifici hanno ottenuto risultati concreti. Basta ricordare che le condizioni dei poliziotti a cavallo tra gli anni sessanta/settanta non erano le migliori e non sono lontanamente confrontabili con quelle dei giorni nostri. All’epoca la figura del poliziotto era paragonata al contadino, al mercenario sottosviluppato e analfabeta, al soldo del “potere”, arrivato dal sud con la valigia legata da una corda.

Nei suoi confronti anche il tipico comandante “spocchioso” dell’epoca e persino un capo della polizia usarono queste frasi: “Dovete stare a cuccia come cani” oppure “Se non vi sta bene ecco 500 lire per la marca da bollo: fate domanda di proscioglimento e tornate al paesello”. Frasi definitivamente cancellate ma non dimenticate… così come è andata via via sgretolandosi quella barriera di diffidenza che contrapponeva il cittadino medio al poliziotto.

Non dimentichiamo, infine, le condizioni di vita cui era costretto il lavoratore di polizia. Stipendi da fame: nei primi anni ‘70, 56mila lire il mese, straordinari non pagati, visto che non esisteva l’orario di lavoro, ma era h24; servizi massacranti di ordine pubblico a largo raggio nelle piazze e negli stadi di tutta la penisola; permessi e licenze concesse con il contagocce; alloggi degradanti; il rancio tutto sommato accettabile.

In quegli anni di piombo e lacrime in un settore così delicato, qual é certamente quello dell’azione di polizia, si è dimostrato come sia stato possibile abbinare la perseveranza con la democrazia e l’efficienza. Oggi la situazione è certamente diversa e questo non “per grazia ricevuta” ma a coronamento delle lotte di ieri che ci hanno fatto crescere, sia sotto il profilo personale, nonché professionale e sindacale.

Certamente non tutto è stato risolto perché ogni giorno si presentano nuovi problemi e non sempre lo Stato con i suoi rappresentanti è vicino ai suoi più fedeli servitori. Per questo motivo sono profondamente convinto che le battaglie dei vari sindacati di polizia debbano proseguire alla conquista di obiettivi sempre più ambiziosi, magari evitando quelli tal volta personali. Prima di mettere la parola fine a questo breve segmento di vita professionale, che avrebbe avuto bisogno di tanti altri approfondimenti, vorrei attribuire con orgoglio e ammirazione agli appartenenti della Polizia di Stato l’appellativo di “EROI SENZA MEDAGLIA”. 

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Redazione

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Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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