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Il Coronavirus fa sentire il suo effetto sulle imprese e le attività commerciali e turistiche del nostro Paese, costringendo alla chiusura decine e decine di migliaia di imprendotori. E molti altri potrebbero decidere di seguire la stessa strada nel caso in cui il lockdown proseguirà a lungo. Questo quanto emerge dai report di Unioncamere e Confesercenti pubblicati nella giornata di oggi.

Dal report Movimprese di Unioncamere emerge un quadro piuttosto preoccupante per l’imprenditoria italiana. Nel primo trimestre 2020 sono state chiuse circa 130 mila imprese, a fronte di 96 mila nuove aperture. Va sottolineato che il dato delle chiusure è inferiore rispetto a quello dello scorso anno, ma c’è da dire che il saldo tra aperture e chiusure è il peggiore dal 2013 a oggi.

Il saldo tra le aziende create e quelle cessate fa segnare un preoccupante -30.283 aziende (di cui oltre 10 mila artigiane). Un dato estremamente negativo, specie se confrontato con quelli registrati negli anni precedenti: per trovare un saldo peggiore bisogno tornare al primo trimestre del 2013, quando le aziende cessate furono 31 mila in più rispetto a quelle aperte.

I settori che fanno segnare i risultati peggiori sono quello del commercio e quello dell’agricoltura, silvicoltura e pesca. Nel primo trimestre 2020 il saldo tra le imprese commerciali aperte e chiuse fa registrare -15.945; quello delle imprese agricole, invece, si ferma a -7.259. In ambedue i casi, il calo è di circa l’1%.

Nonostante la situazione piuttosto complessa, alcuni settori hanno fatto registrare un saldo positivo tra attività imprenditoriali aperte e quelle chiuse. Il dato migliore è quello delle attività immobiliari: nel primo trimestre 2020 ne sono nate 811 in più rispetto a quelle che hanno chiuso i battenti. Risultato positivo anche per le attività del settore del noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese (+353) e le attività professionali, scientifiche e tecniche.

Circa metà delle aziende e imprese che hanno cessato la propria attività nel primo trimestre 2020 avevano la propria sede nel nord del Paese. Secondo i dati Unioncamere, 34.755 erano nel nord-ovest dell’Italia e 27.072 nel nord-est dell’Italia: un totale di 61.727 aziende in meno rispetto a quelle attive nel dicembre 2019.

Passando all’analisi territoriale, si scopre che la Lombardia è la regione che paga il costo più salato della crisi. Nella regione più colpita dal Coronavirus, infatti, si registra sia il numero maggiore di cessazioni sia il saldo peggiore. Da gennaio a marzo 2020 hanno chiuso i battenti oltre 20 mila aziende lombarde (quasi il doppio rispetto a quello di Veneto e Campania, che occupano gli altri due gradini di questo particolare podio), con un saldo negativo di -4.267 attività.

Secondo una ricerca condotta da Confesercenti, moltissimi altre aziende potrebbero ben presto seguire le 130 mila che hanno cessato l’attività nel primo trimestre 2020. In particolare, il 32% delle PMI del settore commercio e turismo potrebbero non riaprire una volta terminato il lockdown, mentre il 35% ritiene che avrebbe grandi difficoltà nel caso in cui la chiusura forzata fosse prolungata anche dopo il 4 maggio.

Sempre stando ai dati diffusi da Confesercenti, i commercianti del settore non alimentare patiranno un forte calo del fatturato annuo. In media, tutti coloro che hanno un negozio che non vende prodotti alimentari vedranno un calo del 19,4% rispetto ai ricavi annuali. Addirittura peggiore la situazione per chi vende capi d’abbigliamento: in questo caso il calo medio sarà del 25,7%, con molti esercenti sull’orlo del baratro a causa della perdita della stagione primaverile, della merce giacente e dei pagamenti arrivati ormai a scadenza.

Dal report Confesercenti, infine, si evince che il lockdown e la chiusura forzata fa più paura del virus stesso. Il 57% dei commercianti e degli addetti del settore turistico, infatti, ammette di essere più preoccupato per la recessione (il calo del PIL potrebbe addirittura arrivare alla doppia cifra nel 2020) che del Coronavirus. Secondo alcune stime, infatti, anche se tutto dovesse ripartire dal prossimo 4 maggio, gli oltre due mesi di chiusura forzata costerebbero alle imprese del settore ben 30 miliardi di euro di fatturato.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Marco Rossi

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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