GIOVANI PRIGIONIERI IN UNA STANZA

Prigionieri di se stessi.
Iperconnessi e soli.

Una gioventù bloccata nel tempo, e nello spazio, che si rifiuta di crescere.
E si ritira dal mondo.
“Sono un “hikikomori” dice Fabio, parlando a bassa voce dalla sua casa di Treviso, dove vive recluso da quasi dieci anni.
“Tutto ha avuto inizio a 13 anni. Non mi trovavo bene con la mia classe.
Stavo male, soffrivo di una forte dermatite, nessuno mi capiva.
A sedici anni, dopo essere stato umiliato in classe da una professoressa, ho detto basta.
E ho smesso di andare a scuola.
Fabio, per mesi, non è uscito dalla sua camera.

Alleno una squadra di calcio sul pc, con calciatori da tutto il mondo gioco fino alle cinque del mattino, mi sveglio alle tre del pomeriggio.
Di notte mi sento al sicuro.
Al mattino cresce l’ansia.
Il computer è il mio mondo!
Non ho mai avuto una fidanzata. Ho paura di soffrire ancora, come quando ero alle medie
”.

I genitori di Fabio sono separati, e in famiglia nessuno ha preso bene la sua scelta.
Fabio è un “hikikomori”, parola giapponese che significa stare in disparte, ritirarsi.
In Giappone, dove il fenomeno è nato negli anni Ottanta, si stima che siano un milione gli autoreclusi.
Una generazione perduta.

In Italia i dati parlano di 100 mila ragazzi, ma sono molti di più, c’è un mondo sommerso che ha paura a mostrarsi, eppure moltissimi sono stati i genitori che, tramite l’Associazione Hikikomori Italia, fondata nel 2017 dallo psicologo Marco Crepaldi, si sono resi visibili per raccontare le loro storie.

Un dolore profondo, difficile da affrontare, perchè la parola chiave è “vergogna”.
Ed è dalla “vergogna” che occorre partire per capire: la vergogna ti porta a sparire, a nasconderti”, spiega lo psicoterapeuta Antonio Piotti, tra i primi in Italia ad occuparsi di ritiro sociale, autore del saggio “Il banco vuoto. Diario di un adolescente in estrema reclusione” (Franco Angeli).
Nulla viene perdonato dai coetanei, neanche un brufolo, siamo in una società prestazionale, dove la bellezza regna sovrana, e lo sguardo dell’altro diventa il giudice più temuto.

Piotti esordisce nel suo saggio con queste parole che, visivamente parlano “se ti senti brutto, goffo, impacciato, l’unica soluzione è togliere di mezzo quel corpo che ti fa soffrire, e vivere in una realtà virtuale dove non ne hai più bisogno.
E così, non devi sottostare ad aspettative sempre più alte.
Internet li protegge, e al tempo stesso li imprigiona”.
In questa società dell’immagine, al contrario, un figlio, che vuole scomparire, sembra inconcepibile!
Questi giovani, sono, in realtà, l’espressione di una ribellione solitaria al mondo competitivo e conflittuale che gli abbiamo confezionato noi.

A scuola spesso vengono proposti programmi che li annoiano, e non abbiamo avuto l’umiltà di ascoltarli.
Li abbiamo trasformati in oggetti di consumo, triturati in vite frenetiche.
E allora, è meglio ritirarsi, e vivere su un’altra dimensione.
Sono diventati un “mondo”, celato al mondo!

A cura di Sandra Vezzani – Foto Marco Iorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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