GATTO GATTI FELINI GENERATE AI IA

Mi chiamo Bazin e sono qui per parlarvi di due dei miei figli, quelli che mi stanno dando enormi problemi. Quando nacquero, Seberg, la loro madre, morì a causa di un’infezione e, da quel giorno, fui io ad occuparmi della loro crescita. I loro nomi, come il mio e quelli di tutti gli altri componenti la famiglia, li aveva scelti la gattara che ci accolse nella colonia del boscovecchio perché, evidentemente, era un’amante della Nouvelle Vague.

La famigliola era formata da altri 6 micetti, 4 maschi e 2 femmine i cui nomi si rifacevano sempre a registi e attori di quel movimento cinematografico: Rivette, Chabrol, Rohmer, Resnais, Karina, Moreau. Ogni giorno, di prima mattina, Pierre Lafrange, l’umano che ci ha accolto nella sua umile dimora, dopo averci sfamato e coccolato a dovere, esce di casa, sale sull’autobus e si dirige al lavoro, la “Manufacture de Chocolat Alain Ducassein”, una piccola fabbrica di cioccolato, nel cuore dell’11° arrondissement, il quartiere gourmet parigino per eccellenza, una delle tante attività nate dall’estro e dalla inarrestabile voglia di fare del grande Alain Ducasse.

Godard e Truffaut, lo avrete capito, sono i più discoli del gruppo, il primo sempre pronto a sporcarsi le zampe, anche attraverso i suoi modi di fare, sempre dalla parte degli umani indigenti  la cui preparazione culturale fosse estremamente vicina alla politica di estrema sinistra; il secondo, invece, con un carattere più legato a temi esistenziali, preferisce vivere guardando da spettatore il mondo che lo circonda, senza intervenire o criticarne approfonditamente i fenomeni di massificazione. Entrambi, sono molto legati a me e al signor Lafrange, al punto da volerlo seguire fino al lavoro.

Da un biglietto lasciato sul tavolo di cucina, scoprirono che la linea che ogni mattina, tranne la domenica, lo allontanava da loro era la n. 68 e, dopo aver pianificato l’avventuroso viaggio che li avrebbe portati a scovare il luogo dove Pierre si nascondeva per 8 ore al giorno, un lunedì di inizio estate decisero che il giorno Xera arrivato. Uscirono dalla finestra della sala saltando sul tetto dei garage, poi sfruttarono un pino marittimo per scendere a terra. Camminarono fino alla fermata dell’autobus per poi salire indisturbati.

Quando, una mezz’ora dopo, sentirono una voce registrata che annunciava la loro fermata, rue Pierre Fontaine, si precipitarono giù dagli scalini e si lasciarono trasportare dal profumo del celebre biscotto di Alain Ducasse. Si aggirarono invano, azzuffandosi per ogni scelta che dovevano affrontare, davanti all’ingresso principale del laboratorio con la speranza di vedere il loro umano del cuore, ma di lui non v’era traccia. Provarono quindi a dare un’occhiata anche sul retro della struttura, su idea di Godard, perché se Pierre ricopriva una mansione umile, forse non gli era consentito accedere dal portonededicato alla classe dirigente.

Fu un’ottima intuizione, infatti, sul lato di destra del fabbricato, lo videro su di un trabattello che si occupava della pulizia dell’immensa vetrata, armato di lancia telescopica, raschietto e spazzola. Quando si reseroconto del duro lavoro che svolgeva il loro benefattore, lo salutarono con un miagolio soffocato e tornarono, sempre a bordo del 68, nel loro piccolo paradiso, amati, protetti e coccolati. La scelta di cercare di scoprire che vita facesse il signor Lafrange fuori di casa, era sbagliata. Da quel giorno, per Truffaut e Godard, il 68 non era più una linea tramviaria ma un il brusco risveglio da un bellissimo sogno.

A cura di Marco Benazzi – Foto ImagoEconomica 

Editorialista Benazzi Marco

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