Mario Polisano era un falegname ebanista specializzato nella realizzazione di velieri in bottiglia. Aveva ereditato l’arte dal padre, Don Giuseppe detto O’ Mast, il quale realizzò veri e propri capolavori alcuni dei quali esposti al “Buddelschiff Museum”, il più celebre Museo per navi in bottiglia, situato nel piccolo comune di Neuharlingersiel, nella Bassa Sassonia.

Lo conobbi a Napoli, grazie ad un amico in comune, durante una cena con spettacolo a bordo del Veliero Tortuga costeggiando lentamente i posti più belli da Capo Posillipo a Mergellina. Mi spiegò, con le parole di un innamorato della sua professione, che grazie a quell’alone di mistero che accompagna da sempre la realizzazione di queste vere e proprie opere d’arte, veniva spesso invitato a presenziare a conferenze in giro per l’Europa con uno sguardo sempre oltreoceano. Durante un convegno tenutosi a Mendocino, una località degli Stati Uniti d’America, appartenente all’omonima contea nello Stato della California, dall’argomento più che allarmante “Un nuovo Diluvio è alle porte”, Mario conobbe Jack Colin Stewart, un ricco possidente texano, il quale gli propose una scommessa di quelle che possono cambiare completamente la vita di chi ha la fortuna di riuscire a vincerle.

Si trattava di realizzare una copia in scala dell’Arca di Noè, da costruire all’interno di una damigiana da 54 litri, come descritta nel Libro della Genesi. Avrebbe avuto un anno di tempo per portare a termine la sfida e il premio, a obiettivo raggiunto, consisteva nella vincita di un milione di euro. Era una sfida decisamente impegnativa, quella che Mario Polisano decise di accettare, anche in considerazione del fatto che chi lo aveva sfidato pubblicamente, disse d’aver fatto un sogno premonitore in cui vedeva Dallas, la sua città natale, sommersa dall’acqua a causa di forti inondazioni dovute al riscaldamento globale.

Mario passò il primo mese a creare un modellino in scala proporzionata alla damigiana a collo largo che aveva scelto tra cento e più modelli, considerando che l’Arca originale misurava più di 130 metri di lunghezza, 29 di larghezza e 23 d’altezza con un peso di oltre 3.000 tonnellate, curando in maniera certosina la progettazione fino ai minimi particolari ad esempio, una curvatura del ponte superiore che permettesse di recuperare l’acqua piovana per dissetare gli animali, e la cambusa che disponesse di una serie di compartimenti sigillati dove il cibo potesse essere conservato per lungo tempo. Ad una settimana dal termine ultimo per consegnare l’opera d’arte in damigiana, restavano solo piccoli ritocchi legati al micro-zoo che conteneva, ma la scommessa era vinta, o così sembrava.

Sì perché, come scriveva Jovanotti in una sua celebre canzone: “Non c’è montagna più alta di quella che non scalerò, non c’è scommessa più persa di quella che non giocherò” e fu così che il lavoro di estrema precisione che Mario aveva svolto nell’arco di un anno, venne spazzato via, e con lui la vincita milionaria, da una maldestra caccia al topo che vedeva protagonista Calico Jack, un gattone soriano rosso di otto chilogrammi di peso, intento come era a cercare di catturare Gypsy un piccolo topino di città, specializzato in furti di formaggi a “pasta molle”, in fuga da una nota salumeria del centro. E tutto a fanculo, sarà per la prossima volta.

A cura di Marco Benazzi – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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