Palermo - Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia commemorativa dell'anniversario della morte del giudice Rocco Chinnici, con il figli Caterina e Giovanni Chinnici

Il 29 luglio 1983 “Cosa nostra” uccideva con un’autobomba il Capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo Rocco Chinnici (19 gennaio 1925), ideatore del primo embrione del futuro pool antimafia. La sua fu una difesa della legalità che non indietreggiò mai, neppure dinanzi alle esplicite minacce di morte. Nella strage di via Pipitone Federico rimasero uccisi anche due carabinieri della scorta, il maresciallo Mario Trapassi (8 dicembre 1950) e l’appuntato Salvatore Bartolotta (3 marzo 1935), entrambi medaglie d’oro al valor civile, e il portiere dello stabile, dove abitava il giudice, Stefano Li Sacchi (2 giugno 1923).

Il giudice, profondo conoscitore del fenomeno mafioso, già all’epoca tracciava lucide analisi segnalando le connessioni tra Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, i legami di queste mafie con organizzazioni internazionali, in particolare con gli Stati Uniti d’America, e le relazioni dei clan con settori economici vicini al potere. Per il giudice Falcone il pregio del collega Chinnici fu di aver compreso che non si può fare attività istruttoria in materia di mafia senza una visione complessiva del fenomeno e senza che tutti quelli che vi lavorano siano coordinati fra loro. Un esempio per tutti.

I giudici Chinnici e Costa s’incontravano nell’ascensore del Palazzo di Giustizia per scambiarsi con maggiore segretezza le informazioni sulle inchieste, indice del clima che si respirava nel Tribunale di Palermo. Elementi che si possono evincere anche dalla lettura del “diario” di Chinnici, da cui emerge che vi era perfino chi lo accusava di rovinare, con l’attività del suo ufficio, l’economia palermitana. Il giudice andava spesso nelle scuole a parlare con i ragazzi e amava rilevare che per contrastare la mafia non c’è bisogno di indossare una toga da magistrato o una divisa delle forze dell’ordine, ma è sufficiente – come affermava anche il Prefetto Dalla Chiesa – rispettare le leggi ogni giorno ed essere i primi testimoni, portatori della legalità.

Sotto il profilo personale era una persona meravigliosa che riusciva a non portare a casa i problemi, il peso e l’angoscia del suo lavoro. Una famiglia unita che ancora oggi è in prima linea. Infatti, i due nipoti del giudice – ispirati anche dalla figura del nonno eroe che ha avuto un peso decisivo nelle scelte – sono in servizio permanente effettivo con le qualifiche di Commissario capo della Polizia di Stato e Capitano nell’Arma dei Carabinieri.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Imagoeconomica

Il Vice Direttore Ugo Vandelli

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