Una formazione del Torino nel 1949, tra loro: Castigliano, Ballarin, Loik, Maroso, Mazzola, Bacigalupo, Menti, Ossola, Martelli e Gabetto. E' morto a Mira (Venezia), Iginio Ballarin, di 94 anni, 'superstite' della sciagura che il 4 maggio 1949, sul colle di Superga, distrusse il Grande Torino. Ballarin, che non giocava a calcio - ricordano alcuni quotidiani che stamani riportano la notizia della sua morte - non era partito perche' aveva dimenticato la carta d'identita': era gia' sull'aereo pronto per il decollo ma un doganiere lo scopri' e lo fece scendere. ANSA/ARCHIVIO

Sono da poco passate le 17,00 del 4 maggio 1949, al Campo Volo dell’Aeritalia, in Corso Francia, a Torino, si attende l’aereo che porta il Torino a casa, dopo un’amichevole giocata a Lisbona, però passano i minuti e del Fiat G.212 I-ELCE non c’è traccia.

La verità non tarda però ad arrivare ed è drammatica, l’aereo si è schiantato contro il muraglione del terrapieno posteriore la Basilica di Superga e tutte le 31 persone a bordo sono morte.
La notizia si diffonde in un attimo, in città, nel resto d’Italia e fa in breve il giro del Mondo, lasciando sgomenti non solo i tifosi granata, ma l’Italia intera, che in quel momento tentava lentamente di riprendersi dagli orrori e dalle distruzioni della guerra; lo sport era un’ancora di salvezza, un momento di gioia per chi aveva patito lunghi anni di lutti, privazioni, orrori, e tentava, grazie anche ai campioni di calcio e ciclismo, soprattutto, di tornare alla quotidiana normalità.

Era una giornata dal tempo pessimo, a Torino, quel 4 maggio, pioveva insistentemente, faceva freddo e nuvole basse coprivano la vista della collina che costeggia il Po su un lato dell’intera città; la gente andava e veniva come sempre, si lavorava, nei negozi c’era il solito via vai, nei bar gli avventori erano alle prese con le solite discussioni, specie quelle relative al praticamente certo nuovo Scudetto granata, il quinto consecutivo.

Il Torino intanto era in volo, la trasferta a Lisbona era dovuta alla promessa fatta da capitan Mazzola all’amico Ferreira, a sua volta capitano dei portoghesi e della sua Nazionale, proprio prima di un incontro tra gli azzurri ed i lusitani; si disse che Ferreira lasciava il calcio e quell’amichevole era il coronamento ed il saluto di fine carriera e l’avere come avversario il Torino era motivo di ancor più grande orgoglio, oltre ad un cospicuo incasso, osa non trascurabile quando si seppe che (pare) in realtà invece di un addio era solo il bisogno di denaro il motivo della richiesta.

In ogni caso, il Presidente granata, Ferruccio Novo, aveva posto come condizione l’uscire imbattuti dalla sfida di San Siro, contro l’Inter, cosa avvenuta e che aveva praticamente ricucito lo Scudetto sul petto dei granata.
Il ritorno era stabilito per il 4 maggio appunto, e dopo la partenza da Lisbona ed uno scalo tecnico a Barcellona, l’aereo era in prossimità di atterrare; quale fu la causa del disastro è avvolta nel mistero, si parlò di un difettoso funzionamento dell’altimetro, di un errore dei piloti che ritenevano aver ormai superato la direttrice di Superga, si ipotizzò persino di una discesa di quota per “gettare” un pacco di droga, che ovviamente non poteva passare la dogana, acquistato chissà dove e chissà per chi dall’organizzatore la trasferta, un tipo che non piaceva al Presidente Novo, che anche per questo aveva saltato la trasferta.

La realtà è che i piloti si trovarono d’improvviso davanti il muraglione posteriore della Basilica e il tentativo di riprendere quota non fu sufficiente ad evitare lo schianto fatale.
In quel momento nasceva la Leggenda del Grande Torino, quegli uomini, quei calciatori, diventavano miti da onorare per l’eternità, anche se occorre dire che non sempre il 4 maggio è stato un momento di commemorazione, vito che nel corso degli anni non sono mancate contestazioni a Società e squadra, persino con ceffoni che volavano, insulti, certo non degni del luogo e di chi veniva ricordato, così come assolutamente indegna, e negli ultimissimi anni per fortuna vietata, la gazzarra di banchi e banchetti di ogni genere, consoni ad un mercato rionale, non certo a Superga, tanto più il 4 maggio.

Cosa lasciava il Torino, insieme a tante famiglie private dei loro cari, al dolore di chi voleva bene a quei ragazzi a prescindere dal tifo e dal campanilismo? il Torino era indubbiamente la squadra più forte, non solo d’Italia, cui il primo dopoguerra aveva negato la possibilità di essere vittoriosa anche oltre i patrii confini; non c’erano ancora le Coppe riservate ai Club ed i granata dovevano “accontentarsi” della Nazionale, dove stabilirono il record di dieci calciatori in campo su undici, nel 3-2 all’Ungheria del 11 maggio 1947.

In Campionato i granata collezionarono record su record, alcuni tutt’ora imbattuti, vincendo su qualunque campo e contro qualsiasi avversario; oltre ai cinque Scudetti consecutivi i granata si aggiudicarono anche la Coppa Italia 1942/43, prima Società a fare l’accoppiata con lo Scudetto, e prima che la Coppa medesima fosse interrotta a causa del conflitto Mondiale e ripresa nel 1958.

Giusto per dare qualche numero, nelle stagione dei cinque Scudetti, il Torino disputò 172 gare di Campionato, con 121 vittorie, 32 pareggi e 19 sconfitte, segnando 440 reti e subendone 151; la stagione migliore fu il 1947/48, quando i granata misero a segno 125 rei, rifilandone ben 10, a zero, alla malcapitata Alessandria.

Della rosa granata non tutti i componenti parteciparono alla tragica trasferta di Lisbona; rimasero infatti a Torino il difensore Sauro Tomà, scomparso a Torino il 10 aprile 2018, all’età di 93 anni, che ho avuto modo di conoscere, intervistare ed incontrare più volte e che mi ha lungamente raccontato di quella squadra, dei compagni e del vuoto che ha occupato da quel tremendo giorno una parte del suo cuore.

Tomà è sempre stato considerato come l’unico superstite del Grande Torino, cosa non vera in realtà, perché anche il secondo portiere, Renato Gandolfi (morto a Genova nel 2011) non fu aggregato alla trasferta, cosa che lo amareggiò non poco, dato che il suo posto fu preso dal terzo portiere, Dino Ballarin, fratello del terzino Aldo, dopo pressioni di quest’ultimo nei confronti del Presidente Novo.

Il Grande Torino ha segnato un’era, per il suo modo di giocare, per la forza di quella formazione dove si litigava anche, ma dove quando il trombettiere del Filadelfia, Oreste Bolmida suonava la sua tromba e capitan valentino Mazzola arrotolava le maniche della maglietta, per gli avversari iniziava un quarto d’ora terribile, il quarto d’ora granata, in cui un vero e proprio ciclone si abbatteva sulla formazione avversaria, quasi sempre portatore i sconfitta.

l’elenco dei caduti di Superga:
CALCIATORI: Bacigalupo, Ballarin Aldo, Ballarin Dino, Bongiorni, Castigliano, Fadini, Gabetto, Grava, Grezar, Loik, Maroso, Martelli, Mazzola, Menti, Operto, Ossola, Rigamonti, Schubert.
DIRIGENTI: Agnisetta, Civalleri, Bonaiuti.
ALLENATORI: Erbstein, Lievesley, Cortina (massaggiatore).
GIORNALISTI: Casalbore, Tosatti, Cavallero.
EQUIPAGGIO: Meroni, Bianciardi, D’Inca, Pangrazi.
Riposino in pace.

Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – IO Foto

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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