Esistono della alternative all’austerity? Esiste il debito pubblico? Perché l’Europa ci sta uccidendo lentamente? Che senso ha il pareggio di bilancio? Questi sono solo alcuni dei tanti temi sui quali il film “Piigs” cerca di far chiarezza.

Ieri sera, al cinema Settebello di Rimini, è stata proiettata questa pellicola che rievoca “Inside Job” (documentario sulla crisi finanziaria americana) e le storie proletarie di Ken Loach. La regia è firmata da Adriano Cutraro, Federico Greco e Mirko Melchiorre, mentre la narrazione del film è ad opera di Claudio Santamaria e include diverse interviste a Noam Chomsky, Yanis Varoufakis, Paolo Barnard ed Erri De Luca, oltre a porre l’attenzione anche sulla storia della sopravvivenza di una cooperativa sociale di Roma, “Il Pungiglione”: una delle tante attività italiane vittima delle politiche di austerità.

Dal macro al micro, quindi. Dalla macroeconomia, agli effetti sulla microeconomia. Uscire dalla sala senza il mal di stomaco è impossibile. Ma in realtà, la sensazione di disagio è la miglior prova che i tre filmmaker, dopo cinque anni di ricerche e due di riprese, sono riusciti a mostrare senza censure la verità sui dogmi imposti dall’Ue, sulle menzogne che ci hanno raccontato per farci tenere la testa bassa. E allora ben venga il male allo stomaco.

Ma quali sono i problemi fondanti sui quali poggia questa crisi finanziaria dalla quale non riusciamo a riemergere? Ebbene, alla fine del film, l’intervento di Paolo Barnard, giornalista indipendente, ha riassunto e approfondito la questione. L’Italia aveva una produttività incredibile prima della “creazione” dell’euro, poi si è andati verso un lento e inesorabile declino: il Trattato di Lisbona (2007) ha tolto potere alle Costituzioni dei singoli Stati e il fatto di non poter più stampare moneta ha fatto sì che molti Paesi, soprattutto i cosiddetti “Piigs” (Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna, Grecia), sprofondassero sempre più in un pantano senza via di uscita.

La cosa incredibile è che sono proprio le politiche di austerità a creare povertà: lo Stato, per porre rimedio ad una crisi economica di simile portata dovrebbe intervenire aumentando la liquidità, non portando avanti i tagli alla spesa pubblica. E la storia lo dimostra. Il piano di riforme economiche e sociali promosso dal presidente statunitense Roosevelt fra il 1933 e il 1937, risollevò il Paese dalla grande depressione che aveva travolto gli USA a partire dal 1929. Il famoso “New Deal”.

Insomma, non sono le tasse che paghiamo e che spingono molti perfino al suicidio a dare allo Stato la possibilità di darci i servizi: lo Stato dovrebbe provvedere a prescindere. Anzi, lo potrebbe fare. Senza problemi. Senza nessun debito pubblico, che di per sé non esiste.

Perché non lo fa? Perché non viene immessa liquidità nelle varie economie per creare infrastrutture, per migliorare scuole, sanità, aumentare i posti di lavoro? Per prima cosa perché sarebbe la Bce a doversene occupare dal momento che i singoli Stati non possono più stampare moneta, ed è chiaro che se venissero dati i soldi per migliorare le vite dei cittadini, non verrebbero migliorate le vite dei grandi speculatori, delle banche, delle multinazionali. Quindi meglio tenere le masse con la testa piegata, far diventare i diritti dei servizi ad appannaggio solo di chi può permetterseli ed annullare la democrazia. Povertà ed ignoranza sono gli ingredienti per completare questo quadro, dove solo pochi si arricchiscono, fregandosene di tutti gli altri.

Il mal di stomaco non se ne andrà, ma aprire gli occhi è un dovere se non si vuole finire piegati.

A cura di Silvia Pari

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui