Cesena, dal mio punto di vista, è una città popolata da persone che, nel bene e nel male, lasciano un segno indelebile umanamente parlando. Ho conosciuto megalomani, epicurei, individualisti e maestri dell’egoismo ma anche umili, austeri e altruisti fino all’esasperazione.

La prof. Imelde Novelli faceva parte di quest’ultima categoria. Insegnate di Italiano e Storia a riposo, novantenne piena di energie e di voglia di vivere, zitella per sua scelta, da quando l’unico uomo di cui era stata segretamente innamorata, morì in seguito ad un incidente stradale, era sempre a disposizione dei giovani che avevano bisogno del suo sapere non potendosi permettere costose ripetizioni. Negli anni, aveva maturato una passione smodata per le buone letture, il cioccolato fondente, le gommose di liquerizia e il lavoro ai ferri. Quest’anno, decise di realizzare con i ferri da calza, per i bambini della strada dove viveva fin dalla nascita, le calze della Befana per poi riempirle di dolciumi.

Via Astutillo Malgioglio, negli anni si era popolata di immigrati che respiravano povertà da ogni poro pur essendo ricchi di dignità e Imelde sosteneva che diritti umani e dignità personale non erano da considerarsi un lusso. Armata del suo inseparabile trolley per la spesa, si diresse alla merceria “Ago e ditale”, da sempre il suo fornitore di lana, cotone, ferri e uncinetti, per acquistare una enorme quantità di filati di svariati colori, prediligendo quelli più accesi come il rosso fuoco, il giallo canarino e il verde ramarro. Passò intere giornate, ascoltando musica classica, sferruzzando con ferri circolari con punte da 4,5 mm e, dopo Natale, aveva realizzato una ventina di calze lunghe 18 cm, alte 14 e larghe 12, utilizzando anche un ago da lana per nascondere le codine, perline, nastri o bottoni per decorare l’Elfo.

Terminato il lavoro manuale, si diresse sempre trascinando vigorosamente la borsa con le ruote, alla rivendita di dolciumi più amata della città uscendone, tre ore dopo, con le calze stracolme di ogni ben di Dio. La sera del 5 gennaio chiamò Teresa, la sua giovane vicina di casa, con la quale Imelde aveva un rapporto molto simile a quello tra madre e figlia, e le commissionò l’incarico di consegnare alle mamme dei venti bambini le calze da appendere dove meglio credevano. La mattina dell’Epifania, nelle case dove vivevano: Santiàgo, Christian, Fernando, Nathan, Michael, George, Pablo, Kevin, Harry, William, John, Aaron, José, Leon, Sebastian, Jude, Bradley, Adam, Justin e Derek, apparvero le enormi calze di Imelde, sistemate nei luoghi più disparati: lampadari, armadi, docce, lavandini, tavoli e letti a castello.

Anche quest’anno, la vecchina, con scarpe rotte e abiti vecchi era giunta anche nelle case dei bambini estremamente poveri, a cavallo della sua scopa “con le ruote”, per lasciare in dono regali e dolciumi provenienti dal mercato equo e solidale. Per Imelde, quel ruolo, era diventato un motivo di vita, e ci si dedicava dall’inizio dell’anno scolastico fino alla chiusura per le vacanze natalizie. Quando questi bambini saranno adulti, forse non sapranno mai chi fosse in realtà la loro Befana privata, ma di certo, quando leggeranno la poesia che Giovanni Pascoli gli dedicò, vedranno passare accanto a loro un’arzilla vecchietta con una borsa con le ruote che gli sorride e sparisce dietro l’angolo.

…La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.
(tratto dalla poesia “La Befana”, Giovanni Pascoli)

A cura di Marco Benazzi – Foto Imagoeconomica

Editorialista Benazzi Marco

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