Il 15 febbraio 2013 il mondo fu scosso da un evento destinato a lasciare un segno indelebile nella storia dell’umanità

Un oggetto spaziale riuscì a penetrare nell’atmosfera terrestre, nella regione a sud degli Urali, in Russia, esplodendo ad una cinquantina di km sopra la città di Chelyabinsk e generando energia pari a circa 500 chilotoni (la bomba atomica di Nagasaki aveva una potenza compresa tra 10 e 30 kt).

La potente onda d’urto prodotta dall’impatto disintegrò le finestre delle abitazioni, e i vetri finirono per ferire circa 1200 persone, tra cui 159 bambini.
La maggior parte della meteora vaporizzò durante l’esplosione, e solo pochi frammenti raggiunsero la superficie. Il più grande di questi, dal peso di oltre 570 kg, venne ripescato nel lago Čebarkul. L’evento suscitò clamore mondiale: era la prima volta che un oggetto celeste causava – seppur indirettamente – danni di questa portata in centri abitati.
L’oggetto spaziale colpì l’atmosfera alla velocità di 54.000 km/h (circa 44 volte la velocità del suono), generando una sorgente luminosa visibile fin o a 100 km di distanza.
Alcuni frammenti (chiamati meteoriti di Chelyabinsk) furono rinvenuti nei mesi successivi a diversi km di distanza.

La meteora restò inosservata prima della sua entrata atmosferica, in parte perché il suo radiante (il punto da cui sembrano provenire le meteore) era vicino al Sole.
Poche ore prima dell’incidente di Chelyabinsk si verificò il passaggio ravvicinato dell’asteroide 2012 DA14 (367943 Duende) a soli 27.700 km dalla Terra.
Tuttavia, secondo le agenzie spaziali mondiali, i due eventi non sono correlati.

Di grande aiuto furono le riprese catturate dalle telecamere dislocate dai vari Istituti Nazionali di astrofisica per lo studio di questi fenomeni: permisero infatti di capire i punti di caduta dei frammenti, nel lago di Chebarkul, dove successivamente furono raccolti da una spedizione di ricercatori russi dell’università degli Urali.

Le analisi dimostrarono che il meteorite era una condrite ordinaria, uno degli oggetti celesti più antichi del Sistema Solare, e che conteneva un minerale chiamato olivina, composti di zolfo e ossigeno, e il 10% circa di ferro. Il contenuto dei frammenti, fece ipotizzare, come zona di provenienza, la fascia compresa tra Marte e Giove.

articolo a cura di Franco Buttaro –

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Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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